È ovunque in mezzo a noi, l’antimateria. Dalle apparecchiature diagnostiche per la Pet, – la tomografia a emissione di positroni, che sono appunto antimateria, per la precisione antielettroni – alle banane che acquistiamo al supermercato, che producono in media un positrone ogni 75 minuti ciascuna attraverso il decadimento dei nuclei di potassio. Ovunque in mezzo a noi ma in quantità irrisoria rispetto alla materia – e per fortuna, vien da dire, altrimenti non ci sarebbe nessuna delle due. Già, perché appena entrano in contatto materia e antimateria si distruggono a vicenda in un processo detto annichilazione. Dunque, pur ritrovandocela ovunque e pur sapendo da quasi un secolo della sua esistenza, ci sono ancora molte cose di questa ineffabile sostanza che non conosciamo. Anzitutto: perché nell’universo ce n’è così poca? In teoria, al momento del Big Bang non c’era ragione per cui la Natura dovesse favorire una forma rispetto all’altra.
Una possibile spiegazione è che – gravitazionalmente parlando – materia e antimateria si respingano, invece di attrarsi. Dunque che non sia sparita, e che magari si sia solo “separata”. Va detto che è un’ipotesi suggestiva quanto altamente improbabile. Ma una cosa è ritenerla implausibile, un’altra è dimostrarlo sperimentalmente: la difficoltà di raccogliere e maneggiare l’antimateria senza farla annichilare rende infatti estremamente complesso qualunque esperimento di questo tipo.
Ora però i ricercatori della collaborazione Alpha, al Cern, ci sono finalmente riusciti. I risultati che hanno ottenuto sono stati pubblicati oggi su Nature e riportano, per la prima volta, l’osservazione diretta di atomi di anti-idrogeno in caduta libera. Osservazioni che mostrano come l’antimateria sia soggetta alla stessa attrazione gravitazionale della materia ordinaria, proprio come previsto da Einstein sin dal 1915.
«La teoria della relatività generale di Einstein», ricorda infatti Jonathan Wurtele, fisico del plasma dell’Università della California a Berkeley e membro della collaborazione Alpha, «afferma che l’antimateria dovrebbe comportarsi esattamente come la materia. E molte misure indirette indicano che la gravità interagisce con l’antimateria come ci si aspetta. Ma fino al risultato di oggi nessuno aveva mai compiuto un’osservazione diretta che potesse escludere, ad esempio, che l’anti-idrogeno si muovesse verso l’alto anziché verso il basso in un campo gravitazionale».
Come ci sono dunque riusciti, i ricercatori della collaborazione Alpha, a dimostrare che gli atomi di anti-idrogeno – formati cioè da un antiprotone e dal suo positrone – se lasciati in balìa della sola forza di gravità, tendono a cadere, e non a salire? Lo hanno fatto con una sorta di “torre di Pisa” hi-tech in miniatura, potremmo dire, riferendoci al celebre esperimento attribuito a Galileo. E se quello con sfere di diversa massa era con buona probabilità solo un esperimento mentale, questo realizzato al Cern è quanto di più concreto si possa immaginare: una camera da vuoto cilindrica in grado di confinare gli anti-atomi con una trappola magnetica variabile, chiamata Alpha-g. Gli scienziati hanno poi ridotto l’intensità dei campi magnetici alle estremità superiore e inferiore della trappola, consentendo così agli atomi di anti-idrogeno di uscire nelle due direzioni.
Man mano che gli anti-atomi lasciavano la trappola magnetica, finivano per toccare le pareti superiore e inferiore della camera, annichilando all’istante e lasciando così una traccia visibile ai rivelatori, che hanno provveduto a contarle. Per ridurre al minimo errori e incertezze, l’esperimento è stato ripetuto più volte, variando l’intensità del campo magnetico alle estremità superiore e inferiore della trappola. Risultato: quando i campi magnetici indeboliti erano esattamente bilanciati – dunque uguali in alto e in basso – circa l’80 per cento degli atomi di anti-idrogeno si annichilava nell’estremità inferiore della trappola. Insomma, quattro su cinque tendevano a scendere, più che a salire. Un risultato coerente con il comportamento che avrebbe una nube di comune idrogeno – dunque di normale materia – nelle stesse condizioni.
«Abbiamo così escluso», conclude Wurtele riferendosi all’ipotesi di cui dicevamo poc’anzi, «che l’antimateria venga respinta, invece che attratta, dalla forza gravitazionale». Un risultato che conferma dunque l’opinione prevalente, in accordo con le previsioni della relatività generale, secondo cui l’antimateria dovrebbe risentire degli effetti della gravità come la materia ordinaria. Ciò però ancora non garantisce che non possa esserci una differenza nell’azione della forza gravitazionale sull’antimateria, precisa Wurtele: solo una misura più precisa potrà dirlo.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature l’articolo “Observation of the effect of gravity on the motion of antimatter”, di
E. K. Anderson, C. J. Baker, W. Bertsche, N. M. Bhatt, G. Bonomi, A. Capra, I. Carli, C. L. Cesar, M. Charlton, A. Christensen, R. Collister, A. Cridland Mathad, D. Duque Quiceno, S. Eriksson, A. Evans, N. Evetts, S. Fabbri, J. Fajans, A. Ferwerda, T. Friesen, M. C. Fujiwara, D. R. Gill, L. M. Golino, M. B. Gomes Gonçalves, P. Grandemange, P. Granum, J. S. Hangst, M. E. Hayden, D. Hodgkinson, E. D. Hunter, C. A. Isaac, A. J. U. Jimenez, M. A. Johnson, J. M. Jones, S. A. Jones, S. Jonsell, A. Khramov, N. Madsen, L. Martin, N. Massacret, D. Maxwell, J. T. K. McKenna, S. Menary, T. Momose, M. Mostamand, P. S. Mullan, J. Nauta, K. Olchanski, A. N. Oliveira, J. Peszka, A. Powell, C. Ø. Rasmussen, F. Robicheaux, R. L. Sacramento, M. Sameed, E. Sarid, J. Schoonwater, D. M. Silveira, J. Singh, G. Smith, C. So, S. Stracka, G. Stutter, T. D. Tharp, K. A. Thompson, R. I. Thompson, E. Thorpe-Woods, C. Torkzaban, M. Urioni, P. Woosaree e J. S. Wurtele
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