Cosa perturba le orbite di alcuni corpi transnettuniani là al confine del Sistema solare? È l’attrazione gravitazionale di un mondo sconosciuto – l’ormai mitico Planet Nine, che gli astronomi inseguono da anni senza successo? O è quella della Via Lattea che, a certe distanze, si comporterebbe non come previsto da Newton ma come ipotizza la teoria alternativa proposta dal fisico israeliano Mordehai Milgrom – e diventata celebre con il nome di Mond? Ruota attorno a queste due ipotesi un lavoro teorico pubblicato a fine settembre su The Astronomical Journal da una coppia di astrofisici statunitensi, Katherine Brown dell’Hamilton College e Harsh Mathur della Case Western Reserve University. E la conclusione alla quale giungono è che la Mond, messa a punto per spiegare la curva di rotazione delle galassie senza dover fare ricorso alla materia oscura, potrebbe mostrare i suoi effetti anche nel Sistema solare esterno.
Una conclusione da prendere con le pinze, e i primi a sottolinearlo sono gli stessi autori dell’articolo. Sia per il ridotto insieme di dati sui quali si basa lo studio, sia perché le due ipotesi prese in considerazione dai due scienziati sono solo alcune delle possibili spiegazioni: molte altre potrebbero rivelarsi corrette – a partire da quelle di chi sostiene che le anomalie orbitali osservate nella fascia di Kuiper siano il frutto di errori d’osservazione o di selezione, per esempio. «Indipendentemente dal risultato», nota comunque Brown, «questo lavoro evidenzia il potenziale rappresentato dal Sistema solare esterno come laboratorio per testare la gravità e studiare i problemi fondamentali della fisica».
Vediamo dunque come Brown e Mathur sono giunti alla loro conclusione, e ancor più come abbiano deciso di intraprendere questa insolita linea di ricerca. La revisione della dinamica newtoniana proposta dalla Mond, principalmente come alternativa alla materia oscura, mostrerebbe infatti i suoi effetti là dove la forza gravitazionale è molto debole: ai confini delle galassie a spirale, per esempio, o negli ammassi aperti. L’idea di verificare se potesse mostrare la sua eventuale influenza anche nei nostri paraggi, diciamo, è venuta ai due astrofisici proprio con la scoperta, annunciata nel 2016, di perturbazioni orbitali nella fascia di Kuiper, da molti attribuite a un possibile nono pianeta.
L’idea inziale di Brown era che le previsioni della Mond avrebbero potuto rivelarsi incompatibili con le osservazioni che avevano motivato la ricerca di Planet Nine. «Volevamo vedere se i dati che sostengono l’ipotesi di un nono pianeta potessero escludessero effettivamente la Mond», ricorda Brown. In altre parole, forse era possibile usare quelle perturbazioni per falsificare l’ipotesi di Milgrom, anche se lo scetticismo al riguardo era notevole. «La Mond è ottima per spiegare le osservazioni su scala galattica», sostiene Mathur, che insieme a Brown ne ha studiato in passato gli effetti sulla dinamica delle galassie, «ma non mi aspettavo che avrebbe avuto effetti degni di nota sul Sistema solare esterno».
E invece la conclusione alla quale sono giunti è che qualche effetto potrebbe esserci. Solo che non falsificherebbe la Mond, anzi: quello che i calcoli di Mathur e Brown suggeriscono è che lo strano raggruppamento – clustering, è il termine tecnico – osservato di alcuni oggetti oltre l’orbita di Nettuno sarebbe proprio ciò che la Mond prevede. Questo perché nel corso di milioni di anni, spiegano, le orbite di alcuni oggetti del Sistema solare esterno sarebbero state trascinate fino ad allinearsi con il campo gravitazionale della Via Lattea. Secondo Mathur, «un allineamento sorprendente».
Per saperne di più:
- Leggi su The Astronomical Journal l’articolo “Modified Newtonian Dynamics as an Alternative to the Planet Nine Hypothesis”, di Katherine Brown e Harsh Mathur