UNA FIRMA CHIMICA DELL’ERA SPAZIALE

Metalli in stratosfera dal rientro di razzi e satelliti

Circa il dieci per cento delle particelle di aerosol presenti nella stratosfera contengono alluminio e altri metalli rilasciati dall’ablazione di satelliti e stadi di razzi durante il rientro. Una percentuale destinata ad aumentare, e che potrebbe indurre cambiamenti nello strato di aerosol stratosferico, spiega uno studio condotto da scienziati della Noaa e della Purdue University

     18/10/2023

Le prime avvisaglie di uno strano cambiamento in atto nella composizione chimica della stratosfera sono arrivate dalle stelle cadenti. «Quando una stella cadente attraversa l’atmosfera», ricorda Dan Cziczo, direttore del Dipartimento di scienze della Terra, dell’atmosfera e planetarie del College of Science della Purdue Univesity, «di solito il meteoroide brucia, senza diventare una meteorite, e dunque senza raggiungere il suolo. La materia di cui è composta la stella cadente rimane così nell’atmosfera sotto forma di ioni. Questi formano dapprima un gas molto caldo, successivamente inizia a raffreddarsi e a condensarsi in molecole che cadono poi nella stratosfera. Le molecole si ritrovano, si uniscono e formano quello che chiamiamo “fumo di meteorite”. Di recente gli scienziati si sono accorti che l’impronta chimica di queste particelle meteoritiche stava iniziando a mostrare variazioni, e questo ci ha portato a chiederci: “Cosa è cambiato?” Certo non è cambiata la composizione delle meteoriti. Ma il numero di veicoli spaziali… quello sì».

Crediti: Sorvegliati spaziali/Inaf

È sorto dunque il sospetto che l’aumento di lanci spaziali – e soprattutto di rientri di veicoli dallo spazio – possa alterare in modo sensibile la stratosfera. Per verificarlo, nei mesi di febbraio e marzo 2023 un team di ricercatori guidato da Dan Murphy della Noaa (la National Oceanic and Atmospheric Administration statunitense), team del quale fa parte anche Cziczo, ha fatto alzare più volte in volo una flotta di aerei (fra i quali un WB-57, un P-3, un DC-8 e un ER-2) fino a 19 km di altitudine – circa il doppio della quota di crociera dei normali aerei di linea – equipaggiati sul muso della fusoliera con un sistema per la raccolta di campioni di aerosol. L’analisi chimica di questi campioni ha confermato il sospetto degli scienziati: l’aumento delle missioni spaziali sta avendo un impatto anche sulla composizione della stratosfera. Con conseguenze – per esempio sullo strato protettivo di ozono – ancora tutte da valutare e comprendere.

Diamo qualche cifra. Ricerche recenti condotte su dati raccolti in Antartide stimano che ogni anno circa 5200 tonnellate di polvere extraterrestre – derivante per l’80 per cento da comete e per il 20 per cento da asteroidi – giungano sulla Terra. La quantità che entra in atmosfera, e che lì resta, è assai superiore: la maggior parte della massa meteorica – si legge nello studio di Murphy e colleghi, pubblicato questa settimana su Pnas – viene infatti depositata ad altitudini comprese tra 75 e 110 km, perlopiù da un numero elevatissimo di meteoroidi submillimetrici.

Dan Cziczo (Purdue Universityt), coautore dello studio pubblicato su Pnas, a fianco di uno degli aerei utilizzati equipaggiati – sul muso della fusoliera – con lo strumento per la raccolta di campioni di aerosol in stratosfera. Crediti: Purdue University photo/John Underwood

Rispetto a questi ultimi, i veicoli spaziali che rientrano in atmosfera sono ovviamente molti di meno, anche se parliamo comunque di diverse centinaia d’ingressi. Ma hanno in media una massa assai maggiore: ognuno può arrivare a depositare alcune tonnellate, rispetto ai microgrammi di un singolo meteoroide. Considerando il solo alluminio, i dati raccolti durante la campagna di ricerca mostrano che le particelle con alluminio migliorato proveniente da veicoli spaziali contengono almeno il 70 per cento dell’alluminio rilevato complessivamente nelle particelle stratosferiche. E se il flusso di alluminio da meteoroidi è stimato attorno alle 130 tonnellate all’anno, 20 delle quali bruciate per ablazione, l’alluminio rilasciato per ablazione dai veicoli spaziali di rientro si aggira sulle 210 tonnellate annue. Per non parlare di elementi come il litio, il rame e il piombo: la loro presenza nella stratosfera è dovuta quasi interamente ai detriti spaziali, scrivono gli autori dello studio.

Un contributo, questo dei lanci spaziali al contenuto in metalli della stratosfera, che non potrà che aumentare. Da qui al 2030 si prevede di possano entrare in orbita altri 50mila satelliti. Satelliti che nel migliore dei casi, per evitare il proliferare di pericolosi detriti spaziali, a fine missione si distruggeranno completamente grazie a manovre di rientro controllato. Questo però implica che, nei prossimi decenni, fino alla metà delle particelle di acido solforico stratosferico – rispetto al 10 per cento attuale – finirà per contenere metalli provenienti dal rientro, sottolineano Murphy e il suo team, ricordando come queste particelle svolgano un ruolo fondamentale nella salvaguardia e nel mantenimento dello strato di ozono.

«I cambiamenti dell’atmosfera possono essere difficili da studiare e complessi da capire», conclude Cziczo. «Ma ciò che la nostra ricerca mostra è che l’impatto sul pianeta dell’occupazione umana e del volo spaziale umano può essere significativo, forse più significativo di quanto ci siamo immaginati».

Per saperne di più:

  • Leggi su Proceedings of the National Academy of Sciences l’articolo “Metals from spacecraft reentry in stratospheric aerosol particles”, di Daniel M Murphy, Maya Abou-Ghanem, Daniel J Cziczo, Karl D Froyd, Justin Jacquot, Michael J Lawler, Christopher Maloney, John M C Plane, Martin N Ross, Gregory P Schill e Xiaoli Shen