Davanti alla precisione degli interferometri per onde gravitazionali si rimane a bocca aperta: i bracci lunghi quattro chilometri ciascuno dei rivelatori di Ligo riescono ad accorgersi di perturbazioni dello spazio-tempo ampie un millesimo del diametro di un protone. O diecimila miliardi di volte più piccole dello spessore di un capello umano, se preferite. Dimensioni inimmaginabili. Dimensioni alle quali gli effetti quantistici iniziano a farsi pesanti. Effetti come il crepitio del rumore prodotto dai fotoni all’interno dei tubi “sotto vuoto” nei quali corrono i fasci laser usati dall’interferometro per rilevare le contrazioni e le dilatazioni dello spazio-tempo dovute al passaggio di onde gravitazionali. Rumore che le leggi della meccanica quantistica – e in particolare il principio di indeterminazione di Heisenberg – rendono impossibile da eliminare del tutto, limitando così la sensibilità degli interferometri. Ma che la stessa meccanica quantistica aiuta ad aggirare. Come? Grazie a una tecnica chiamata quantum squeezing. Ebbene, gli scienziati di Ligo hanno ora annunciato in un articolo su Physical Review X di essere riusciti a implementare nell’interferometro uno squeezing dipendente dalla frequenza, superando così in sensibilità il limite quantistico e aumentando del 60 per cento il numero di eventi che Ligo potrà rivelare.
«La natura quantistica della luce crea il problema, ma la fisica quantistica ci fornisce anche la soluzione», dice a proposito dello squeezing la ricercatrice del Massachussetts Institute of Technology Lisa Barsotti, originaria di Livorno e oggi al Mit come supervisore dello sviluppo di questa nuova tecnologia per Ligo. La soluzione alla quale fa riferimento Barsotti consiste nell’impiego di particolari cristalli che trasformano un fotone in una coppia di fotoni entangled di energia inferiore. Ciò consente di realizzare fisicamente lo squeezing. «I fotoni arrivano con maggiore regolarità, come se si tenessero per mano invece di viaggiare in modo indipendente», spiega un altro dei fisici alla guida del progetto, Lee McCuller del Caltech. E grazie allo squeezing è possibile mettere in atto lo stratagemma che permette non di eliminare ma, almeno, di esercitare un controllo sugli effetti del principio di indeterminazione, consentendo di scegliere verso quale variabile “spingere” l’incertezza. Ovvero, nel caso di Ligo, di spostare il rumore più sulla frequenza o più sull’ampiezza.
A rendere vantaggioso il ricorso a questa tecnica è il fatto che il rumore quantistico ha componenti ad alta e a bassa frequenza, componenti per le quali la scelta di dove concentrare e dove invece ridurre l’incertezza non è equivalente. Relativamente le alte frequenze, ridurre l’incertezza sulla frequenza (o sulla fase) migliora la sensibilità di Ligo. L’effetto indesiderato è l’incremento del rumore di pressione della radiazione degli specchi alle basse frequenze. Rumore che viene invece limitato riducendo l’incertezza sull’ampiezza.
Per massimizzare i vantaggi occorre dunque un sistema di squeezing che permetta di “spostare” il rumore in base alla frequenza. Ed è esattamente ciò che riescono a fare le nuove cavità ottiche di Ligo, tubi lunghi ognuno quanto tre campi da calcio: consentono di “spremere” la luce in modo diverso a seconda della frequenza. «Prima eravamo costretti a scegliere dove volevamo che Ligo fosse più preciso», dice Rana Adhikari del Caltech. «Ora è come se fossimo riusciti a salvare capra e cavoli».
Il sistema sembra funzionare anche sul campo: Ligo lo sta applicando sin dall’inizio del run osservativo attualmente in corso, O4, iniziato il 24 maggio 2023. E anche l’interferometro italiano Virgo, che fino a ora non ha preso parte al run O4 ma che dovrebbe farlo nel marzo 2024, potrebbe impiegare questa nuova tecnologia.
Per saperne di più:
- Leggi su Physical Review X l’articolo “Broadband quantum enhancement of the LIGO detectors with frequency-dependent squeezing”, di D. Ganapathy et al.
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