Il nucleo di ferro liquido di Marte è più piccolo e denso di quanto si pensasse, e circondato da un guscio di roccia fusa. Sono i risultati di un nuovo studio condotto da un team di astronomi guidato dall’Eth di Zurigo sulla base dei dati sismici del lander InSight della Nasa.
Il lander InSight della Nasa è stato il primo manufatto progettato per studiare l’interno di Marte. La sonda è atterrata sul pianeta il 26 novembre del 2018, dopo oltre sei mesi di viaggio. Durante i suoi quattro anni di missione, il sismografo Seis, uno dei tre strumenti a bordo del landar, ha registrato diversi “martemoti”, tra cui due sismi con epicentro nel lato opposto a quello dove si trovava il lander: i più potenti mai registrati sul pianeta. Uno è avvenuto il 25 agosto 2021, al sol 976 della missione, l’altro si è verificato il 18 settembre 2021, al sol 1000, come conseguenza dell’impatto di un meteorite. Un team di ricercatori guidato da Amir Khan, geofisico dell’Istituto di geochimica e petrologia dell’Eth di Zurigo, in Svizzera, ha raccolto e analizzato i dati sismici di questi eventi, ottenendo nuove informazioni sulla dimensione e sulla composizione del nucleo di Marte.
«Anche se la missione si è conclusa nel dicembre 2022, abbiamo scoperto qualcosa di molto interessante», dice a questo proposito Khan.
L’analisi dei martemoti registrati, combinata con le simulazioni al computer, dipinge un nuovo quadro della struttura interna e della composizione del pianeta. I risultati dello studio, pubblicato ieri sulla rivista Nature, suggeriscono innanzitutto che Marte abbia un nucleo di dimensioni minori rispetto a quanto precedentemente determinato: dai circa 3.700 chilometri di diametro si passa a circa 3.300 chilometri. Si tratta di un ridimensionamento non eclatante, sufficiente però a risolvere un mistero che i ricercatori non riuscivamo a spiegare. Studi precedenti basati sull’analisi dei primi dati di Insight hanno suggerito che Marte abbia un nucleo grande (il 25 per cento della sua massa totale, pari a 6,42 x 1023 kg) con una densità media di 6,0–6,3 grammi per centimetro cubo, significativamente inferiore a quella del ferro liquido puro, pari a 8,1 grammi per centimetro cubo. Ciò implica la mescolanza con elementi leggeri come zolfo, carbonio, ossigeno e idrogeno, che costituirebbero circa il 20 per cento in peso. «Si tratta di una quota molto grande di elementi leggeri, al limite dell’impossibile», dice Dongyang Huang, ricercatore presso il Dipartimento di scienze della Terra dell’Eth di Zurigo, tra gli autori dello studio. «Da allora ci interroghiamo su questo risultato».
La nuova stima ottenuta dai ricercatori riduce sostanzialmente questa quantità, che scende tra il 9 e il 14 per cento in peso, valori spiegabili nel contesto dei tipici scenari di formazione planetaria, spiegano i ricercatori. Il fatto che il nucleo marziano contenga questa quantità di elementi leggeri indica che dev’essersi formato molto presto, forse quando il Sole era ancora circondato dal gas della nebulosa da cui gli elementi leggeri avrebbero potuto accumularsi nel nucleo di Marte, aggiungono i ricercatori. La diretta conseguenza di questa riduzione è l’aumento della densità, che passa a 6,65 grammi per centimetro cubo.
Come anticipato, un altro importante risultato di questa ricerca riguarda la struttura interna del pianeta. Marte, come altri pianeti rocciosi differenziati, è composto da un nucleo di lega di ferro ricoperto da un mantello di silicati e da una crosta solidi. La dicotomia nucleo fuso-mantello solido ha probabilmente origine da uno stadio iniziale di oceano di magma globale, durante il quale il ferro, più pesante, si è separato dai silicati, più leggeri, per formare un nucleo. Il nuovo studio modifica questa stratificazione, aggiungendo tra i due gusci precedentemente noti un nuovo strato. I risultati della ricerca indicano infatti che stretto tra il nucleo liquido e il mantello solido ci sia un guscio di silicati fusi spesso 150 chilometri con una densità di circa 4,05 grammi per centimetro cubo.
Per giungere a questa conclusione i ricercatori hanno determinato le proprietà di un’ampia varietà di leghe di ferro utilizzando sofisticate simulazioni eseguite presso il Centro nazionale svizzero di supercalcolo (Cscs) di Lugano, in Svizzera. Quando hanno confrontato i profili simulati con le misurazioni basate sui dati sismici di InSight, hanno però riscontrato un problema: nessuna lega di ferro corrispondeva contemporaneamente sia alla parte esterna che alla parte interna del nucleo di Marte. Il motivo? L’abbiamo anticipato: la presenza di uno “strato di mezzo” fatto di silicati, lo stesso materiale, ma in forma fusa, di cui è composto il mantello del pianeta.
«Ci abbiamo messo un po’ per capire che la regione che in precedenza pensavamo fosse il nucleo esterno di ferro liquido, in realtà è la parte più profonda del mantello», osserva Huang. I risultati di questo studio sono stati confermati anche da un altro lavoro di ricerca, pubblicato anch’esso su Nature, in cui i ricercatori, utilizzando metodi complementari, sono arrivati a una conclusione simile.
«È stato un peccato che i pannelli solari impolverati e la conseguente mancanza di energia abbiano reso impossibile a InSight fornirci dati aggiuntivi, che avrebbero potuto far luce sulla composizione e la struttura dell’interno di Marte, concludono i ricercatori. Nonostante questo, InSight è stata una missione di grande successo, che ci ha fornito molti nuovi dati e approfondimenti che verranno analizzati negli anni a venire.
Per saperne di più, leggi su Nature gli articoli:
- “Evidence for a liquid silicate layer atop the Martian core” di A. Khan, D. Huang, C. Durán, P. A. Sossi, D. Giardini e M. Murakami
- “Geophysical evidence for an enriched molten silicate layer above Mars’s core” di Henri Samuel, Mélanie Drilleau, Attilio Rivoldini, Zongbo Xu, Quancheng Huang, Raphaël F. Garcia, Vedran Lekić, Jessica C. E. Irving, James Badro, Philippe H. Lognonné, James A. D. Connolly, Taichi Kawamura, Tamara Gudkova e William B. Banerdt