Il 16 aprile 2023 il Superpressure Balloon-borne Imaging Telescope (SuperBit) della Nasa è stato sollevato fino a 33 km di altitudine, nella stratosfera terrestre, da un pallone aerostatico a superpressione riempito di elio. Partito da Wanaka, in Nuova Zelanda, è stato poi trasportato verso est dai venti stagionali del vortice polare, ha circumnavigato la Terra circa 5,5 volte in una quarantina di giorni ed è atterrato in Argentina il 25 maggio 2023, a una latitudine compresa tra i 40 e i 50 gradi sud. Durante il volo, il telescopio ha acquisito immagini ottiche e nel vicino ultravioletto di ammassi di galassie e altri oggetti, godendo del vantaggio – rispetto ai telescopi di terra – di avere sotto di sé il 99.5 per cento dell’atmosfera e delle sue turbolenze ottiche. Atterrando, il telescopio è andato distrutto. Fortunatamente, però, nulla è andato perduto: i dati raccolti erano stati archiviati in quattro capsule contenenti 5 TB di memoria dati allo stato solido chiamate Data ricovery systems (Drs), due delle quali sono state rilasciate dal telescopio in volo e recuperate con successo. Lo racconta il team di SuperBit in un articolo pubblicato nella rivista Aerospace.
Il sistema di recupero, progettato dagli scienziati delle università di Sydney e Durham, era al suo primo utilizzo durante una missione scientifica, ed è stato un successo. Non solo ha funzionato, archiviando circa 200 Gb di dati sulla materia oscura che circonda gli ammassi di galassie, ma – considerando il triste epilogo della missione e l’interruzione delle comunicazioni satellitari – senza la sua presenza l’esito della missione scientifica sarebbe forse compromesso. Il tutto, scrivono gli autori nell’articolo che fornisce tutte le indicazioni per costruirlo, con il vantaggio di una spesa contenuta.
Il pacchetto contenente il Drs lo vedete nell’immagine in alto a destra, mentre veniva assemblato dalla prima autrice dell’articolo – la ricercatrice che l’ha progettato, Ellen Sirks della Scuola di fisica dell’Università di Sydney – e Ajai Gill, uno studente di dottorato dell’Università di Toronto. Oltre alla memoria stessa per l’archiviazione dei dati, che vedete invece in dettaglio nell’altra immagine qui sotto, la capsula conteneva un ricevitore Gnss per rilevarne posizione, un trasmettitore per comunicare la posizione alla squadra di recupero e un paracadute. Il tutto alloggiato in involucri in schiuma e sacchetti commerciali impermeabili. «Quelli del pollo arrosto», rivela la prima autrice.
La storia del recupero dei pacchetti – una vera e propria missione – è rocambolesca. I pacchetti, infatti, sono caduti in un territorio accidentato e il recupero ha avuto bisogno del sostegno della polizia locale. «All’inizio non riuscivamo a trovarne uno e, quando l’abbiamo trovato, c’erano lì vicino, nella neve, tracce di puma. E abbiamo pensato che forse il sacchetto di pollo arrosto non fosse stata l’idea migliore», racconta Sirks. «È stato piuttosto divertente. Ma li abbiamo recuperati abbastanza facilmente».
La posizione in cui sono caduti i due Drs era nota abbastanza precisamente, grazie al sistema tipo “trova il mio telefono” incluso nel device. Dopo il rilascio dal telescopio sopra l’Argentina, le capsule sono andate alla deriva per 61 km in orizzontale mentre scendevano per 32 km circa. A causa dell’elevata velocità di caduta, delle raffiche di vento e della topografia locale, il team è riuscito a prevedere i loro vettori di discesa entro 2,4 km. Grazie al sistema di geolocalizzazione posto all’interno delle capsule stesse, però, una volta atterrate è stato possibile conoscere la loro posizione con un’approssimazione di pochi metri.
«Questo pacchetto di lancio è stato sviluppato per circa cinque anni, ma solo ora siamo riusciti a testarlo nella sua configurazione finale», dice Sirks. «Siamo arrivati al punto che la Nasa vuole iniziare a produrre questi pacchetti anche per altre missioni scientifiche, quindi questo era davvero il nostro test finale per dimostrare che questo sistema funziona».
Le osservazioni con palloni aerostatici, spiegano infatti gli autori, offrono la qualità dei telescopi spaziali con il vantaggio di costare molto meno: milioni di dollari, contro i miliardi di una missione spaziale come Jwst o Euclid. Riportare i dati a terra attraverso sistemi come quello testato su SuperBit, inoltre, consente di superare il problema dell’inefficienza di scaricare i dati dal satellite, e gli eventuali guasti che possono verificarsi come accaduto durante questa missione. Copiare i dati su un disco a stato solido e scaricarli fisicamente a terra con un paracadute, secondo gli autori, per quanto possa sembrare un’idea un po’ folle, si è dimostrato il metodo più efficiente e sicuro.
Per saperne di più:
- Leggi su Aerospace l’articolo “Data Downloaded via Parachute from a NASA Super-Pressure Balloon”, di Ellen L. Sirks, Richard Massey, Ajay S. Gill, et al.