È un po’ come nel film Oppenheimer, con le bocce di vetro che si riempiono di biglie per rappresentare lo stato dell’approvvigionamento di uranio-235 e plutonio-239. Qui però parliamo di plutonio-238, l’isotopo comunemente usato negli Rtg per missioni spaziali, i generatori termoelettrici a radioisotopi. Più precisamente, di mezzo chilo di ossido di plutonio: a tanto ammonta, infatti, la consegna ora effettuata dall’Oak Ridge National Laboratory del Doe – il Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti – al Los Alamos National Laboratory.
Mezzo chilo, dicevamo: è la spedizione più grande dal riavvio della produzione nazionale di plutonio-238, avvenuto oltre un decennio fa. Una produzione che negli ultimi sessant’anni, prima di interrompersi, aveva fornito la “materia prima” per dare energia a circa tre dozzine di missioni spaziali. L’obiettivo del riavvio, scrive la Nasa, è di arrivare entro il 2026 a una produzione media continuativa di 1,5 kg all’anno.
I sistemi di alimentazione a radioisotopi, o Rps, consentono ai veicoli spaziali di esplorare alcune delle destinazioni più profonde, oscure e lontane del Sistema solare e oltre. Sono sistemi che sfruttano il decadimento naturale del radioisotopo plutonio-238 per fornire calore – a una sonda spaziale, o a mezzi come lander e rover – sotto forma di unità di riscaldamento a radioisotopi leggere (Lwrhu), oppure calore ed elettricità attraverso sistemi come i cosiddetti Mmrtg, i generatori termoelettrici a radioisotopi multi-missione.
Nell’ambito di una collaborazione di lunga data per garantire il funzionamento delle missioni Nasa che richiedono radioisotopi, il Doe ha già prodotto l’ossido di plutonio necessario ad alimentare il sistema di alimentazione a radioisotopi per missioni come, per esempio, Mars 2020. Il rover Perseverance è stato infatti il primo veicolo spaziale a beneficiare di questo riavvio del programma di produzione di plutonio da parte del Doe: un Mmrtg fornisce continuamente al rover Nasa, grande come un’automobile, sia il calore necessario a sopravvivere al freddo marziano, sia circa 110 watt di elettricità, consentendo così l’esplorazione della superficie di Marte e la raccolta di campioni di terreno per un futuro recupero.