Le cronache spaziali di questi giorni seguono con attenzione le sofferte vicende della missione alla Luna Peregrine, della compagnia privata americana Astrobotic, con base a Pittsburgh in Pennsylvania. Dopo mezzo secolo dalla conclusione delle missioni Apollo (l’ultima, la numero 17, conclusasi nel dicembre 1972), Peregrine avrebbe dovuto inaugurare – così erano i piani – il ritorno degli Stati Uniti sulla superficie lunare, sia pure con una sonda automatica senza uomini a bordo.
Come da sempre, nell’avventurosa corsa alla Luna, si affiancano alle motivazioni scientifiche anche – e soprattutto – motivazioni “politiche”, dato l’indubbio prestigio e il marchio di leadership strategica che riveste la capacità tecnologica di navigare e posarsi su un altro corpo celeste. Impresa, per la verità, riuscita ad assai pochi attori internazionali, dopo la fortunata serie degli allunaggi americani degli anni ’70 – ancor più strabilianti, a questo punto, visti in questa prospettiva storica.
Se l’approdo alla Luna è riuscito al momento solo a quattro Paesi (Unione Sovietica, Stati Uniti, Cina e India), forse a breve cinque se la missione giapponese Slim avrà successo, per quanto riguarda le compagnie private siamo ancora a zero. Oltre alla missione Peregrine, infatti, solo gli israeliani con la sonda Beresheet e i giapponesi con la Hakuto-R hanno tentato, in anni recenti, il “colpo grosso” di un allunaggio morbido. In ambedue i casi però le difficoltà tecniche dell’operazione hanno portato allo schianto delle sonde, rispettivamente l’11 aprile 2019 e il 25 aprile 2023.
Questa poteva essere anche la sorte di Peregrine, purtroppo sfuggita di mano al controllo da terra appena sette ore dopo il lancio per un problema al sistema propulsivo di bordo (forse la rottura di un serbatoio), che ha ostacolato la corretta orientazione verso il Sole dei pannelli fotovoltaici indispensabili per l’alimentazione dei sistemi di bordo. La situazione è stata parzialmente recuperata dalla Astrobotic e, in accordo con la Nasa, è stato deciso che la Peregrine avrebbe fatto una fine forse meno gloriosa e violenta, ma più “ecologica”. Domenica 14 gennaio la sonda infatti è riuscita a modificare il suo cammino puntando di nuovo verso la Terra, dove arriverà nella tarda serata di domani, giovedì 18 gennaio, bruciando in atmosfera sopra l’Oceano Pacifico.
Partita da Cape Canaveral lo scorso 8 gennaio, spinta da un lanciatore Vulcan-Atlas bistadio della United Launch Alliance (Ula, altra compagnia privata statunitense, a supporto delle attività di lancio Nasa) alla missione è stato attribuito il codice Cospar 2024-006 e Norad 58751.
Dopo il lancio, il secondo stadio del Vulcan ha dato l’impulso finale all’astronave in modo da alzarne progressivamente la quota orbitale terrestre fino ad intercettare ed entrare nella regione di influenza gravitazionale della Luna (la cosiddetta “sfera di Hill” lunare). Alla fine del suo impulso, l’ultimo stadio del missile si è staccato dall’astronave e ha continuato la sua corsa lasciando il nostro pianeta ed entrando in orbita attorno al Sole. L’atterraggio della sonda sulla superficie lunare era previsto per il 23 febbraio 2024.
A valle di queste manovre, il 12 gennaio alle 21:30 Ut, l’astronave Peregrine è stata intercettata con i telescopi dello strumento Tandem per la sorveglianza spaziale e tracking (Sst), presso la Stazione osservativa di Loiano (BO) dell’Osservatorio Inaf di astrofisica e scienze dello spazio (Oas) di Bologna (Figura 1). Immediatamente dopo, in preparazione alle ulteriori delicatissime manovre di “sgancio” orbitale e avvicinamento alla superficie, sono sopraggiunti i problemi al sistema propulsivo portando domenica scorsa alla definitiva decisione di abortire la missione e fare rientro a Terra.
«La disintegrazione in atmosfera avverrà circa alle 23 (ora di Greenwich) del 18 gennaio», dice Albino Carbognani, astronomo all’Inaf di Bologna, sulla base delle osservazioni Tandem insieme a quelle di altri osservatori. «Considerando le osservazioni astrometriche delle ultime ore, la Peregrine probabilmente brucerà il 18 gennaio alle 21 ora di Greenwich nel cielo sopra l’Oceano Pacifico». La stima del luogo di impatto con l’atmosfera va presa comunque con cautela, perché potrebbero esserci cambiamenti di rotta dell’ultimo momento a vanificare le previsioni. Va inoltre sottolineato che durante il rientro la navicella verrà completamente polverizzata.
Qualche giorno dopo le osservazioni Tandem, il 15 gennaio, sempre da Loiano, questa volta l’occhio più potente del telescopio Cassini di 152 cm di diametro, equipaggiato con la camera BFosc, ha intercettato anche l’ultimo stadio del Vulcan, ormai “perso” nello spazio interplanetario. «Sulla base alle posizioni astrometriche ottenute da Loiano», continua Carbognani, «sembra che l’ultimo stadio del Vulcan attualmente si muova su un’orbita eliocentrica con semiasse maggiore di 1.1 unità astronomiche, a bassissima inclinazione sull’eclittica e a moderata eccentricità».
Sarà dunque quella di una luminosa meteora sul cielo australiano o nell’Oceano Pacifico la fine prevista per la piccola astronave Peregrine (delle dimensioni di circa due metri e del peso di una tonnellata, con circa 100 kg di carico utile).
A bordo, oltre agli esperimenti scientifici, si trovano anche campioni di ceneri del creatore di Star Trek Gene Roddenberry e del famosissimo scrittore di fantascienza Arthur C. Clarke: non riposeranno sulla Luna quindi, ma il destino ha voluto che facciano ritorno a casa, per disperdersi nella nostra atmosfera.
Chi volesse seguire la vicenda della Peregrine può leggere le press release che la Astrobotics emette quotidianamente sul suo sito.