Sono appena uscite le nuove immagini del buco nero supermassiccio al centro della galassia M87, distante 55 milioni di anni luce da noi. Come riportato nel comunicato stampa, non ci sono grosse differenze tra l’immagine pubblicata nel 2019 e le nuove. Se da un certo punto di vista questo potrebbe rendere l’aggiornamento abbastanza noioso, in realtà per gli scienziati significa un grosso sospiro di sollievo. Immaginate se la nuova immagine di M87 non avesse mostrato una ciambella o se la ciambella fosse stata più luminosa in alto. Avrebbe voluto dire che gli scienziati non stanno capendo un granché di come ottenere l’immagine di un buco nero e che forse non c’è nessun buco nero in M87. Cerchiamo di capire il perché con Luciano Rezzolla, astrofisico della Goethe University di Francoforte e principal investigator di BlackHoleCam, che ci spiega l’importanza di questo risultato e cosa si potrebbe ancora fare, soprattutto con un altro buco nero supermassiccio di nostro interesse.
Questa nuova immagine sembra del tutto simile alla precedente: è cosa buona e giusta?
«La nuova immagine, appena pubblicata, ha tutte le caratteristiche che ci aspettiamo da M87*: lo stesso ring con questa asimmetria nord-sud legata all’inclinazione del disco. Le dimensioni dell’ombra sono esattamente le stesse dell’immagine precedente, entro l’ordine degli errori rilevati. La cosa più rilevante è che in questa immagine il massimo della luminosità è decisamente più chiaro e intenso, e spostato leggermente in basso a destra rispetto a quella che abbiamo visto nel 2017. Il fatto che la nuova immagine sia molto simile può apparire come noioso ma è invece da vedere come un grosso successo perché questo è proprio quello che ci aspettiamo. I tempi scala di variazione dell’emissione su scale dell’orizzonte di M87 sono dell’ordine di giorni, 24 o 48 ore, e non c’è nessuna ragione di credere che l’immagine del 2018 sia correlata in qualche modo con quella del 2017, se non per quegli aspetti che cambiano su tempi scala molto più lunghi, vale a dire, la massa del buco nero (che cambia su tempi scala di milioni di anni) e l’orientazione dello spin (che può cambiare per accrescimento o precessione). Quindi ci aspettiamo sempre una “ciambella”, asimmetrica, più luminosa in basso e, laddove la luminosità in basso è presente, la sua posizione dipende dalle condizioni in cui è stata fatta l’immagine nel 2018. Il fatto che le nostre aspettative siano state rispettate è una grossa conferma che la nostra analisi era corretta e che la teoria torna perfettamente con le osservazioni».
Quindi la novità di questa immagine, che in realtà sembra non portare con sé nulla di nuovo, risiede solo nell’utilizzo di nuovi dati?
«Ci sono due importanti novità, sia dal punto di vista dell’acquisizione dei dati, sia dal punto di vista della loro analisi. L’acquisizione dei dati beneficia dell’impiego di due nuovi telescopi, uno in particolare è il Greenland Telescope, che è entrato in funzione nel 2018 e queste immagini sono state tra le prime che ha fatto. Si tratta di un telescopio gestito da un gruppo di scienziati dell’Academia Sinica in Taiwan e di Harvard, situato in Groenlandia, ed è la controparte del South Pole Telescope (quindi su zone caratterizzate da una latitudine estremamente alta o bassa, rispettivamente, che hanno la possibilità di vedere la sorgente per molto tempo). L’altro telescopio è Lmt (il Large Millimeter Telescope, in Messico) che ha fatto osservazioni con un disco di 50 metri e quindi ci ha aiutato ad aumentare la sensibilità. L’impiego di questi due telescopi aggiuntivi ci ha permesso di migliorare la risoluzione angolare poiché nell’interferometria, più linee di base si hanno, maggiori sono le possibilità di vedere i dettagli. Dal punto di vista dell’analisi dei dati, abbiamo utilizzato le stesse pipeline usate sui dati del 2017, più tutta una serie di altre pipeline che sono state create nel frattempo. Alla fine, abbiamo otto diverse pipeline che gestiscono l’analisi dei dati e tutte queste sono state confrontate, validate e calibrate tra di loro. Quindi possiamo dire che è cresciuta la qualità dei dati e anche la confidenza con cui li analizziamo».
Insomma, M87* sembra essere un buco nero abbastanza noioso…
«Proprio perché M87* è un buco nero che cambia lentamente, non ci aspettiamo di vedere grandi cambiamenti. Cambia troppo lentamente – almeno per le nostre scale temporali umane – per vedere cose che abbiano a che fare con le proprietà di un buco nero come predetto dalla relatività generale, ossia la massa e lo spin. Inoltre, le nostre osservazioni non sono abbastanza frequenti per poter osservare delle caratteristiche che potrebbero cambiare a distanza di pochi giorni, come ad esempio un’emissione concentrata da uno spot che si sposti nel disco di accrescimento. Sarebbe interessante poter fare delle osservazioni su periodi di tempo un po’ più lunghi e ravvicinati in tempo (le osservazioni di Eht sono fatte annualmente in primavera) ma purtroppo non sono in programma, perché già riuscire ad avere una settimana di fila non è assolutamente facile, visto che significa vincere una serie di proposal e la competizione per questi telescopi è agguerrita».
Questa nuova campagna osservativa ha riguardato anche l’osservazione di SgrA*?
«Sì, queste nuove osservazioni le abbiamo anche per SgrA* ma non le abbiamo ancora pubblicate… lo faremo presto. SgrA* ha le solite complicazioni, perché è molto più variabile ed è molto più difficile fare un’analisi. Il problema delle osservazioni di SgrA è che la sua distribuzione di luminosità delle immagini statiche non ci dice necessariamente qualcosa di fisico. Ad esempio, le tre macchie più luminose evidenti nell’immagine del buco nero al centro della nostra galassia pubblicate nel 2022 non sono il risultato di concentrazioni di emissione particolare, poiché quell’immagine è la media di quattro immagini rappresentative delle quattro categorie nelle quali abbiamo distinto le migliaia di immagini che sono compatibili con le osservazioni. In questo senso, quello che potrebbe succedere con una nuova immagine di SgrA* è che si otterrà qualcosa di completamente diverso. Per quanto poco intuitivo, questo sarebbe un’altra forte conferma della robustezza delle nostre conclusioni. Detto questo, il vero progresso per SgrA* arriverà quando avremo “domato” la tecnica che chiamiamo di “immagine dinamica” (dynamical imaging) e che ci consentirebbe di fare dei brevi filmati di SgrA*».
Quindi riuscire a fare queste immagini non una volta ogni due o tre anni bensì più volte nello stesso anno?
«Attualmente, facciamo l’osservazione interferometrica di circa otto-dieci ore e solo alla fine di questo tempo abbiamo ottenuto informazioni sufficienti per fare un’immagine statica. Fare imaging dinamico significa provare a ottenere un’immagine anche quando non si ha l’intera informazione (ossia la traccia nel piano uv), bensì soltanto una parte. Questo ci consente di avere un’immagine parziale che è meno dettagliata ma, con il software, è possibile compensare questa mancanza di informazioni estrapolando quello che ci si aspetta di ottenere. Chiaramente, le estrapolazioni comportano delle assunzioni su emissioni che avverranno in un futuro prossimo, e questo ha delle implicazioni su quello che si ottiene, e sulla sua robustezza. Per queste ragioni ci sono ancora molti aspetti di questa tecnica che dobbiamo comprendere a fondo».
Quindi, riassumendo, utilizzando due radiotelescopi e una nuova campagna osservativa avete confermato i risultati precedenti.
«Sì, e questo è importante per una serie di ragioni. Quello che abbiamo visto è esattamente quello che ci aspettavamo. Ad esempio, se avessimo visto che nella ciambella l’emissione fosse stata nella zona in alto, questo sarebbe stato in contraddizione con quello che abbiamo concluso in passato, perché abbiamo associato l’asimmetria dell’immagine all’inclinazione del disco. L’inclinazione del disco non può variare se non sui tempi scala di variazione dello spin, e i tempi di variazione dello spin non possono cambiare da un anno all’altro perché, o tramite accrescimento o tramite precessione, comunque i tempi scala sono molto più lunghi di quelli dal 2017 al 2018. Quindi, questo risultato è importante perché va a confermare la robustezza dell’interpretazione. Secondo la relatività generale e la fisica dei plasmi, ciò che vediamo è esattamente quello che ci aspettavamo, in accordo con un flusso di accrescimento turbolento e qui la asimmetria globale è nord sud. Ma dove siano posizionate le concentrazioni di luce dipende dal momento in cui stiamo guardando. Confermare un risultato non è mai tanto entusiasmante quanto trovare il risultato la prima volta, ma per gli scienziati significa anche un grosso sospiro di sollievo».
Per saperne di più:
- Leggi il comunicato stampa
- Leggi su Astronomy & Astrophysics l’articolo “The persistent shadow of the supermassive black hole of M 87” della The Event Horizon Telescope Collaboration