INTERVISTA A MICHELE GUZZINI, AUTORE DELLA APOD DEL 16 GENNAIO

L’Orione che si può quasi vedere

Protagonista dell’Astronomy Picture of the Day della Nasa del 16 gennaio 2024 è Orione. Autore del suggestivo scatto è un ingegnere italiano, Michele Guzzini di Recanati, che lo ha ripreso in una fredda notte di dicembre, sui monti Sibillini. Media Inaf lo ha raggiunto per conoscerlo e carpire i segreti che hanno permesso di ottenere questa impressionante vista del Cacciatore

     19/01/2024

Astronomy Picture of the Day della Nasa del 16 gennaio 2024: l’Orione che si può quasi vedere. Crediti: M. Guzzini

Protagonista della Astronomy Picture of the Day (Apod) della Nasa del 16 gennaio 2024 è Orione, il Cacciatore. La supergigante rossa Betelgeuse, in alto a sinistra, svetta in una forte tonalità arancione. Numerose le stelle blu della costellazione, con la supergigante Rigel in basso a destra e Bellatrix in alto a destra. Nella cintura di Orione, si distinguono allineate le sue tre stelle – Alnitak, Alnilam e Mintaka – tutte distanti circa 1500 anni luce, nate dalle nubi interstellari. Appena sotto la cintura di Orione si trova una macchia luminosa e sfuocata, nota come Nebulosa di Orione. Infine, appena visibile a occhio nudo, l’Anello di Barnard: un’enorme nebulosa a emissione gassosa che circonda la cintura e la Nebulosa di Orione.

Autore di questo suggestivo scatto è un ingegnere italiano, Michele Guzzini, nato nel 1987 a Recanati, dove risiede. Media Inaf lo ha raggiunto, per conoscerlo, carpire i segreti che hanno permesso di ottenere questa impressionante vista e ascoltare il racconto della sua esperienza.

Orione, una delle più belle e brillanti costellazioni del cielo invernale. Da quanto tempo ha maturato la scelta di riprendere proprio il Cacciatore?

«La costellazione di Orione, alle nostre latitudini, è probabilmente l’area di cielo più interessante da fotografare durante la stagione invernale. È ricca di zone di formazione stellare, nebulose a emissione e a riflessione, nebulose scure e regioni di idrogeno ionizzato. Le più celebri e riconoscibili sono sicuramente la grande nebulosa di Orione (M42) e la nebulosa Testa di Cavallo. Questo complesso nebuloso, nelle sue formazioni principali, ha una dimensione apparente in cielo di circa 30°x20°, ideale per essere ripreso con una macchina fotografica full frame e obbiettivo da 85mm. Con questo campo inquadrato, l’anello di Barnard sembra abbracciare le altre nebulose in un disegno perfetto. Quando vidi l’Apod del 23 ottobre 2010 ne rimasi stregato, da allora ho sempre sognato di riprendere questa zona di cielo».

Come ha fatto a fotografarla così magnificamente?

«Per farlo, occorre necessariamente un sensore dedicato all’astrofotografia oppure una macchina fotografica modificata, dato che l’idrogeno emette in lunghezze d’onda che vengono filtrate dalle classiche fotocamere. Insieme – e grazie – al mio caro amico Lorenzo Cappella, anche lui astrofilo, abbiamo modificato la mia Nikon Z6 per aumentarne la sensibilità nella lunghezza d’onda dell’H-alpha. Durante una sessione di astrofotografia lo scorso novembre, sempre sui Sibillini, avevo già fatto alcuni scatti di prova su Orione. Era ancora troppo basso sull’orizzonte e non ero riuscito a fare l’inquadratura perfetta, ma avevo capito che c’era un grande potenziale».

Michele Guzzini, ingegnere meccanico, nato nel 1987 a Recanati. Autore della Apod Nasa del 16 gennaio 2024. Crediti: M. Guzzini

Quando e dove ha scattato questa fotografia?

«Dal mio terrazzo di casa ho la vista su tutto il gruppo dei Sibillini, quindi riesco a valutare le condizioni atmosferiche, in particolare al tramonto, e capire se sarà la serata ideale. Così, domenica 17 dicembre, con meteo e Luna a favore, all’ultimo minuto decido di partire. Setup minimale, Nikon Z6 modificata, Nikon Z 85mm F/1.8 e inseguitore Star Adventurer. Arrivo sul posto, in località Sassotetto, a circa 1500m s.l.m.. Non è il punto più buio dei Sibillini, ma ha il vantaggio di avere, in direzione sud, per alcuni chilometri, soltanto montagne. C’era più neve e ghiaccio di quanto pensassi, nonostante ciò sono riuscito senza troppi problemi ad allineare la montatura e iniziare subito le riprese. Il freddo sicuramente non aiutava me, ma aiutava la macchina fotografica. La bassa temperatura, sotto gli 0°, permette di ottenere immagini ancora più pulite limitando gli effetti del riscaldamento sul sensore di ripresa. Col passare del tempo le condizioni del cielo sembravano migliorare, quindi ho scattato quante più foto possibili, ma sinceramente temevo che non sarebbero state sufficienti per ottenere il risultato sperato».

Operativamente, come si fa a ottenere un’immagine così?

«I giorni successivi mi sono dedicato all’elaborazione, ero impaziente di vedere i risultati, ma questa fase richiede in realtà molto tempo. Inizialmente vanno calibrate e integrate tutte le riprese fatte, in questo modo si ottiene una singola immagine che contenga quanto più segnale possibile, poi si passa alla vera e propria fase di processing. In totale ho utilizzato 56 foto da 120 secondi a F/2.5. Dopo alcune prove, mi sono accorto che avrei dovuto cambiare qualcosa nel mio workflow. In particolare, ho sviluppato un metodo più efficace per la rimozione del gradiente proveniente dall’inquinamento luminoso, purtroppo anche qui presente e ancora più evidente nelle immagini a campo largo. Sono riuscito a modellare in maniera molto precisa la luce artificiale presente nelle riprese; una volta rimossa, tutte le nebulose, anche le più deboli, si sono rivelate. Un’altra fase importante è quella di riduzione stellare: con la fotografia a lunga esposizione si catturano così tante stelle che vanno quasi a confondere l’occhio e nascondere le nebulose. Completato anche questo passaggio avevo capito di essere riuscito a realizzare la foto che speravo».

Quando è nata la sua passione per il cielo stellato?

«Sin da giovane, ho coltivato la passione per l’astronomia. Mi sono avvicinato alla fotografia astronomica nel 2008, grazie al mio caro amico di lunga data, Lorenzo. Con il suo telescopio e la sua macchina fotografica, abbiamo catturato le prime foto e iniziato a studiare le tecniche di astrofotografia. Insieme abbiamo conosciuto Gianclaudio e gli altri amici dell’associazione Crab Nebula: Angelo, Fabiano, Francesco e Giuseppe. Con loro attualmente gestiamo il Centro Astronomico Gianclaudio Ciampechini, costruito con le nostre mani. Negli anni più recenti, grazie anche agli avanzamenti tecnologici con le nuove fotocamere e obiettivi sempre più performanti, mi sono dedicato in particolare alla fotografia notturna paesaggistica e alla fotografia astronomica a largo campo, cercando luoghi suggestivi e lontani dall’inquinamento luminoso. I monti Sibillini sono diventati il mio rifugio per questo genere di fotografia, poiché sono a breve distanza da casa e posso contare su un comodo punto logistico nella zona. Tuttavia, anche qui, l’inquinamento luminoso è in costante aumento. La mia speranza è che, attraverso il mio lavoro, possa sensibilizzare un numero sempre maggiore di persone su questo problema ambientale».

Per fare astrofotografia immagino occorra pazienza e grande sopportazione, soprattutto quando è freddo. C’è un messaggio che vuole lasciare ai nostri lettori, oltre a questa meravigliosa foto?

«Gli astrofotografi sono sempre alla ricerca dell’ultimo sensore, dell’ultimo ausilio tecnologico o software che possa portare a un risultato migliore, ma c’è molto di più: l’astrofotografia ti arricchisce insegnandoti dedizione, pazienza e un profondo rispetto per la bellezza del cielo stellato. Attraverso la tecnica e la passione, cerco di condividere con gli altri le meraviglie dell’universo, invitandoli a sollevare lo sguardo e a porsi domande. Quando stiamo sotto un cielo stellato, con il telescopio, la macchina fotografica o semplicemente con gli occhi all’insù, ci rendiamo conto di essere parte di qualcosa di unico e apparentemente senza tempo, che accumuna tutti gli esseri che abbiano mai vissuto sul pianeta terra, il nostro tenue puntino blu».