SINERGIE TRA OSSERVATORI A TERRA E NELLO SPAZIO

Lisa e il futuro delle onde gravitazionali

Qual è la differenza tra Lisa, la missione appena approvata dall'Esa che osserverà le onde gravitazionali dallo spazio, ed esperimenti come Ligo, Virgo e il futuro Einstein Telescope? Chi osserverà più lontano? E come potranno collaborare, un giorno, tutti questi rivelatori per cercare di afferrare alcuni dei fenomeni più enigmatici dell'Universo? Ne parliamo con Oliver Jennrich, Lisa project scientist dell'Esa

     25/01/2024

Illustrazione artistica ispirata alla missione spaziale Lisa. Crediti: Esa, Cc By-Sa 3.0 Igo

Il 25 gennaio 2024, il Science Programme Committee dell’Agenzia spaziale europea (Esa) ha approvato la missione Laser Interferometer Space Antenna (Lisa), il primo osservatorio spaziale di onde gravitazionali. Questo passo importante, formalmente chiamato “adozione”, riconosce che l’idea e la tecnologia della missione sono sufficientemente avanzate e dà il via libera alla costruzione, che inizierà a gennaio 2025 una volta affidato l’appalto industriale.

Il lancio di Lisa è previsto per il 2035 a bordo di un razzo Ariane 6. La missione sarà formata da tre sonde, disposte nello spazio in un triangolo equilatero estremamente preciso che seguirà la Terra nella sua orbita attorno al Sole. Le tre sonde si scambieranno raggi laser su distanze pari a 2,5 milioni di chilometri, ovvero più di sei volte la distanza Terra-Luna.

Tra gli obiettivi scientifici di Lisa, rilevare le fluttuazioni nel tessuto spaziotemporale causate, in tutto l’Universo, dalla fusione dei buchi neri supermassicci che si trovano al centro delle galassie, per comprendere meglio l’origine di questi misteriosi corpi celesti e il loro ruolo nell’evoluzione delle galassie. Grazie all’osservazione di onde gravitazionali a frequenze più basse di quanto possibile da terra, la missione permetterà di esplorare una gran varietà di sorgenti lungo tutta la storia del cosmo, fino all’alba dei tempi.

Per saperne di più su questo ambizioso progetto, sulle sue differenze e possibili sinergie con rivelatori di onde gravitazionali a terra, in particolare con il futuro Einstein Telescope, Media Inaf ha intervistato Oliver Jennrich, Lisa project scientist presso lo European Space Research and Technology Centre dell’Esa a Noordwijk, nei Paesi Bassi.

Dottor Jennrich, qual è la differenza tra Lisa e gli osservatori di onde gravitazionali a terra come Ligo, Virgo e il futuro Einstein Telescope?

«Principalmente l’intervallo di frequenza. I rivelatori a terra hanno il limite di 1 hertz (Hz), la loro sensibilità va da 1 Hz alla banda dei kiloHz [migliaia di Hz, ndr], mentre Lisa è sensibile a onde gravitazionali con frequenze tra 0,1 milliHz [millesimo di Hz, ndr] fino a 1 Hz. Quindi hanno intervalli di frequenza completamente diversi».

Perché questa differenza?

«La vera domanda è: perché non possiamo costruire sulla terra apparati in grado di rilevare onde gravitazionali nella banda dei millihertz? Fondamentalmente perché il suolo è troppo rumoroso. C’è il rumore sismico, tutto ciò che si muove, le onde oceaniche che sbattono sulla costa e scuotono la regione. Sono cose per cui non c’è molto da fare, come per esempio il meteo. Se pensiamo alla frequenza in termini di tempo, un millihertz equivale a circa venti minuti. Immagina una grande nube piena d’acqua, che esercita una sua attrazione gravitazionale sulle cose, e si sposta nel corso di venti minuti. Queste fonti di rumore sono molto più intense del segnale di onde gravitazionali che stiamo cercando, quindi bisogna andare dove queste fonti di rumore non esistono. Ovvero nello spazio».

Lo spettro delle onde gravitazionali. Un osservatorio spaziale come Lisa sarà in grado di registrare anche quella a bassa frequenza prodotte dalla fusione fra buchi neri supermassicci. Crediti: Esa

Quindi la necessità di andare nello spazio è determinata principalmente dal dover evitare questo rumore intrinseco del suolo. Non serve anche per raggiungere grandi dimensioni che non sono disponibili a terra?

«Le onde gravitazionali causano una deformazione [in inglese, strain, ndr], cioè una variazione relativa di lunghezza. Maggiore è la lunghezza, maggiore è il cambiamento che le onde gravitazionali imprimono su di essa. Una volta che si è nello spazio, si può provare ad aumentare le dimensioni dei rilevatori, il che aiuta a catturare segnali più grandi. Ma se il rivelatore è troppo grande, intervengono degli effetti di cancellazione: se l’intero periodo di un’onda gravitazionale rientra due volte nella lunghezza del rilevatore, l’effetto si annulla, quindi si perde sensibilità alle frequenze più alte. Cerchiamo quindi di massimizzare la lunghezza per ottenere la massima sensibilità possibile, ma senza renderla troppo lunga, perché altrimenti si perderebbero i sistemi ad alta frequenza».

Che cosa significa questo in termini osservativi?

«Significa che Lisa rivela sistemi più pesanti rispetto ai rivelatori a terra. Le sorgenti osservate da Ligo finora sono tutte nell’intervallo tra dieci e cento masse solari. Lisa rivelerà la coalescenza di buchi neri supermassicci, da centomila a un milione di volte la massa del Sole. Questi sono sistemi molto più pesanti che vivono al centro delle galassie, mentre i buchi neri di massa stellare [come quelli osservati da Ligo, ndr] possono trovarsi dappertutto, non devono essere per forza al centro di una galassia».

Lisa è appena stata “adottata” dall’Esa. Che cosa rappresenta questo passo?

«L’adozione significa che diventa ufficialmente parte del programma scientifico dell’Esa. Diventa un progetto vero e proprio, con un team di progetto a pieno titolo. Finora Lisa era in fase di studio, con una piccola squadra di poche persone, mentre nel team di progetto ci saranno venti, trenta persone che lavorano su diversi aspetti della missione. Ed è anche la fase in cui la comunità di Lisa inizia finalmente a costruire qualcosa anziché fare soltanto progetti».

L’orbita e struttura di Lisa. Crediti: Esa / Atg Medialab, Cc By-Sa 3.0 Igo

Torniamo alla scienza: rispetto ai rivelatori attuali di onde gravitazionali a terra, Lisa sarà sensibile a sorgenti molto distanti, permettendo di indagare l’Universo primordiale. Recentemente si parla molto di Einstein Telescope, il futuro rivelatore terrestre, che esplorerà anch’esso un volume di cosmo molto più esteso rispetto agli esperimenti attuali, raggiungendo distanze molto più grandi. Chi vedrà più lontano tra Lisa e Einstein Telescope?

«I rivelatori di onde gravitazionali misurano l’ampiezza del segnale, che diminuisce solo con l’inverso della distanza, a differenza delle misure di potenza o intensità della radiazione, che invece diminuiscono con l’inverso della distanza al quadrato. Per questo, con le onde gravitazionali possiamo esplorare distanze che i telescopi astronomici non possono raggiungere. Quanto lontano un rivelatore può spingersi, questo poi è determinato a tutti gli effetti dalla sua soglia di rumore. Ed è il motivo per cui Einstein Telescope cercherà di raggiungere una sensibilità migliore degli attuali rivelatori terrestri. Le sorgenti producono un certo segnale, a quel punto la domanda è: riusciamo a vederle? E, in tal caso, fino a quali distanze possiamo vederle? Per esempio, prendiamo una sorgente standard: la coalescenza di due stelle di neutroni oppure di due buchi neri di massa stellare. La capacità di osservarli fino a un miliardo oppure dieci, quindici miliardi di anni luce, diciamo, dipende dalla sensibilità del rivelatore. La forza intrinseca della sorgente è essenzialmente la stessa, quindi se vogliamo osservare a distanze maggiori bisogna scegliere sistemi con un segnale più grande, quindi sistemi più massicci. Una massa più grande, però, corrisponde a frequenze più basse: è direttamente proporzionale, la relatività generale è estremamente semplice, tutto scala con la massa. Quindi se vogliamo osservare sistemi a distanza maggiore con un certo rivelatore, dobbiamo scegliere sistemi più massicci, ma non troppo, per evitare di scendere al di sotto della sensibilità limite di quel rivelatore».

Dunque per raggiungere distanze più grandi, serve osservare sistemi più massicci, ma non troppo. Proviamo a spiegarlo con un esempio pratico?

«Possiamo calcolarlo: se vogliamo osservare a una certa distanza, abbiamo bisogno di vedere oggetti che hanno una massa, diciamo, di mille masse solari per avere un segnale sufficiente. Pensiamo a un sistema in coalescenza, con frequenza di qualche Hz, laddove Einstein Telescope sarà più sensibile: possiamo osservarlo fino a un redshift di 10-11 [quando l’Universo aveva circa 400-500 milioni di anni, ndr]. Con Lisa, sistemi in coalescenza con masse tra centomila e dieci milioni di masse solari non potranno nascondersi, li vedremo dovunque essi siano nell’Universo. Gli astrofisici non pensano che non esista nulla a redshift pari a 25 o 30 [quando l’Universo aveva circa 100 milioni di anni, ndr], semplicemente perché non c’è stato tempo a sufficienza per far sì che questi sistemi si formassero. Ma se esistessero, Lisa li vedrebbe, perché il loro segnale sarebbe così forte e la sensibilità e l’intervallo di frequenza sarebbero quelli giusti».

Ripensando alla storia dell’Universo, Lisa riuscirebbe a vedere anche sistemi meno massicci – come quelli a cui l’Einstein Telescope sarà specialmente sensibile – ma più lontano, perché si sono formati prima?

La timeline mostra le prime galassie candidate e la storia dell’universo. Crediti: Harikane et al., Nasa, Est and P. Oesch/Yale

«Una delle domande scientifiche che ci possiamo porre riguarda proprio la formazione di questi sistemi. È ragionevole supporre che sistemi più piccoli si siano formati prima, semplicemente perché i sistemi più grandi si formano da quelli più piccoli, quindi è logico che i più piccoli vengano prima. Ma è una supposizione e la possiamo mettere alla prova. Possiamo cercare quanti segnali provenienti da sistemi di questi tipi vengono osservati a distanze sempre più grandi e se questa osservazione è d’accordo con i modelli attuali che descrivono la formazione delle strutture, come galassie e buchi neri. Lo scenario attuale prevede che i buchi neri grandi, da milioni a miliardi di masse solari, si siano formati attraverso la coalescenza di buchi neri più piccoli, da migliaia a decine di migliaia di masse solari. Probabilmente i buchi neri più piccoli vivevano in protogalassie o ammassi globulari, e quando questi si sono fusi, i loro buchi neri centrali sono caduti verso il centro del nuovo sistema, iniziando a orbitare uno intorno all’altro fino a fondersi, formando infine un buco nero più grande. Chiaramente, se si parte da masse più piccole si vedrà un numero maggiore di segnali, perché per andare da mille a dieci milioni di masse solari servono diecimila eventi di fusione, mentre se si parte da centomila masse solari servono solo cento fusioni per arrivare a dieci milioni di masse solari. Il tasso di coalescenze osservato con questi strumenti fornirà informazioni sugli scenari di formazione delle strutture. Esistono tantissimi studi su questi scenari teorici, ma al momento ci sono pochissime prove osservative e le onde gravitazionali sono probabilmente il canale migliore per osservare questi processi. Einstein Telescope avrà una sensibilità importante intorno ai 10 Hz, quindi individuerà gli oggetti più piccoli che Lisa potrebbe non vedere, quindi è sicuramente un ottimo rilevatore complementare».

Servirà ancora qualcosa come Lisa, una volta che Einstein Telescope diventa realtà?

«Certamente. Ci sarà sempre qualcuno che potrebbe dire il contrario, ma penso che non sia un’affermazione giusta. Sarebbe come dire: ora che c’è Jwst, abbiamo ancora bisogno dei radiotelescopi? Non penso poi che ci siano problemi di concorrenza distruttiva, perché la comunità sta crescendo rapidamente e le industrie coinvolte sono diverse».

In che senso?

«Non sarà l’industria aerospaziale a costruire Einstein Telescope e viceversa, quindi non c’è competizione per le risorse esterne, cosa che può succedere quando i fornitori sono limitati. In tal caso bisognerebbe aspettare, ma non è così. Potrebbero esserci problemi per l’analisi dati se dovessimo lavorare a entrambi i progetti adesso: se Lisa fosse in orbita e Einstein Telescope fosse già in funzione, allora penso che bisognerebbe aumentare il numero di persone che lavorano nell’analisi dei dati in modo abbastanza significativo, ma la crescita è organica. Quando entrambi i progetti saranno avviati, un numero sufficiente di studenti di dottorato saranno diventati postdoc e professori con i propri gruppi, sempre più persone saranno diventate competenti in questo tipo di analisi dati e penso che tutti ne trarranno beneficio. Se la comunità cresce e saranno disponibili più rilevatori, ci sarà un maggiore scambio di idee».

Lisa e Einstein Telescope saranno in grado di operare allo stesso tempo?

«Non sono sicuro di quali siano le tempistiche esatte di Einstein Telescope. Lisa ha una vita nominale di circa cinque anni ma in realtà le cose tendono a durare più a lungo. Quindi, se verrà lanciato a metà degli anni 2030, probabilmente farà ancora misure a metà degli anni 2040».

Se le fasi operative dei due rivelatori dovessero coincidere, almeno in parte, come potrebbero complementarsi a vicenda?

Rappresentazione artistica della fusione di due buchi neri. Crediti: Nasa/Cxc/A.Hobart

«Quando Ligo ha fatto le sue prime scoperte, era abbastanza chiaro che Lisa sarebbe stata in grado di vedere le stesse identiche sorgenti alcune settimane o mesi prima, nella fase in cui spiraleggiano una intorno all’altra, prima della fusione osservata nella banda di Ligo e di Einstein Telescope. Le simulazioni mostrano che esiste un numero significativo di sorgenti osservabili nella parte alta dell’intervallo di frequenze di Lisa che uscirebbero da tale intervallo e riapparirebbero, un paio di settimane o mesi dopo, nell’intervallo di frequenza Ligo per poi fondersi. Lo stesso vale per Einstein Telescope: Lisa potrebbe dire loro in anticipo che qualcosa sta per accadere e quando. Inoltre, entrambe le misurazioni insieme forniranno una migliore localizzazione nel cielo. Gli attuali grafici di localizzazione di Ligo e Virgo non sono così buoni per gli standard astronomici: non è possibile puntare un telescopio in quella direzione perché le barre di errore sono cento volte più grandi del campo di vista».

Potrebbero collaborare anche su qualche altro tipo di sorgente?

«Se riusciremo a vedere altri tipi di sorgenti con entrambi i rilevatori, beh, questo dipende da ciò che la natura metterà a disposizione. Esistono sorgenti in cui piccoli buchi neri o stelle di neutroni cadono verso buchi neri parecchio più grandi, le cosiddette extreme mass ratio inspiral, tipicamente nella gamma di frequenze dei millihertz. Il loro segnale non è una bella sinusoide, c’è un contenuto di armoniche relativamente alto. Quindi, se parliamo di un segnale intorno ai 5 milliHz, allora si potrebbe vedere contemporaneamente, 20 armoniche più su, nella banda di Einstein Telescope. Lisa non vedrà queste sorgenti singolarmente – la larghezza di banda non è sufficiente, farà solo una media di tutti questi sistemi – ma un rilevatore a terra può farlo. Sono sicuro che i nostri amici teorici proporranno tanti altri esempi per osservare un segnale con entrambi i rivelatori contemporaneamente, o anche un segnale multi-messaggero con osservazioni elettromagnetiche. Questa sarebbe la ciliegina sulla torta».

Che tipo di collaborazioni di astrofisica multi-messaggera sono previste con Lisa?

«L’astrofisica multi-messaggera è davvero agli inizi. Penso che anche la nostra comprensione di come il regime delle onde gravitazionali si relazioni con il regime elettromagnetico non sia molto ben sviluppata al momento. Ci sono tante idee ma tutte piuttosto vaghe, dopotutto l’unica sorgente multi-messaggera finora è stata la kilonova nel 2017. Con Lisa, ci sarà un sistema di “allerta”, per far sapere alla comunità che qualcosa sarà osservabile ad una certa data e ora nel futuro: se poi vorranno osservarlo, sono benvenuti. La strategia scientifica del progetto però non dipende da questo, perché renderebbe le cose troppo complicate, ma ci sono sicuramente delle sinergie che sfrutteremo».

Prima ha menzionato che la comunità delle onde gravitazionali è cresciuta molto negli ultimi anni. Com’è cambiata dai tempi precedenti le prime osservazioni di Ligo?

«Se leggo proposte di finanziamento o faccio da referee per un paper, tendo a vedere sempre più spesso nomi che non avevo mai visto prima. Per me, questo indica che molte persone giovani si stanno unendo alla comunità e si stanno costruendo una reputazione. Si vedono annunci di lavoro per analisi dati di onde gravitazionali molto più spesso rispetto a dieci anni fa. La prima osservazione di Ligo ha sicuramente aiutato molto, da un momento all’altro tutti sapevano che c’era qualcosa su cui poter investire. Ci sono molti professori associati o ordinari in tanti posti che si dedicano a questi studi, ed è bello vedere che non si tratta sempre degli stessi attori. Ci sono molte più università e istituti di ricerca interessati rispetto a prima, persino centri di calcolo che si offrono di aiutare l’analisi dati delle onde gravitazionali con le loro Cpu».

Cosa direbbe a studentesse e studenti di fisica o astronomia potenzialmente interessati in una carriera nel campo delle onde gravitazionali?

«Per chi è interessato alla relatività generale numerica o al lavoro teorico, questo è un tema piuttosto caldo al momento perché c’è la promessa che tutto ciò sarà utilizzato nell’arco del prossimo decennio. Il mio sospetto è che, quando Lisa e Einstein Telescope saranno operativi, vedremo anche astronomi generici, chi è interessato a un certo argomento o a una sorgente specifica per esempio, che vorranno sapere se questa sorgente è stata osservata anche nelle onde gravitazionali. La comunità si sta rapidamente spostando da chi osserva le onde gravitazionali perché è interessato alle onde gravitazionali, verso una logica in cui le onde gravitazionali sono solo un altro strumento osservativo per testare una particolare idea. Quindi, a chi sta facendo oggi un dottorato in astronomia, direi sicuramente, anche se non avete un interesse particolare per le onde gravitazionali, anche se non siete interessati alle equazioni di Einstein, di tener presente questa finestra di osservazione che potrete utilizzare tra dieci anni, quindi tenetevi ragionevolmente informati a riguardo. Siate abbastanza competenti da usare questo set di strumenti, questo nuovo canale di informazione per scoprire cosa stava facendo l’universo».


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