A MANTENERE IL MATERIALE CONFINATO È IL CAMPO MAGNETICO DELLA STELLA

Cicatrice di metallo su una stella cannibale

Un’alta concentrazione di metalli in una regione circoscritta della nana bianca WD 0816-310 – osservata con il Very Large Telescope dell’Eso – è quanto resta di un frammento planetario di circa 500 km di diametro inglobato dalla stella stessa. Il primo autore dello studio, pubblicato su ApJL, è l’astronomo italiano Stefano Bagnulo, oggi in Irlanda del Nord all’Armagh Observatory and Planetarium

     26/02/2024

Rappresentazione artistica della nana bianca magnetica WD 0816-310, sulla cui superficie gli astronomi hanno trovato una sorta di cicatrice dovuta al l’ingestione di detriti planetari. Crediti: Eso/L. Calçada

Quando una stella come il Sole si avvicina al termine della propria vita, può inghiottire pianeti e asteroidi che erano nati insieme con lei. Ora, utilizzando il Vlt (Very Large Telescope) dell’Eso (l’Osservatorio europeo australe) in Cile, alcuni ricercatori hanno trovato per la prima volta una firma unica di questo processo: una cicatrice impressa sulla superficie di una nana bianca. I risultati sono stati pubblicati oggi su The Astrophysical Journal Letters.

«È risaputo che alcune nane bianche – braci di stelle come il nostro Sole che si raffreddano lentamente – stanno cannibalizzando pezzi dei loro sistemi planetari. Ora abbiamo scoperto che il campo magnetico della stella gioca un ruolo chiave in questo processo, provocando una cicatrice sulla superficie della nana bianca», spiega Stefano Bagnulo, astronomo all’Osservatorio e planetario di Armagh (Irlanda del Nord, Regno Unito) e autore principale dello studio.

La cicatrice osservata dal gruppo di lavoro è una concentrazione di metalli impressa sulla superficie della nana bianca WD 0816-310, il resto di una stella simile ma leggermente più grande del nostro Sole, di dimensione pari a quella della Terra. «Abbiamo dimostrato che questi metalli provengono da un frammento planetario grande quanto o forse più di Vesta, il secondo asteroide del Sistema solare per dimensione, di circa 500 chilometri», aggiunge Jay Farihi, professore allo University College di Londra (Regno Unito) e coautore dello studio.

Le osservazioni hanno anche fornito indizi su come la stella abbia ottenuto la cicatrice di metallo. L’equipe ha notato che l’intensità della misura del metallo cambiava durante la rotazione della stella, suggerendo che i metalli sono concentrati su un’area specifica sulla superficie della nana bianca, piuttosto che distribuiti uniformemente su di essa. Hanno anche scoperto che questi cambiamenti erano sincronizzati con i cambiamenti nel campo magnetico della nana bianca, indicando che la cicatrice metallica si trova su uno dei suoi poli magnetici. Combinati insieme, questi indizi indicano che il campo magnetico ha incanalato i metalli sulla stella, creando la cicatrice.

«Sorprendentemente, il materiale non era mescolato uniformemente sulla superficie della stella, come previsto dalla teoria. Invece, questa cicatrice è una zona di materiale planetario concentrato, tenuta in posizione dallo stesso campo magnetico che ha guidato la caduta dei frammenti», commenta il coautore John Landstreet, professore alla Western University, Canada, anch’egli affiliato all’Osservatorio e planetario Armagh. «Niente di simile è mai stato visto prima».

Per giungere a queste conclusioni, l’equipe ha utilizzato uno strumento multiuso – un po’ come un coltellino svizzero – installato sul Vlt, chiamato Fors2, che ha permesso di rilevare la cicatrice metallica e collegarla al campo magnetico della stella. «L’Eso ha una combinazione unica della possibilità di osservare oggetti deboli come le nane bianche e di misurare con sensibilità i campi magnetici stellari», conclude Bagnulo. Nello studio, i ricercatori si sono basati anche sui dati d’archivio dello strumento X-Shooter, installato sul Vlt, per confermare i risultati.

Sfruttando la potenza di osservazioni come queste, gli astronomi possono rivelare la composizione complessiva degli esopianeti, pianeti che orbitano attorno a stelle al di fuori del Sistema solare. Questo studio unico mostra anche come i sistemi planetari possano rimanere dinamicamente attivi, anche dopo la loro “morte”.

Fonte: comunicato stampa Eso

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