Era il 1979 quando Neil Young pubblicò Rust never sleeps, un album che si apre con un brano che ha segnato la storia del rock: My My, Hey Hey (Out Of The Blue). E di quel brano, un verso è diventato leggenda: “It’s better to burn out than to fade away”. Ecco, protagonista dello studio pubblicato oggi su Nature è una galassia che, nelle prime centinaia di milioni di anni di vita dell’universo, ha anticipato il senso del celebre verso: a differenza della maggior parte delle galassie, lei è bruciata subito… invece di spegnersi lentamente.
Utilizzando il telescopio spaziale James Webb, un team internazionale di astronomi guidato dalla Università di Cambridge ha individuato la galassia “morta” quando l’universo aveva appena 700 milioni di anni. Si tratta della più antica galassia di questo tipo mai osservata. Si chiama Jades-Gs-z7-01-Qu. È vissuta intensamente ed è morta giovane: la formazione stellare al suo interno è avvenuta rapidamente e si è fermata quasi altrettanto rapidamente, il che è inaspettato per una fase così precoce dell’evoluzione dell’universo. Tuttavia, non è chiaro se il suo stato di estinzione – quenching, in inglese – sia temporaneo o permanente, e cosa l’abbia portata a smettere di formare nuove stelle.
I risultati pubblicati su Nature potrebbero essere importanti per aiutare gli astronomi a capire come e perché le galassie smettono di formare nuove stelle, e se i fattori che influenzano la formazione stellare sono cambiati nel corso di miliardi di anni.
«Le prime centinaia di milioni di anni dell’universo sono state una fase molto attiva, con molte nubi di gas che collassavano per formare nuove stelle», spiega Tobias Looser del Kavli Institute for Cosmology, primo autore del lavoro. «Le galassie hanno bisogno di una grande quantità di gas per formare nuove stelle e l’universo primordiale era come un buffet a volontà».
«Solo più tardi nell’universo cominciamo a vedere le galassie che smettono di formare stelle, a causa di un buco nero o di qualcos’altro», dice il coautore Francesco D’Eugenio, anche lui del Kavli Institute for Cosmology.
Gli astronomi ritengono che la formazione stellare possa essere rallentata o arrestata da diversi fattori, tutti in grado di privare una galassia del gas di cui ha bisogno per formare nuove stelle. Fattori interni, come un buco nero supermassiccio o il feedback della formazione stellare, possono spingere il gas fuori dalla galassia, causando un rapido arresto della formazione stellare. In alternativa, il gas può essere consumato molto rapidamente dalla formazione stellare stessa, senza essere prontamente reintegrato da gas “fresco” proveniente dai dintorni della galassia, con conseguente inedia della galassia.
«Non siamo sicuri che uno di questi scenari possa spiegare ciò che abbiamo visto con Webb», dichiara Roberto Maiolino. «Finora, per comprendere l’universo primordiale, abbiamo utilizzato modelli basati sull’universo moderno. Ma ora che possiamo vedere molto più indietro nel tempo e osservare che la formazione stellare in questa galassia si è spenta così rapidamente, i modelli basati sull’universo moderno potrebbero dover essere rivisti».
Grazie ai dati di Jades (Jwst Advanced Deep Extragalactic Survey), gli autori hanno determinato che la galassia ha vissuto un breve e intenso periodo di formazione stellare in un arco di tempo compreso tra 30 e 90 milioni di anni. Ma tra i 10 e i 20 milioni di anni prima del momento in cui è stata osservata con Webb, la formazione stellare si è improvvisamente interrotta.
«Tutto sembra accadere più velocemente e più drammaticamente nell’universo primordiale, e questo potrebbe valere anche per le galassie, che passano da una fase di formazione stellare a una fase di quiescenza o di spegnimento», osserva Looser.
Gli astronomi avevano già osservato galassie morte nell’universo primordiale, ma questa è la più antica: appena 700 milioni di anni dopo il Big Bang, più di 13 miliardi di anni fa. Questa osservazione è una delle più profonde mai effettuate con Webb.
Oltre a essere la più antica, questa galassia ha anche una massa relativamente bassa – circa la stessa della Piccola Nube di Magellano, una galassia nana vicina alla Via Lattea, sebbene quest’ultima stia ancora formando nuove stelle. Altre galassie nell’universo primordiale erano molto più massicce, ma la maggiore sensibilità di Webb permette di osservare e analizzare galassie più piccole e meno luminose.
Sebbene appaia morta al momento dell’osservazione, è possibile che nei circa 13 miliardi di anni successivi sia tornata in vita e abbia ricominciato a formare nuove stelle. «Stiamo cercando altre galassie come questa nell’universo primordiale, che ci aiuteranno a porre alcuni vincoli su come e perché le galassie smettono di formare nuove stelle», conclude D’Eugenio. «Potrebbe darsi che le galassie dell’universo primordiale “muoiano” e poi riprendano vita: avremo bisogno di altre osservazioni per capirlo».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature l’articolo “Discovery of a quiescent galaxy at z=7.3” di Tobias J. Looser, Francesco D’Eugenio, Roberto Maiolino, Joris Witstok, Lester Sandles, Emma Curtis-Lake, Jacopo Chevallard, Sandro Tacchella, Benjamin D. Johnson, William M. Baker, Katherine A. Suess, Stefano Carniani, Pierre Ferruit, Santiago Arribas, Nina Bonaventura, Andrew J. Bunker, Alex J. Cameron, Stephane Charlot, Mirko Curti, Anna de Graaff, Michael V. Maseda, Tim Rawle, Hans-Walter Rix, Bruno Rodríguez Del Pino, Renske Smit, Hannah Übler, Chris Willott, Stacey Alberts, Eiichi Egami, Daniel J. Eisenstein, Ryan Endsley, Ryan Hausen, Marcia Rieke, Brant Robertson, Irene Shivaei, Christina C. Williams, Kristan Boyett, Zuyi Chen, Zhiyuan Ji, Gareth C. Jones, Nimisha Kumari, Erica Nelson, Michele Perna, Aayush Saxena and Jan Scholtz