Quando sono attivi, i buchi neri supermassicci svolgono un ruolo cruciale nell’evoluzione delle galassie. Finora si pensava che la loro crescita – o meglio, il loro accrescimento – fosse innescata dalla violenta collisione di due galassie seguita dalla loro fusione, ma una nuova ricerca condotta dall’Università di Bath suggerisce che le fusioni di galassie da sole non sono sufficienti ad alimentare un buco nero: è necessaria anche una riserva di gas freddo al centro della galassia ospite.
Il nuovo studio, pubblicato questa settimana sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, è il primo a utilizzare l’apprendimento automatico per classificare le fusioni di galassie con l’obiettivo specifico di esplorare la relazione tra fusioni di galassie, accrezione di buchi neri supermassicci e formazione stellare.
Finora, le fusioni venivano classificate (spesso in modo errato) solo attraverso l’osservazione umana. «Quando gli esseri umani cercano le fusioni di galassie, non sempre sanno cosa stanno guardando e usano molto l’intuito per decidere se è avvenuta una fusione», dice Mathilda Avirett-Mackenzie, dottoranda presso il Dipartimento di fisica dell’Università di Bath e prima autrice della ricerca. «Addestrando una macchina a classificare le fusioni, si ottiene una lettura molto più veritiera di ciò che le galassie stanno effettivamente facendo».
Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire cosa stanno cercando gli autori e perché.
I buchi neri supermassicci si trovano al centro di tutte le galassie massive (per intenderci, la Via Lattea, con circa 200 miliardi di stelle, è solo una galassia di medie dimensioni). Questi buchi neri “sovradimensionati” pesano in genere da milioni a miliardi di volte la massa del Sole. Per la maggior parte della loro vita sono quiescenti, ossia se ne stanno tranquilli mentre la materia gli orbita intorno, e hanno un impatto minimo sulla galassia nel suo complesso. Ma per brevi fasi della loro vita (brevi solo su scala astronomica e molto probabilmente della durata di milioni o centinaia di milioni di anni), sfruttano la forza gravitazionale per attirare verso di sé grandi quantità di gas (un evento, questo, noto come accrezione), dando origine a un disco luminoso che può oscurare l’intera galassia.
Sono queste brevi fasi di attività le più importanti per l’evoluzione delle galassie, poiché le massicce quantità di energia rilasciate dall’accrezione possono influire sul modo in cui si formano le stelle all’interno delle galassie stesse. È per un valido motivo, quindi, che stabilire che cosa fa muovere una galassia tra i suoi due stati – quiescenza e formazione stellare – è una delle più grandi sfide dell’astrofisica.
Per decenni, i modelli teorici hanno suggerito che i buchi neri supermassicci entrano nella fase di accrezione quando le galassie si fondono. Tuttavia, studiando la connessione tra le fusioni di galassie e la crescita dei buchi neri per molti anni, gli astrofisici hanno messo in discussione questi modelli con una semplice domanda: come possiamo identificare in modo affidabile le fusioni di galassie?
L’ispezione visiva è stato il metodo comunemente più utilizzato. I classificatori umani – esperti o cittadini scienziati – osservano le galassie e identificano asimmetrie elevate o lunghe code mareali (regioni sottili e allungate di stelle e gas interstellare che si estendono nello spazio), entrambe associate a fusioni di galassie. Tuttavia, questo metodo osservativo richiede molto tempo e non è affidabile, poiché è facile che gli esseri umani commettano errori di classificazione. Di conseguenza, gli studi sulle fusioni danno spesso risultati contraddittori. Per il nuovo studio, i ricercatori si sono posti la sfida di migliorare il modo in cui le fusioni vengono classificate, studiando la connessione tra la crescita dei buchi neri e l’evoluzione delle galassie attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale. Hanno addestrato una rete neurale su fusioni di galassie simulate, quindi hanno applicato questo modello alle galassie osservate nel cosmo.
In questo modo sono riusciti a identificare le fusioni senza pregiudizi umani e a studiare la connessione tra le fusioni di galassie e la crescita dei buchi neri. Hanno dimostrato che la rete neurale supera i classificatori umani nell’identificazione delle fusioni, mentre i classificatori umani tendono a confondere galassie regolari con delle fusioni.
Applicando questa nuova metodologia, i ricercatori sono riusciti a dimostrare che le fusioni non sono fortemente associate alla crescita dei buchi neri. Le firme di fusione sono ugualmente comuni nelle galassie con e senza buchi neri supermassicci in fase di accrescimento.
Utilizzando un campione estremamente ampio di circa 8mila sistemi di buchi neri in accrescimento – che ha permesso al team di studiare la questione in modo estremamente dettagliato – si è scoperto che le fusioni portano alla crescita di buchi neri solo in un tipo molto specifico di galassie: galassie in formazione stellare contenenti quantità significative di gas freddo. Questo dimostra che le fusioni di galassie da sole non sono sufficienti ad alimentare i buchi neri supermassicci: devono essere presenti anche grandi quantità di gas freddo per consentire la crescita del buco nero.
«Per formare le stelle, le galassie devono contenere nubi di gas freddo in grado di collassare in stelle. Processi altamente energetici come l’accrezione di buchi neri supermassicci riscaldano questo gas, rendendolo troppo energetico per collassare o facendolo uscire dalla galassia», spiega Avirett-Mackenzie, aggiungendo: «In una notte limpida, è possibile individuare questo processo in tempo reale con la Nebulosa di Orione – una grande regione di formazione stellare nella nostra galassia, la più vicina alla Terra – dove si possono vedere alcune stelle che si sono formate di recente e altre che si stanno ancora formando».
«Finora tutti studiavano le fusioni nello stesso modo, attraverso una classificazione visiva. Con questo metodo, utilizzando classificatori esperti in grado di individuare caratteristiche più sottili, eravamo in grado di esaminare solo un paio di centinaia di galassie, non di più», afferma Carolin Villforth. «L’utilizzo dell’apprendimento automatico apre invece un campo completamente nuovo e molto stimolante, in cui è possibile analizzare migliaia di galassie alla volta. Si ottengono risultati coerenti su campioni molto ampi e, in qualsiasi momento, si possono esaminare molte proprietà diverse di un buco nero».
Per saperne di più:
- Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society l’articolo “A post-merger enhancement only in star-forming Type 2 Seyfert galaxies: the deep learning view” di M. S. Avirett-Mackenzie, C. Villforth, M. Huertas-Company, S. Wuyts, D. M. Alexander, S. Bonoli, A. Lapi, I. E. Lopez, C. Ramos Almeida e F. Shankar