Per Giuseppe Piazzi che nel 1801 l’ha scoperto, Cerere era un puntino in movimento nell’oculare del suo cerchio di Ramsden. In epoca più recente, grazie a telescopi come l’Hubble space telescope e l’Herschel Space Observatory, l’oggetto celeste è diventato un piccolo corpo sfocato, di dimensione e forma nota, con una mineralogia complessa e vapore d’acqua in superficie. Ma è la missione Dawn della Nasa che ci ha restituito l’immagine del pianeta nano, com’è classificato dal 2006, per quel che realmente è: un potenziale mondo oceanico abitabile. Dopo la Terra, il corpo più ricco d’acqua del Sistema solare interno.
La missione Dawn è stata la prima e a oggi l’unica ad aver visitato il corpo celeste. Nei tre anni in orbita attorno a Cerere, dal 2015 al 2018, il veicolo spaziale ha mappato la geologia, la morfologia, la topografia, la struttura e la chimica del corpo celeste quasi a livello globale, rilevando tracce di un antico oceano di acqua salmastra subsuperficiale – una salamoia i cui resti potrebbero esistere ancora oggi in piccole sacche –, tracce di materia organica (localmente), di composti del carbonio (globalmente), di ghiaccio e di depositi di sale superficiali, segni di attività geologica recente e ancora in corso, nonché la presenza di un’esosfera.
Insomma, quello che Dawn ci ha restituito di Cerere è l’immagine di un mondo dal grande potenziale astrobiologico, strutturalmente differenziato, caratterizzato da una lunga storia di reazioni tra acqua liquida, roccia e composti organici; un mondo in cui è presente una chimica complessa e diversificata.
Grazie ai dati ottenuti dallo strumento Vir (Visible and infrared mapping spectrometer) a bordo della sonda – uno spettrometro finanziato dall’Agenzia spaziale italiana e realizzato da Leonardo sotto la guida scientifica dell’Inaf –, all’interno di caratteristiche formazioni geologiche chiamate faculae è stata rilevata la presenza di una straordinaria diversità di specie chimiche formatesi in ambienti acquosi. Fillosilicati, carbonati – in particolare carbonato di sodio – e cloruri come il cloruro di sodio idrato, il comune sale da cucina, sono alcune di queste specie chimiche.
Spulciando tra i 172 gigabyte di dati scientifici raccolti dalla sonda, un team di astronomi a guida Inaf ha ora rilevato, sempre all’interno delle faculae, sempre grazie allo strumento Vir, le tracce di un’ulteriore classe di composti, la cui presenza non solo aumenta la varietà e la complessità delle specie chimiche presenti su Cerere, ma sottolinea ancora una volta il grande potenziale astrobiologico di questo corpo celeste. Lo studio è pubblicato il 15 marzo scorso su Communications Earth & Environment, una rivista del gruppo Nature.
Nella ricerca, il team di scienziati, comprendente Maria Cristina De Sanctis, Filippo Giacomo Carrozzo, Mauro Ciarniello, Simone De Angelis, Marco Ferrari, Alessandro Frigeri e Andrea Raponi dell’ Inaf Iaps di Roma, ed Eleonora Ammanito dell’Asi, si è concentrato nello studio del cratere Dantu.
«Con un diametro di 126 km, il cratere Dantu è una delle strutture più importanti sulla superficie di Cerere», spiega a Media Inaf Maria Cristina De Sanctis, prima autrice della pubblicazione. «È un cratere relativamente giovane e con una mineralogia complessa, ed essendo uno dei crateri più profondi del pianeta nano, è una finestra sulla composizione del suo sottosuolo».
Una delle caratteristiche di questo cratere è la presenza di numerose faculae, che nell’insieme rappresentano il sistema spazialmente più esteso di tali formazioni geologiche al di fuori del cratere Occator, un altro dei grandi crateri di Cerere. Analizzando le immagini d’archivio del cratere ottenute dalle due framing camera della sonda – il sistema di telecamere scientifiche della missione – i ricercatori hanno identificato al suo interno due popolazioni distinte di faculae, con colori leggermente diversi: faculae bianche e faculae gialle; una dicotomia cromatica che si è rivelata essere anche una dicotomia composizionale.
Esaminando tutti gli spettri di queste faculae acquisiti dallo spettrometro Vir, gli scienziati hanno trovato nelle faculae bianche bande di assorbimento a circa 4 μm e 3.4–3.5 μm, insieme a bande di 2.73 e 3.07 μm: secondo i ricercatori sono la firma di carbonati di sodio mescolati con fillosilicati – composti presenti anche in altre faculae sparse su Cerere. Analizzando gli spettri Vir delle faculae gialle trovano però qualcosa che non si aspettavano. In questo caso negli spettri erano presenti caratteristiche di assorbimento a 3.07, 3.28 e 3.55 μm, bande associate associate alla presenza di specie chimiche diverse dai carbonati e dai sali precedentemente identificati: l’impronta di grandi quantità di composti ricchi di ammonio.
«In alcune di queste aree molto chiare, ci sono delle bande di assorbimento molto profonde nelle zone dello spettro elettromagnetico dove di solito si trovano gli assorbimenti dell’ammonio», sottolinea De Sanctis. «Inoltre, in alcuni casi, si nota una transizione tra aree ricche di fillosilicati ammoniati (ovvero argille che contengono ammonio), riconoscibili da bande di assorbimento specifiche, e queste faculae, che mostrano gli assorbimenti nello stesso range spettrale dei fillosilicati ammoniati, ma con intensità molto maggiori e con forme degli assorbimenti diversi. In aggiunta, tali faculae si trovano in una ampia regione di Cerere che era già stata identificata come quella più ricca di fillosilicati ammoniati».
A questo punto, la sfida dei ricercatori è stata quella di dare un nome e cognome a queste specie contenenti ammonio. Per riuscire nell’intento, hanno confrontato gli spettri delle faculae gialle con spettri già noti. Il risultato di questa indagine ha permesso di trovare il papabile candidato
«L’identificazione dei possibili composti viene fatta tramite riconoscimento degli assorbimenti, confrontandoli con i dati che vengono acquisiti in laboratorio su vari composti», aggiunge la ricercatrice. «Nel caso specifico qui descritto, abbiamo confrontato gli spettri delle faculae con moltissimi materiali ricchi di ammonio, anche facendo delle misure ad hoc nel nostro laboratorio. Il confronto viene fatto con dei metodi numerici che permettono di simulare uno spettro a partire da diversi composti miscelati tra loro in proporzioni variabili. Vengono fatti molti tentativi, fino ad ottenere il miglior risultato che simula lo spettro delle faculae di Cerere. Naturalmente, il risultato dipende fortemente dai materiali iniziali che vengono considerati nella simulazione. In questo caso, il miglior risultato è stato ottenuto con i dati del bicarbonato di ammonio»
La scoperta di questi composti su Cerere è rilevante per almeno tre motivi, spiegano i ricercatori. Il primo è che l’ammoniaca facilita i processi in soluzione acquosa e preserva i composti organici agendo da antigelo. Il secondo motivo è che l’individuazione di aree ricche di composti dell’ammonio suggerisce l’esistenza di complessi sistemi idrotermali che potrebbero essere alla base della circolazione di fluidi salini dall’interno del corpo celeste verso la superficie. Il terzo, infine, riguarda il fatto che nella sua forma ridotta l’ammoniaca può partecipare a numerose reazioni di chimica prebiotica.
«Azoto ed idrogeno, che costituiscono l’ammonio, insieme ad altri elementi, sono fondamentali nella chimica pre-biotica e biotica (ad esempio nella formazione degli amminoacidi)», ricorda a questo proposito De Sanctis. «Di conseguenza, la scoperta di nuovi materiali che sono di rilievo in tale contesto è molto interessante. Non dimentichiamo che Cerere mostra diversi elementi e molecole alla base della chimica organica, nonché molecole di organici alifatici. Mostra anche indicazioni di acqua liquida nel sottosuolo, in grado di risalire in superficie attraverso condotti e fratture; fratture che sono presenti anche nelle zone delle faculae qui studiate»
«La scoperta di questo nuovo composto (o mix di composti) arricchisce ulteriormente il numero di specie chimiche interessanti da un punto di vista astrobiologico, identificate sulla superficie di Cerere», conclude la ricercatrice. «La complessità chimica di questo pianeta nano è elevatissima, e le scoperte che ancora vengono fatte a quasi dieci anni dai primi dati acquisiti da Vir sulla missione Dawn indicano quanto questo target sia importante nella prossima esplorazione del Sistema solare».
Per saperne di più:
- Leggi su Communications Earth & Environment l’articolo “Ammonium-rich bright areas on Ceres demonstrate complex chemical activity” di Maria Cristina De Sanctis, E. Ammannito, F. G. Carrozzo, M. Ciarniello, S. De Angelis, M. Ferrari, A. Frigeri e A. Raponi