Il primo fenomeno di “gloria” esoplanetaria si potrebbe verificare tra le altissime temperature e l’insostenibile luminosità dell’emisfero diurno dell’esopianeta Wasp-76 b e le tenebre eterne del suo emisfero notturno. È quanto emerso dai dati raccolti da Cheops e dai suoi amici telescopi. Simile all’arcobaleno, l’effetto glory si verifica quando la luce viene riflessa da nubi costituite da una sostanza perfettamente uniforme ma finora sconosciuta.
«C’è un motivo per cui l’effetto gloria non è mai stato visto prima d’ora al di fuori del nostro Sistema solare: richiede condizioni molto particolari», spiega Olivier Demangeon, astronomo all’Instituto de Astrofísica e Ciências do Espaço, in Portogallo, e primo autore dello studio sulla scoperta pubblicato oggi su Astronomy & Astrophysics. «In primo luogo, è necessario che le particelle atmosferiche siano quasi perfettamente sferiche, completamente uniformi e sufficientemente stabili da poter essere osservate per un lungo periodo. La stella vicina al pianeta deve brillare direttamente su di esso, con il telescopio – in questo caso Cheops – orientato in modo opportuno».
Wasp-76 b è un pianeta ultra-caldo simile a Giove. Pur essendo il dieci per cento meno massiccio del nostro cugino a strisce, ha una dimensione quasi doppia. Infatti, a causa della sua orbita, dodici volte più stretta di quella di Mercurio attorno al Sole, l’esopianeta viene “gonfiato” dalle intense radiazioni emesse dalla sua stella ospite. Dalla sua scoperta nel 2013, Wasp-76 b è stato oggetto di intensi studi e quello che è emerso è un quadro incredibilmente infernale. Un lato del pianeta è sempre rivolto verso la sua stella, raggiungendo così temperature di 2400 gradi Celsius. Gli stessi elementi che sulla Terra formano le rocce, qui si fondono ed evaporano, per poi condensare sul lato notturno, leggermente più freddo, sotto forma di nubi metalliche, da cui piove ferro fuso.
Tuttavia, l’aspetto più bizzarro di questo esopianeta, ciò che più ha lasciato perplessi gli scienziati, è l’apparente asimmetria nei “bordi” di Wasp-76 b, ovvero le regioni più esterne, visibili durante il passaggio del pianeta davanti la sua stella. In questo studio rivelatore sono stati analizzati anche i dati raccolti da altre missioni dell’Esa e della Nasa, tra cui Tess, Hubble e Spitzer, ma è stato quando Cheops e Tess hanno lavorato insieme che sono cominciati ad apparire gli indizi del fenomeno della gloria.
«Il risultato ottenuto è incredibilmente affascinante ed è il primo nel suo genere», commenta Vikash Singh, assegnista di ricerca presso l’Inaf di Catania e co-autore dello studio. «I due telescopi ottici Cheops e Tess hanno osservato segnali simili, estremamente deboli, che erano assenti nel telescopio per la banda infrarossa». Una dimostrazione della potenza della missione Cheops dell’Esa, dunque, nel rilevare fenomeni impercettibili e mai visti prima su mondi così lontani.
Cheops ha monitorato costantemente Wasp-76 b mentre passava davanti e intorno alla sua stella, che è simile al nostro Sole. Dopo 23 osservazioni effettuate nell’arco di tre anni, i dati hanno mostrato un sorprendente aumento della quantità di luce proveniente dal terminatore est del pianeta, il confine tra la notte e il giorno. Ciò ha permesso agli scienziati di individuare e circoscrivere l’origine del segnale.
«È la prima volta che viene rilevato un cambiamento così netto nella luminosità di un esopianeta, la sua curva di fase», spiega Demangeon. «Questa scoperta ci porta a ipotizzare che la causa di questo bagliore inaspettato possa essere un’intensa luce riflessa, ben localizzata e anisotropa (dipendente dalla direzione): l’effetto gloria».
Sebbene l’effetto gloria crei disegni simili a quelli dell’arcobaleno, i due fenomeni non sono la stessa cosa. Gli arcobaleni si formano quando la luce solare passa da un mezzo con una certa densità a un mezzo con una densità diversa – ad esempio, dall’aria all’acqua – che ne provoca la curvatura (rifrazione). Le diverse lunghezze d’onda vengono deviate in misura diversa, facendo sì che la luce bianca si divida nei suoi vari colori e creando il noto arco circolare dell’arcobaleno. Le glorie, invece, si formano quando la luce attraversa una stretta apertura, ad esempio tra le gocce d’acqua presenti nelle nuvole o nella nebbia. Anche in questo caso, il percorso della luce viene deviato (in questo caso, si parla di diffrazione), creando il più delle volte anelli concentrici colorati, con l’interferenza tra le onde luminose che crea strutture ad anelli chiari e scuri.
La conferma dell’effetto gloria implicherebbe la presenza di nubi composte da gocce d’acqua perfettamente sferiche, stabili da almeno tre anni o costantemente rifornite. Affinché tali nubi persistano, anche la temperatura dell’atmosfera dovrebbe essere stabile nel tempo: una visione affascinante e dettagliata di come potrebbe essere Wasp-76 b.
È importante notare che la capacità di rilevare queste minuscole meraviglie così lontane insegnerà a scienziati e ingegneri come rilevare altri fenomeni difficili da vedere ma determinanti. Come, ad esempio, la luce solare che si riflette su laghi e oceani liquidi, un requisito per l’abitabilità.
«Per affermare in modo definitivo che questo misterioso bagliore sia un raro effetto gloria sono necessarie ulteriori prove», precisa Theresa Lüftinger, project scientist per la prossima missione Ariel dell’Esa. «Le osservazioni di follow-up dello strumento NirSpec a bordo del telescopio spaziale James Webb di Nasa, Esa e Csa potrebbero fare al caso nostro. Oppure potrebbe essere Ariel a dimostrarne la presenza. Potremmo addirittura osservare altri colori splendenti e rivelatori brillare su altri esopianeti».
Se le future osservazioni di follow-up confermeranno l’effetto gloria, la scoperta di Demangeon e colleghi fornirà un ottimo strumento per comprendere meglio la natura non solo di questo enigmatico esopianeta, ma anche quella di numerosi altri mondi misteriosi e lontani.
Per saperne di più:
- Leggi su Astronomy and Astrophysics l’articolo “Asymmetry in the upper atmosphere of the ultra-hot Jupiter WASP-76 b” di O.D.S. Demangeon et al.