Piccolissimi grani di polvere nel mezzo interstellare, aggregandosi in modo progressivo, danno origine a nuovi mondi come la Terra che orbitano attorno a stelle giovani simili al Sole. È così che nascono i pianeti rocciosi, ma il loro processo di formazione – che dura milioni di anni – è ancora oggetto di studio. Grazie al telescopio Alma (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) è stato possibile osservare per la prima volta una cavità conica contenente grani di polvere grande migliaia di unità astronomiche scavata da un outflow nella regione di formazione stellare della Corona Australe, distante da noi circa quattrocento anni luce. I risultati dello studio, condotto nell’ambito del progetto Faust, sono stati pubblicati su Astronomy & Astrophysics Letters da un gruppo di ricerca guidato da Giovanni Sabatini dell’Inaf di Arcetri.
Era già noto che il processo di accrescimento dei grani di polvere avvenisse nei dischi fino al raggiungimento delle dimensioni di qualche centimetro, e che poi i grani migrassero rapidamente verso la protostella centrale. Durante questa fase i grani possono accrescere ulteriormente fino a formare planetesimi, i progenitori dei pianeti rocciosi. Inoltre, con la formazione dei dischi protoplanetari si sviluppano getti supersonici di materia in direzione perpendicolare al disco stesso, i cosiddetti outflows: strutture enormi che si estendono da dieci a mille volte la distanza tra la Terra e il Sole, visibili da Terra come oggetti minuscoli nel cielo della dimensione di una frazione di secondo d’arco.
Sebbene i meccanismi fisici che generano gli outflows siano noti da più di cinquant’anni, la scoperta delle cavità di polvere aggiunge elementi importanti perché la materia presente in queste cavità è così densa che potrebbe essere la fucina in cui avviene la crescita dei grani. Questa scoperta getta una luce completamente nuova sull’intero processo di formazione dei pianeti, perché i grani formati nelle cavità ad alta densità possono poi ricadere nel disco, dove continuano a crescere formando i planetesimi, ovvero i mattoni alla base dei pianeti.
Anche il Sistema solare in origine era una nube di polvere e gas interstellare, come molte altre nubi molecolari nella Via Lattea. Tuttavia, circa 4,6 miliardi di anni fa, questa nube ha iniziato a contrarsi, portando alla formazione del Sole e della Terra. In questo contesto, l’astrochimica – ovvero lo studio di molecole interstellari complesse con almeno sei atomi, come il metanolo – è fondamentale per capire come le molecole organiche abbiano creato le basi della vita sulla Terra.
«I grani di polvere giocano un ruolo chiave sia nella formazione dei pianeti che nel favorire l’aumento della complessità chimica, perché i grani sono il catalizzatore per la formazione delle cosiddette molecole complesse interstellari», spiega Sabatini, primo autore dell’articolo pubblicato su A&AL. «Questo studio rappresenta un nuovo piccolo (ma cruciale) tassello per spiegare il misterioso processo di crescita dei grani e quindi della formazione dei pianeti nei dischi. Inoltre, i grani funzionano da catalizzatori per la formazione di molecole fondamentali alla vita come l’acqua e il metanolo».
«È ancora un mistero come si formino i pianeti in sistemi simili al nostro. Questo ci ha portato a studiare, da un lato, come i grani di polvere crescano fino a formare pianeti nei dischi e, dall’altro, come si formano le molecole interstellari durante il processo di formazione di stelle e pianeti», aggiunge Linda Podio dell’Inaf di Arcetri, coautrice dello studio. «In ultima analisi, le scoperte in questo campo possono svelare come si sia formata la vita sulla Terra».
«Faust sta mettendo in luce sempre più informazioni sulle nostre origini», conclude Claudio Codella, uno dei ricercatori alla guida del progetto Faust, sempre dell’Inaf di Arcetri, «sottolineando l’importanza delle prime fasi evolutive del processo che ha portato alla formazione del Sistema solare. Nel contempo, ci stiamo preparando all’arrivo di Ska, che ci permetterà di studiare questi processi con un’accuratezza e un dettaglio mai raggiunti prima».
Per saperne di più:
- Leggi su Astronomy & Astrophysics Letters l’articolo “FAUST XIII. Dusty cavity and molecular shock driven by IRS7B in the Corona Australis cluster” di G. Sabatini, L. Podio, C. Codella, Y. Watanabe, M. De Simone, E. Bianchi, C. Ceccarelli, C.J. Chandler, N. Sakai, B. Svoboda, L. Testi, Y. Aikawa, N. Balucani, M. Bouvier, P. Caselli, E. Caux, L. Chahine, S. Charnley, N. Cuello, F. Dulieu, L. Evans, D. Fedele, S. Feng, F. Fontani, T. Hama, T. Hanawa, E. Herbst, T. Hirota, A. Isella, I. Jímenez-Serra, D. Johnstone, B. Lefloch, R. Le Gal, L. Loinard, H. Baobab Liu, A. López-Sepulcre, L.T. Maud, M.J. Maureira, F. Menard, A. Miotello, G. Moellenbrock, H. Nomura, Y. Oba, S. Ohashi, Y. Okoda, Y. Oya, J. Pineda, A. Rimola, T. Sakai, D. Segura-Cox, Y. Shirley, C. Vastel, S. Viti, N. Watanabe, Y. Zhang, Z.E. Zhang e S. Yamamoto