Per un veicolo spaziale gli spostamenti da un’orbita a un’altra sono cruciali per raggiungere la propria destinazione finale, siano essi trasferimenti tra orbite di uno stesso corpo celeste o tra orbite di corpi differenti. In questo senso, individuare percorsi che consentano di ridurre lo spreco di carburante è fondamentale. È fondamentale per massimizzare l’efficienza e ridurre i costi della missione. Ed è fondamentale anche per estenderne la durata e mitigare i rischi, contribuendo complessivamente al successo e alla sostenibilità della missione stessa. Due scienziati dell’Università del Surrey, nel Regno Unito, hanno ora sviluppato un nuovo metodo che permette facilmente di trovare traiettorie di trasferimento tra orbite all’interno di sistemi dinamici, come ad esempio il sistema Terra-Luna, senza spreco di carburante.
Il problema che bisogna affrontare quando una navicella si sposta tra due orbite in un sistema dinamico è conosciuto come “problema circolare ristretto dei tre corpi“. Noto anche con l’acronimo Crtbp, da circular restricted three bodies problem, il modello descrive il moto di un corpo di massa trascurabile (la navicella spaziale) sotto l’azione gravitazionale simultanea di due corpi di massa maggiore (la Terra e la Luna nel sistema Terra-Luna). In un sistema così composto, ci sono punti di equilibrio del moto, detti punti di Lagrange, intorno ai quali esistono diverse famiglie di orbite, a ciascuna delle quali sono associate una sorta di “autostrade” che permettono il trasferimento del veicolo spaziale da un’orbita ad un’altra. Ma quali di queste orbite sono le più vantaggiose in termini di risparmio di propellente?
I metodi oggi utilizzati per individuare queste traiettorie – le cosiddette orbite eterocline – prevedono, oltre all’uso delle leggi della meccanica celeste, l’applicazione di algoritmi di machine learning, l’analisi delle perturbazioni orbitali, simulazioni e complessi calcoli computazionali. Il nuovo metodo, descritto in dettaglio in uno studio pubblicato questo mese sulla rivista Astrodynamics, utilizza anch’esso la matematica per rivelare i percorsi migliori per spostarsi da un’orbita all’altra, ma senza fare ricorso a reti neurali artificiali e dunque senza la necessità di utilizzare calcolo ad alte prestazioni. Sviluppata presso il Surrey Space Center (Regno Unito), la nuova tecnica sfrutta la teoria dei nodi, grazie alla quale è possibile rilevare rapidamente traiettorie approssimative, che possono poi essere perfezionate.
Come anticipato, gli autori dello studio sono due: lo studente di dottorato all’Università del Surrey Danny Owen e lo scienziato italiano Nicola Baresi. Laureato in Fisica presso l’Università degli studi di Padova, dopo una parentesi in Israele, dove ha lavorato come ricercatore post-laurea per l’Istituto israeliano di tecnologia, nel 2013 Baresi si è trasferito negli Stati Uniti, dove ha continuato gli studi prima con una borsa di studio Fulbright Usa-Italia e successivamente con un dottorato di ricerca sul volo in formazione di veicoli spaziali e sulla teoria dei sistemi dinamici. Ha lavorato per la Jaxa, collaborando a missioni di piccola e larga scala sulla Luna e su Marte, e oggi è docente di meccanica celeste al Surrey Space Center. Lo abbiamo intervistato.
Nel vostro articolo si parla di progettazione di missioni spaziali e in particolare di ricerca delle cosiddette connessioni eterocline. Che cosa sono, esattamente? E perché è utile mapparle?
«Le connessioni eterocline sono delle traiettorie molto particolari nello spazio delle fasi che collegano due orbite differenti. Le traiettorie devono possedere un livello energetico simile e devono essere instabili. Ciò avviene per molte famiglie di orbite periodiche in modelli dinamici caotici che vengono utilizzati per il disegno di traiettorie di satelliti soggetti all’attrazione gravitazionale esercitata da due corpi celesti. Si pensi per esempio al caso di un satellite spaziale in viaggio verso la Luna, oppure di un telescopio spaziale come Jwst, la cui orbita è stata appositamente selezionata cercando di sfruttare al meglio l’attrazione gravitazionale simultanea della Terra e del Sole per minimizzare il consumo di propellente. Il vantaggio di mappare le connessioni eterocline tra due traiettorie instabili consente di ampliare le opzioni per il disegno di missioni spaziali, oppure di manovrare satelliti da un orbita instabile ad un’altra senza il consumo di carburante. Il paragone che faccio spesso ai miei studenti è quello di un’imbarcazione che si lascia trasportare dalle correnti oceaniche per spostarsi da un continente all’altro senza dover ricorrere all’uso dei motori».
Per trovare queste “autostrade” spaziali, come modello dinamico per lo studio del moto dei veicoli utilizzate il “problema circolare ristretto dei tre corpi”. Ci spieghi meglio.
«Il problema dei tre corpi viene ampiamente utilizzato per il disegno di traiettorie di satelliti soggetti all’attrazione gravitazionale esercitata da due corpi celesti. Il problema è da sempre un cruccio della comunità scientifica sin dai tempi di Newton e dalle origini della teoria gravitazionale. Per secoli sono stati fatti tentativi di raggiungere una soluzione analitica del problema che potesse spiegare il moto della Luna causato dalla sua interazione gravitazionale con la Terra ed il Sole. Ciò aveva delle ramificazioni molto importanti per la navigazione a mare e a terra quando ancora non si poteva beneficiare di orologi accurati o dei moderni sistemi a Gps. Verso la fine del 19esimo secolo, il re Oscar II di Svezia si spinse fino a organizzare una competizione internazionale che potesse finalmente trovare una soluzione analitica al problema. La teoria che fu accreditata della vittoria è dovuta al grande matematico Jules Henri Poincaré, il quale dimostrò che il problema dei tre corpi non può di fatto essere risolto analiticamente. Così facendo, Poincaré ebbe il merito di spostare l’attenzione della ricerca su soluzioni particolari che potessero se non altro aiutare a capire la dinamica del problema in alcune zone peculiari dello spazio delle fasi. Nacque così la teoria dei sistemi dinamici che a oggi viene impiegata per trovare i cosiddetti punti lagrangiani e le famiglie di orbite periodiche utilizzate per le missioni spaziali interplanetarie e non. Secondo i progetti recenti della Nasa, il futuro dell’esplorazione umana dello spazio passerà da una nuova stazione spaziale che verrà inserita in una traiettoria quasi-periodica nei pressi della superficie lunare. L’“orbita” in questione non rispetta le leggi di Keplero proprio perché frutto dell’interazione gravitazionale del satellite, denominato Lunar Orbital Platform Gateway, sia con la Luna che con la Terra».
Qual è il nesso che lega questo modello alle connessioni eterocline?
«Seguendo la rotta tracciata da Poincaré agli inizi del secolo scorso, ricercatori da tutto il mondo hanno continuato a ricercare soluzioni particolari del problema dei tre corpi sempre più complesse e che possano aiutarci a raggiungere una comprensione superiore del problema caotico. L’avvento del computer e del calcolo scientifico ha portato enormi benefici al settore, inclusa la possibilità di calcolare non solo intere famiglie di orbite periodiche (orbite che si ripetono dopo un certo periodo), ma anche di orbite quasi-periodiche, ovvero di orbite che non si ripetono esattamente, ma che finiscono col ricoprire una superficie topologicamente equivalente a quella di una ciambella. Come per le orbite periodiche, anche le orbite quasi-periodiche possono essere instabili e avere connessioni eterocline che permettono a un satellite di passare da una traiettoria nei pressi di un punto lagrangiano a un’altra in un punto lagrangiano diverso nello spazio delle fasi. Il vantaggio è che, essendo varietà di dimensione maggiore rispetto alle orbite periodiche, le connessioni eterocline per le orbite quasi-periodiche sono molto più frequenti e quindi più opportune per il disegno di traiettorie satellitari».
Può farci un esempio?
«Immaginate di dover trovare un punto di sovrapposizione tra due rette o due piani in uno spazio tri-dimensionale. Nel primo caso, simile a quello delle orbite periodiche, la sovrapposizione tra due rette avviene solo in casi molto rari ed isolati. Nel secondo caso invece, a meno che i due piani siano perfettamente paralleli, è possibile trovare un’intera retta di punti per i quali è possibile spostarsi da un piano all’altro».
Andiamo adesso al nuovo metodo che avete sviluppato per individuare le migliori traiettorie di trasferimento tra orbite. Per rilevare questi percorsi, la tecnica che avete messo a punto sfrutta la “teoria dei nodi”. Di che teoria si tratta? E che risultati avete ottenuto?
«Assieme al mio studente di dottorato, Danny Owen, dell’Università del Surrey, abbiamo realizzato che, volendo cercare connessioni eterocline su un piano particolare dello spazio delle fasi, possiamo ricondurci a una situazione in cui le traiettorie provenienti da un’orbita quasi-periodica e quelle destinate a raggiungere una seconda orbita quasi-periodica ottenuta attorno a un punto lagrangiano differente possono essere raffigurate come due superfici in uno spazio quattro-dimensionale. Selezionando una delle quattro coordinate come ‘variabile di scansionamento’, possiamo visualizzare le rimanenti tre coordinate come curve chiuse in uno spazio tri-dimensionale. Qui entra in gioco la teoria dei nodi e in particolare il cosidetto linking-number, ovvero il numero di volte che una curva si intreccia attorno all’altra. Variando la variabile di scansionamento, monitoriamo come il linking-number delle possibili connessioni eterocline varia lungo tutto il dominio delle possibili sovrapposizioni. Due curve disgiunte hanno un linking-number uguale a zero, mentre due anelli di una catena hanno un linking-number uguale a +1 oppure a -1, a seconda di come gli anelli vengono incastrati. Il punto è che per passare da zero a +1 o -1 dev’esserci per forza un valore della variabile di scansionamento nel quale le due curve si sovrappongono. Tali punti sono per forza di cose connessioni eterocline, che permettono ad un satellite di viaggiare dall’orbita quasi-periodica di partenza all’orbita quasi-periodica di arrivo senza dover ricorrere a manovre che richiedono l’uso di propellente. Così facendo abbiamo identificato un metodo che permette di mappare tutte le possibili connessioni eterocline date due traiettorie quasi-periodiche instabili e allo stesso livello energetico».
Su quali sistemi avete testato la tecnica?
«Il vantaggio del problema ristretto dei tre corpi è che può essere applicato più o meno a tutti i sistemi del Sistema solare. Basta prendere il Sole e un pianeta, oppure un pianeta e una delle sue lune, come nel caso delle lune Galileiane di Giove. Al momento abbiamo applicato il nostro approccio con successo per calcolare connessioni eterocline tra orbite quasi-periodiche sia nel sistema Terra-Luna che in quello Sole-Terra, lo stesso utilizzato per il disegno dell’orbita del Jwst. Abbiamo anche provato con successo a calcolare connessioni eterocline tra orbite quasi-periodiche nei pressi di Ganimede sapendo che sarà il punto finale di una missione Europea appena lanciata e molto affascinante come Juice».
Quali sono le missioni che potranno beneficiare del vostro studio?
«Tutte le missioni spaziali che vengono concepite cercando di sfruttare la caoticità del problema dei tre corpi per ridurre il consumo di carburante possono beneficiare del nostro approccio. Penso alle missioni lunari a venire che contribuiranno alla costruzione del Lunar Orbital Platform Gateway e a quelle che verranno rilasciate dalla nuova stazione spaziale per esplorare lo spazio lunare. Penso anche a telescopi spaziali futuri che raggiungeranno Jwst e altri satelliti europei come Gaia ed Euclid in orbite quasi-periodiche attorno al secondo punto lagrangiano del sistema Sole-Terra. In realtà, il nostro metodo può essere applicato anche per le missioni già in orbita attorno a punti lagrangiani, che si accingono a raggiungere la fine delle operazioni scientifiche previste dal progetto per le quali sono state lanciate. Si tratta di satelliti ancora funzionanti, già in orbita, e con quantità di propellente limitato che possono sfruttare le connessioni eterocline per essere riposizionati in nuovi punti strategici e/o orbite quasi-periodiche contribuendo a fornire nuove prospettive e osservazioni del nostro universo».
Per saperne di più:
- Leggi su Astrodynamics l’articolo “Applications of knot theory to the detection of heteroclinic connections between quasi-periodic orbits” di Danny Owen e Nicola Baresi