LO STUDIO È STATO PUBBLICATO SU NATURE

Venere è senz’acqua, ecco come l’ha perduta

Un gruppo di ricercatori dell’Università del Colorado a Boulder ha provato a risolvere le discrepanze nelle teorie sulla siccità di Venere – molto più secco rispetto alla Terra – con uno studio di modellazione chimica dell’atmosfera del pianeta. Il fenomeno scoperto faciliterebbe la fuga nello spazio degli atomi di idrogeno dall'atmosfera di Venere, portando alla perdita di acqua del pianeta a un ritmo doppio rispetto alle stime precedenti

     07/05/2024

Venere oggi è secco grazie alla perdita di acqua nello spazio sotto forma di idrogeno atomico. Nel processo di perdita dominante, uno ione HCO+ si ricombina con un elettrone, producendo veloci atomi di H (arancione) che usano le molecole di CO (blu) come rampa di lancio per fuggire. Crediti: Aurore Simonnet / Laboratory for Atmospheric and Space Physics / Università del Colorado a Boulder

Viene chiamato spesso il pianeta gemello arido e inospitale della Terra. Ma, in realtà, Venere non è sempre stato un deserto privo di acqua. Durante la sua formazione avvenuta miliardi di anni fa, il pianeta avrebbe avuto – a seconda delle varie teorie – oceani o un’atmosfera ricca di vapore acqueo, così come la Terra. Quale catastrofe può essere allora avvenuta per renderlo così secco e infernale?

Gli scienziati planetari dell’Università del Colorado a Boulder hanno provato a far luce su una delle più grandi lacune nella comprensione della “storia dell’acqua” su Venere. Utilizzando simulazioni al computer, il team di ricerca ha identificato un processo noto come “ricombinazione dissociativa” quale responsabile principale della siccità estrema del pianeta venusiano.

Nonostante sia un nostro “vicino di casa” e sia simile per dimensioni e materiale di partenza alla Terra, Venere è, infatti, estremamente secco. Se, ad esempio, si prendesse tutta l’acqua presente sulla Terra e la si spargesse sul pianeta come marmellata su un toast, si otterrebbe uno strato liquido profondo di circa tre chilometri; su Venere, dove tutta l’acqua è intrappolata nell’aria, si otterrebbero solo tre centimetri, appena sufficienti per bagnarsi le dita dei piedi. «Venere ha una quantità d’acqua 100mila volte inferiore a quella della Terra, pur avendo sostanzialmente le stesse dimensioni e la stessa massa», spiega Michael Chaffin, primo autore di uno studio pubblicato ieri su Nature e ricercatore presso il Laboratory for Atmospheric and Space Physics (Lasp), in Colorado.

Secondo le teorie più diffuse, le nubi di anidride carbonica presenti nell’atmosfera di Venere hanno innescato il più potente effetto serra del Sistema solare, portando le temperature in superficie fino a 500 gradi Celsius e facendo evaporare l’acqua presente. Tuttavia, quell’antica evaporazione non è sufficiente a spiegare perché Venere sia oggi così secco o come possa continuare ancora a disperdere acqua nello spazio. «Per analogia, diciamo che se buttassi via l’acqua dalla mia bottiglia, rimarrebbero ancora alcune gocce», ha detto Chaffin. Su Venere, invece, quasi tutte le gocce sono scomparse. Qualcosa non torna, quindi: il processo di evaporazione ipotizzato finora dagli studiosi non è riuscito a rendere conto delle condizioni attuali di siccità, e altri meccanismi di fuga possibili sono troppo lenti per completare il processo di rimozione quasi totale dell’acqua.

Nello studio guidato da Chaffin, i ricercatori hanno utilizzato modelli computerizzati per fare di Venere un gigantesco laboratorio di chimica, ponendo lo zoom sulle diverse reazioni che avvengono nell’atmosfera vorticosa del pianeta. I risultati della ricerca suggerirebbero che l’acqua dell’atmosfera di Venere, un tempo dominata dal vapore, sia stata dispersa nello spazio attraverso un meccanismo chiamato “deflusso idrodinamico” (hydrodynamic outflow, in inglese). Il colpevole di tale siccità, secondo il nuovo lavoro, sarebbe l’elusivo HCO+, uno ione composto da un atomo ciascuno di idrogeno, carbonio e ossigeno, presente nell’atmosfera di Venere.

In analisi precedenti, il team di ricerca avrebbe già confermato che HCO+ sia la molecola sospettata responsabile dell’aridità su Marte. Allo stesso modo, secondo gli scienziati, su Venere funzionerebbe così: lo ione HCO+ viene prodotto costantemente nell’atmosfera, ma i singoli ioni, non sopravvivendo a lungo, si ricombinano con gli elettroni presenti nei gas, dividendo la molecola originaria. A quel punto, i veloci atomi di H (idrogeno) usano le molecole di CO (monossido di carbonio) come una sorta di “rampa di lancio” per fuggire dall’atmosfera. Nel processo così ipotizzato, gli atomi di idrogeno si allontanerebbero nello spazio, privando Venere di uno dei due componenti fondamentali dell’acqua: l’idrogeno, appunto. In questo modo, a causa della ricombinazione dissociativa di HCO+, che produce una maggiore quantità di idrogeno in uscita rispetto ai processi precedentemente suggeriti, Venere perderebbe ogni giorno circa il doppio della quantità di acqua ipotizzata prima d’ora.

Venere potrebbe aver avuto oceani d’acqua nel suo lontano passato. Un modello terra-oceano come quello qui sopra è stato utilizzato in un modello climatico per mostrare come le nubi temporalesche avrebbero potuto schermare l’antico Venere dalla forte luce solare e rendere il pianeta abitabile. Crediti: Nasa

«L’acqua è davvero importante per la vita», dice Eryn Cangi, ricercatrice presso il Laboratory for Atmospheric and Space Physics (Lasp) e coautrice dello studio. «Dobbiamo capire quali sono le condizioni che supportano l’acqua liquida nell’universo e che potrebbero aver prodotto l’attuale stato su Venere». Il gruppo di ricerca ha calcolato che l’unico modo per spiegare lo stato di aridità di Venere è che il pianeta ospiti nella sua atmosfera, oltre ai vari gas, volumi di HCO+ superiori al previsto. «Una delle conclusioni sorprendenti di questo nostro lavoro è che HCO+ potrebbe essere tra gli ioni più abbondanti nell’atmosfera di Venere», aggiunge Chaffin.

La recente scoperta del team ha però uno scomodo risvolto: finora, gli scienziati non hanno mai osservato HCO+ intorno a Venere, poiché non hanno mai avuto a disposizione gli strumenti per osservare e misurare correttamente la concentrazione in atmosfera.  Il meccanismo proposto è stato trascurato, infatti, per oltre 50 anni, in parte a causa dei limiti di progettazione degli strumenti delle precedenti navicelle spaziali di Venere.

Negli ultimi anni, tuttavia, un numero crescente di scienziati ha messo gli occhi sul pianeta venusiano e le future missioni spaziali su Venere proveranno a misurare le abbondanze di HCO+ per determinare se la ricombinazione dissociativa di HCO+ è effettivamente il meccanismo dominante per la perdita di acqua. «Non ci sono state molte missioni su Venere. Ma le nuove in programma», conclude Cangi, «sfrutteranno decenni di esperienza collettiva per esplorare gli estremi delle atmosfere planetarie, dell’evoluzione e dell’abitabilità sui diversi pianeti».

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