Un team guidato da astronomi dell’Università di Leiden (Paesi Bassi), e del quale fanno parte anche ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica, è riuscito a ottenere per la prima volta immagini in banda radio nitide dell’universo eccezionalmente nitide e a frequenze eccezionalmente basse: comprese tra 16 e 30 MHz. Un’impresa ritenuta quasi impossibile, perché la ionosfera, a circa 80 chilometri di altitudine sul suolo terrestre, interferisce con le osservazioni in questo intervallo di frequenze.
Le immagini sono state acquisite utilizzato le antenne del radiotelescopio Lofar installate a Drenthe, nei Paesi Bassi. La rete Lofar, che si estende su mezza Europa e presto avrà anche una stazione in Italia, è uno fra i migliori radiotelescopi a bassa frequenza del mondo. Per aggirare i disturbi introdotti dalla ionosfera terrestre, gli autori dello studio, i cui risultati sono stati pubblicati questa settimana su Nature Astronomy, si sono avvalsi di una tecnica di calibrazione derivata da quella in uso per osservazioni a frequenze molto più elevate, intorno ai 150 MHz, sulle quali negli ultimi anni si sono visti notevoli miglioramenti. «Speravamo di poter estendere questa tecnica anche alle frequenze più basse, al di sotto dei 30 MHz», spiega l’ideatore del test, Reinout van Weeren, dell’Università di Leiden. «E ci siamo riusciti».
«Sebbene molto lavoro sia stato fatto per migliorare la nostra abilità di osservare a radio frequenze ultra-basse negli ultimi anni», ricorda a Media Inaf un altro fra i coautori dello studio, Francesco De Gasperin, dell’Inaf Ira di Bologna, «la calibrazione della ionosfera è sempre stata un fattore limitante. Questo risultato mostra che, con i giusti codici di calibrazione, possiamo spingerci alle frequenze più basse raggiungibili con radio telescopi da terra (circa 10-15 MHz) mantenendo una risoluzione angolare che permetta di ricostruirne la struttura degli oggetti osservati».
Per mettere la nuova tecnica alla prova, sono stati osservati alcuni ammassi di galassie – e in particolare i getti di plasma emessi da antichi buchi neri – che in precedenza erano stati studiati in dettaglio solo a frequenze più elevate. Le immagini ottenute mostrano che l’emissione radio di questi ammassi non è uniforme lungo l’intero ammasso: è infatti emersa una distribuzione a macchie. «È stato come indossare per la prima volta un paio di occhiali e non vedere più in modo sfocato», dice il primo autore dello studio, Christian Groeneveld, dell’Università di Leiden (Paesi Bassi).
Secondo gli autori dello studio, la nuova tecnica di calibrazione permette di studiare fenomeni prima inaccessibili, compresi quelli riguardanti i pianeti extrasolari. «Una delle prede più ambite per questo tipo di osservazioni a bassissima frequenza saranno gli esopianeti. La scoperta di emissione radio a bassissima frequenza in questi oggetti», conclude De Gasperin, «proverebbe la presenza di campi magnetici intorno ad alcuni esopianeti, campi magnetici che si pensa siano un prerequisito importante per supportare la vita proteggendo l’atmosfera del pianeta stesso».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Characterisation of the decameter sky at sub-arcminute resolution”, di C. Groeneveld, R.J. van Weeren, E. Osinga, W.L. Williams, J.R. Callingham, F. de Gasperin, A. Botteon, T. Shimwell, F. Sweijen, J. de Jong, L.F. Jansen, G.K. Miley, G. Brunetti, M. Brüggen e H.J.A. Röttgering