INDIVIDUARE STELLE DI POPOLAZIONE III GRAZIE AI BUCHI NERI

Così potremo vedere le prime stelle dell’universo

Dall’università di Hong Kong, una nuova idea per rilevare le stelle di Popolazione III: osservare i brillamenti prodotti dalla loro distruzione mareale da parte di un buco nero massiccio. Lo studio dimostra che l’emissione sarebbe visibile e avrebbe caratteristiche uniche, alla portata di telescopi come il futuro Nancy Grace Roman. Tutti i dettagli su ApJ Letters

     13/05/2024

Rappresentazione artistica di un evento di distruzione mareale di una stella mentre passa nelle vicinanze di un buco nero massiccio. Crediti: Space Telescope Science Institute/Ralf Crawford

Le primissime stelle che si sono accese dopo il Big bang sono quelle che hanno dato l’impronta chimica all’universo in cui viviamo oggi, e che hanno preparato il terreno sul quale sono nate ed evolute tutte le stelle successive. Per distinguerle da queste, gli astronomi hanno chiamato le stelle di prima generazione popolazione III, e da quando hanno capito che le altre due generazioni conosciute e osservate – le popolazioni II e I – non bastavano a spiegare l’esistente, le stanno cercando. Senza risultati convincenti.

Su The Astrophysical Journal Letters è stata pubblicata, per mano di un gruppo di ricercatori di Hong Kong, una nuova idea: invece di provare a osservarle direttamente, si può cercare le stelle di Popolazione III attraverso l’emissione che produrrebbero qualora fossero entrate in contatto con un buco nero massiccio.

L’idea è promettente per almeno due motivi. Il primo, il più ovvio, è che finora la ricerca diretta non ha sortito alcun effetto. Le stelle di Popolazione III erano infatti tremendamente calde, di dimensioni e massa gigantesche, ma di vita molto breve. Vivevano nell’universo primordiale, e quindi molto lontano, e apparirebbero, agli occhi degli attuali telescopi a terra o nello spazio, troppo deboli.

Il secondo è che il meccanismo proposto, invece, produrrebbe un’emissione rilevabile da alcuni telescopi attualmente operativi – come il James Webb Space Telescope – o in costruzione – come il Nancy Grace Roman Telescope. Vediamo perché.

Passando abbastanza vicino a un buco nero massiccio una stella può essere fatta a pezzi dalle forze mareali generate dal suo intensissimo campo gravitazionale, in quello che in inglese si definisce tidal disruption event (Tde). Succede nell’universo attuale e succedeva nell’universo primordiale, in cui le uniche stelle in circolo erano quelle di Popolazione III. E mentre il buco nero si nutre dei detriti stellari, produce brillamenti molto luminosi, che gli autori dello studio hanno investigato a fondo dimostrando che potrebbero percorrere miliardi di anni luce e giungere fino a noi. Arrivando, per altro, con delle caratteristiche uniche rispetto a tutti gli altri. Viaggiando da una distanza così lontana, infatti, lungo il tragitto risentirebbero dell’espansione dell’universo che ne allungherebbe la durata. Questi brillamenti sorgerebbero e decadrebbero, pertanto, in un periodo di tempo molto più lungo rispetto agli analoghi più recenti. Non solo, anche la loro lunghezza d’onda, come per qualunque radiazione proveniente da lontano – per effetto del cosiddetto redshift cosmologico – si sposterebbe dall’ottico/ultravioletto all’infrarosso.

Dove cercare questi eventi, però? A priori, una domanda alla quale non si può dare una risposta. Per questo l’arrivo di un telescopio come il Nancy Grace Roman potrebbe fare la differenza: sarà infatti in grado di coniugare una perfetta visione nell’infrarosso a grandissima distanza con un grande campo di vista, in grado di cogliere, a una sola occhiata, una vasta area di cielo. Gli autori dello studio si sono anche sbilanciati in previsioni sul numero di eventi che potrebbero essere trovati: «se viene seguita una strategia osservativa adeguata» – dicono – «ci aspettiamo alcune dozzine di rilevazioni». Il lancio del Nancy Grace Roman è ora programmato per il 2027: staremo a vedere.

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