Ne avevamo parlato tre anni fa, della galassia nana Leo I, e l’avevamo chiamata “un leoncino dal cuore grande”. Stando allo studio pubblicato all’epoca da un team guidato da Maria Jose Bustamante-Rosell, della University of Texas ad Austin (Usa), non era certo un’esagerazione: la stima della massa del buco nero che Leo I ospita al centro era risultata essere ben 3.3 milioni di masse solari. Un valore enorme, al di là di ogni ragionevole attesa: paragonabile a quello di Sagittarius A* (4.4 milioni di masse solari), il buco nero supermassiccio della nostra galassia, la Via Lattea, che però ha una massa circa diecimila volte maggiore.
Un valore da far sobbalzare sulla sedia più di un astronomo, insomma. Com’è accaduto ai quattro autori di un nuovo studio, pubblicato online lo scorso aprile su A&A Letters, stando al quale quella stima di 3.3 milioni di masse solari va drasticamente ridimensionata: il buco nero di Leo I, nel migliore dei casi, non supererebbe le centinaia di migliaia di masse solari. Non supermassiccio, dunque, ma intermedio. Come ci sono arrivati? Lo abbiamo chiesto al primo autore del nuovo studio, Raffaele Pascale, 32 anni, originario di Satriano di Lucania, in Basilicata, oggi ricercatore all’Inaf di Bologna. «Eravamo più o meno all’inizio dell’anno scorso», ricorda, «stavo lavorando con Alessandro Della Croce a un’altra ricerca sui buchi neri di massa intermedia, quando Carlo Nipoti, che era stato mio tutor di dottorato, mi ha inoltrato lo studio di Maria Jose Bustamante».
Quello dove si dice che al centro di Leo I c’è un buco nero supermassiccio?
«Sì, esatto. Era un risultato davvero anomalo, mi ricordo che Carlo, scherzando, lo chiamava “il buco nero con la galassia intorno”, tanto sembrava incredibilmente grosso rispetto alla galassia che lo ospita, una piccola galassia satellite della Via Lattea. Il tema ci interessava, stavamo lavorando ai buchi neri di massa intermedia negli ammassi globulari. Così abbiamo deciso di provare a capirci qualcosa di più».
Eravate un po’ diffidenti, insomma. Come avete fatto, per capirci di più? Avete raccolto nuovi dati?
«No, i dati li abbiamo presi per buoni. Dunque ci siamo messi in contatto con la prima autrice dell’articolo, Maria Jose Bustamante, e abbiamo chiesto direttamente a lei di fornirceli. La nostra idea era infatti quella provare ad analizzarli con un metodo diverso».
Lei ve li ha procurati?
«Sì, le ho scritto un’email spiegandole che avevamo letto il suo articolo, che eravamo molto interessati a svolgere un lavoro simile e chiedendole, appunto, se poteva metterci a disposizione i suoi dati. E lei me li ha inviati nell’arco di pochi giorni: erano file di testo, file con i dati spettroscopici relativi alla distribuzione di probabilità della velocità delle stelle in quella regione. Così la scorsa estate ci siamo messi al lavoro».
E cosa avete trovato?
«Abbiamo ottenuto risultati apparentemente molto differenti dai loro».
Molto differenti? In che senso?
«Anzitutto sulla probabilità che effettivamente esista, quel buco nero: secondo loro, la possibilità che non sia presente è molto improbabile. Quello che abbiamo trovato noi, invece, è che la probabilità che questo buco nero non ci sia è circa uguale a quella che ci sia. Poi c’è la stima della massa: loro dicono che è oltre un milione di masse solari, mentre secondo noi – se quel buco nero c’è – la sua massa non è superiore a qualche centinaio di migliaia di masse solari. Molto meno massiccio, dunque, e molto più in linea sia con i modelli di formazione dei buchi neri sia, soprattutto, con quello che ci si aspetta che sistemi di questo tipo possano ospitare. Detto altrimenti: secondo noi, la particolarità di questa galassia è che in realtà non è particolare, è una galassia normale, come tante altre».
Capisco che il metodo usato è diverso, ma com’è possibile, partendo dagli stessi dati, arrivare a risultati così distanti?
«Penso che tutto dipenda da quanto precisa può essere una misura dato un certo strumento. E riteniamo che lo strumento che abbiamo utilizzato noi sia molto più accurato, molto più preciso, di quello che hanno utilizzato loro. Dico “strumento” fra virgolette: stiamo parlando di metodi di confronto tra una particolare tipologia di modelli e di osservazioni. E dei cosiddetti modelli dinamici basati su funzioni di distribuzione che dipendono dalle azioni. Vale a dire, un metodo che viene accoppiato a una tipologia di confronto fra dati e modelli basata su statistica bayesiana. Ebbene, la metodologia e i modelli da noi impiegati per descrivere la dinamica di questi sistemi con buchi neri sono, secondo noi, molto più accurati – e anche molto più generali – rispetto ai modelli e al metodo statistico che invece è stato utilizzato dal team di Bustamante».
In cosa consiste la differenza fra il vostro metodo e il loro?
«Be’, diciamo che noi abbiamo la possibilità di “marginalizzare su molti parametri degeneri”, come si dice in gergo: possiamo, per esempio, studiare eventuali dipendenze della massa di questo buco nero da quella che si chiama anisotropia stellare – vale a dire, la distribuzione di velocità delle stelle presenti nel centro di Leo I. Questo perché identici effetti gravitazionali possono avere cause differenti».
Ma cos’altro può essere, se non si tratta di un buco nero, a portare a dati come quelli raccolti?
«Noi non diciamo che il buco nero non c’è, non siamo al punto di escluderne la presenza: poniamo un limite più basso alla sua massa massima».
Il prossimo passo quale sarà? Raccogliere nuovi dati?
«Be’, sicuramente ci aspettiamo che il team di Bustamante esca con nuovi dati».
Pensa che ve li daranno nuovamente? Dopo che avete usato quelli precedenti per demolirne il risultato?
«Direi proprio di sì, d’altronde noi siamo stati sempre molto onesti e molto corretti, nei loro confronti. Ci siamo anche confrontati con l’autrice dell’articolo prima di sottomettere il nostro per la pubblicazione, per esempio. Non ci siamo presi la libertà di fare le cose di nascosto: abbiamo chiesto un parere prima, e c’è stata una continua corrispondenza anche durante la stesura del nostro articolo. Immagino dunque che vedremo presto dei nuovi dati, probabilmente pubblicheranno qualcosa sulla base di questi dati, e a quel punto valuteremo. Insomma, la questione è ancora aperta. Diciamo che esiste una seconda voce, che è la nostra, mentre prima non esisteva neanche quella».
Questo non è strano? Intendo dire, il loro è un risultato talmente anomalo che immaginavo si scatenasse la gara a smontarlo…
«Mah, non saprei. Teniamo presente che il loro articolo è uscito a fine 2021, non così tanto tempo fa. Non so se ci sia qualche altro gruppo che sta lavorando alla stessa cosa. D’altronde la difficoltà maggiore è avere i dati, a meno che non si abbia a disposizione uno strumento proprietario, o comunque con un certo numero di ore di osservazione garantite. Il vantaggio del team di Bustamante è che avevano accesso a uno spettrografo, anche se non del tutto proprietario, comunque a uso interno – credo – dell’Università del Texas»
È per questo che non raccogliete altri dati per conto vostro?
«Sì, e anche perché noi tutti, autori di questo articolo, lavoriamo sul lato teorico. Semplicemente, anche se ovviamente sappiamo come si fa una richiesta per ottenere tempo di osservazione, e in parte lo abbiamo fatto, nessuno di noi è esperto nel settore osservativo».
Non vi sporcate le mani…
«Ma no, non si tratta di sporcarsi le mani… Diciamo che non ci abbiamo mai pensato. Magari in futuro lo faremo, visto che senz’altro c’è possibilità di miglioramento sulla base di dati più precisi, questo è poco ma sicuro».
E in ogni caso Bustamamte i dati ve li procurerà.
«Sì, ci ha detto che li stanno aspettando, questi nuovi dati, e ha anche accennato a promising results – risultati promettenti. Non sappiamo però se e quando verranno pubblicati».
Per saperne di più:
- Leggi su Astronomy & Astrophysics Letters l’articolo “The central black hole in the dwarf spheroidal galaxy Leo I Not supermassive, at most an intermediate-mass candidate”, di R. Pascale, C. Nipoti, F. Calura e A. Della Croce