Non sarà ancora arrivato ai 46 colpi dello scambio fra Sinner e Paul al Master di Toronto del 2023, ma è sulla buona strada. Stiamo parlando dell’appassionante serie di palleggi scientifici, a colpi di pubblicazioni su riviste prestigiose, per il match dell’acqua nel sottosuolo marziano. È o non è un lago sotterraneo d’acqua allo stato liquido, quello individuato nelle profondità del Pianeta rosso dal radar Marsis del satellite Mars Express? A sfidarsi – sin dalla prima memorabile “battuta”, vale a dire l’annuncio della scoperta, pubblicato su Science nel 2018 – sono (quasi) sempre loro: da un lato della rete il team italiano che fa capo a Roberto Orosei dell’Inaf e a Elena Pettinelli dell’Università Roma Tre, convinto che di acqua liquida si tratti; di parere opposto, sulla metà campo avversaria, il trio della Cornell University formato da Daniel Lalich, Alexander Hayes e Valerio Poggiali.
Gli ultimi (per ora) a toccare palla sono stati quest’ultimi, con un articolo piazzato giusto la scorsa settimana su Science Advances nel quale riportano i risultati di simulazioni che mostrerebbero come variazioni negli strati di ghiaccio d’acqua – dunque non acqua allo stato liquido – sottili al punto da non poter essere risolti dagli strumenti radar possano causare interferenze costruttive. Vale a dire, interferenze tali da far sì che i segnali si rinforzino a vicenda, così che l’onda risultante abbia un’ampiezza maggiore delle varie componenti. In pratica, il contrario di quel che fanno i sistemi audio di cancellazione attiva del rumore (basati su interferenze distruttive) presenti in alcune cuffie. Sarebbero proprio queste interferenze costruttive, e non la presenza di acqua nel sottosuolo, a rendere così bright – così luminosi – i riflessi catturati dal radar di Marsis.
«Non posso dire che sia impossibile che ci sia acqua liquida laggiù», mette le mani avanti Daniel Lalich, ricercatore al Cornell Center for Astrophysics and Planetary Science, «ma stiamo dimostrando che ci sono modi molto più semplici per ottenere la stessa osservazione senza dover far ricorso a ipotesi remote, utilizzando meccanismi e materiali che già sappiamo essere presenti».
Quali materiali? Strati di ghiaccio e polvere di spessori casuali, sottolinea Lalich, purché – appunto – sufficientemente sottili. Un “colpo” più insidioso, dunque, rispetto a quello di un precedente articolo dello stesso team, pubblicato nel 2022 su Nature Astronomy (e prontamente respinto dal team italiano), nel quale si ipotizzava la presenza di strati alternati di ghiaccio d’acqua e ghiaccio secco, ovvero di CO2. Sostanza quest’ultima, però, difficilmente presente sotto al ghiaccio d’acqua delle calotte marziane, come ammettono gli stessi ricercatori della Cornell.
«Per la prima volta abbiamo un’ipotesi che spiega l’intero insieme di osservazioni relative a quel che c’è sotto la calotta glaciale, senza dover introdurre nulla di unico o strano», continua Lalich. «Questo risultato, con riflessi luminosi diffusi più o meno ovunque, è esattamente quello che ci si aspetterebbe dall’interferenza, nel radar, dovuta a uno strato sottile».
Ora la palla è di nuovo nella metà campo italiana, quella dell’acqua liquida, e possiamo star certi che una risposta non tarderà ad arrivare. Anzi, in parte già è giunta. «Il modello numerico presentato nell’articolo riproduce con successo le proprietà degli echi radar che sono stati interpretati come prodotti dall’acqua liquida alla base della calotta polare meridionale di Marte. In attesa di un’analisi più approfondita, tuttavia, sono rimasto perplesso dalla scelta di valori per i parametri del modello che descrivono le proprietà dielettriche del ghiaccio marziano, alcuni dei quali sono più simili a quelli delle rocce vulcaniche», obietta infatti a Media Inaf Roberto Orosei dell’Istituto nazionale di astrofisica, raggiunto per un commento. «Inoltre, l’articolo non discute altre linee di prova a sostegno della presenza di acqua, come la morfologia della superficie sopra il riflettore luminoso del radar. Un altro fattore sconcertante è che questi echi basali luminosi, che secondo gli autori dell’articolo possono derivare da combinazioni casuali comuni di strati nella regione polare, non sembrano essere affatto presenti nella calotta polare settentrionale».
Insomma, siamo ancora ben lontani dal match point – se mai ci arriveremo – di questo avvincente incontro scientifico.
Per saperne di più:
- Leggi su Science Advances l’articolo “Small variations in ice composition and layer thickness explain bright reflections below martian polar cap without liquid water”, di Daniel E. Lalich, Alexander G. Hayes e Valerio Poggiali
- Leggi su Media Inaf gli articoli precedenti dedicati alla “saga sull’acqua marziana”:
- Marte, c’è un lago sotterraneo di acqua liquida (25/07/2018)
- Così abbiamo scoperto l’acqua su Marte (13/08/2018)
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