GLI AMMASSI DI GALASSIE COME “ACCRESCITORI DI VERTICE”

I predatori del ferro perduto

Dove vanno a finire, tutti i metalli sintetizzati nelle stelle, alla fine del “ciclo di produzione”? Per rispondere, un team guidato da Silvano Molendi dell’Inaf Iasf di Milano ha deciso di seguirne uno in particolare: il ferro. Scoprendo che la maggior parte dei metalli si troverebbero non nelle stelle bensì nel gas tiepido presente all’interno delle galassie e nello spazio intergalattico. Il risultato è pubblicato su A&A

     19/06/2024

Uno degli ammassi di galassie più studiato: Abell 1689. Si trova a 2.3 miliardi di anni luce. Il colore diffuso viola mostra la distribuzione del gas caldo osservata dall’osservatorio X-ray Chandra della Nasa. In giallo sono invece mostrate le singole galassie osservate dal telescopio spaziale Hubble. Crediti: Nasa / Cxc / Mit e Nasa / Stsci

Metalli. Così, senza andare troppo per il sottile, gli astronomi chiamano tutti gli elementi più pesanti di idrogeno ed elio. Indistintamente. In effetti, almeno quanto a origine, gli elementi che occupano le prime righe della tavola periodica – tolti appunto idrogeno ed elio, la cui genesi risale direttamente al big bang – hanno parecchio in comune: sono tutti sintetizzati nelle stelle, durante i processi a cascata di fusione nucleare o nel corso delle fasi terminali della loro evoluzione, come le esplosioni di supernove.

E dove vanno a finire, tutti questi metalli, alla fine del “ciclo di produzione”? Per rispondere il sistema più semplice è seguirne uno in particolare, di questi elementi: il ferro. «Il motivo è presto detto: è l’elemento più facile da misurare in banda X, perlomeno in determinati contesti», spiega a Media Inaf  Silvano Molendi, astrofisico all’Inaf di Milano e primo autore di uno studio, pubblicato il mese scorso su Astronomy & Astrophysics, dedicato proprio alla distribuzione dei metalli nell’universo. «La sua riga spettrale a 6.7 KeV – la cosiddetta riga K-alpha – è quella che meglio si misura nello spettro degli ammassi. Ne segue che la stragrande maggioranza delle misure di metallicità nell’intracluster medium – Icm, in italiano mezzo intra-ammasso, il gas caldo che permea gli ammassi di galassie – sono in realtà misure del ferro».

Follow the iron, dunque. Ed è proprio lanciandosi sulle tracce del ferro e misurandone le quantità che una ventina di anni fa ci si è accorti che i conti non tornavano: dalla misura in banda X emerge infatti che la massa del ferro presente nel mezzo intra-ammasso è maggiore di quella prodotta dalle stelle presenti nelle galassie dell’ammasso. Un rompicapo al quale gli astrofisici Alvio Renzini e Stefano Andreon, una decina d’anni fa, diedero il nome di Fe conundrum: l’enigma del ferro, appunto.

Un enigma per il quale il lavoro guidato da Molendi giunge ora a proporre una soluzione, suggerendo una revisione sia della massa delle stelle sia dell’efficienza con la quale le stelle producono ferro. E arrivando a stimare – giustapponendo misure in banda X e in banda ottica in un modello semplice, matematicamente descrivibile attraverso l’algebra e, in qualche caso, attraverso
il calcolo integrale – che solo circa un quarto del ferro si trovi ancora nelle stelle.

«Fino a una ventina di anni fa la convinzione generale era che, negli ammassi, il grosso del ferro fosse nelle stelle e solo una parte minore nel gas caldo», ricorda Molendi. «Negli ultimi anni, grazie anche a un nostro lavoro del 2021, almeno una parte della comunità si sta convincendo che negli ammassi il grosso del ferro si trovi nel gas caldo e non nelle stelle».

Rappresentazione fumettistica di un “apex accretor”. Crediti: Silvano Molendi/Inaf

Quanto al processo di trasferimento dei metalli dalle strutture piccole dove vengono sintetizzati, le galassie appunto, a quelle più grandi, come gruppi e ammassi di galassie, Molendi e colleghi lo descrivono nel loro studio facendo ricorso a un’analogia con un concetto tratto dalla biologia, quello di predatore di vertice o apex predator: così come il pesce grande mangia quello piccolo, gli ammassi di galassie – le più grandi strutture nell’universo – diventano apex accretors, o “accrescitori di vertice”.

«Se poi spostiamo lo sguardo dagli ammassi all’universo in generale, la stima che proponiamo – quella secondo la quale circa 3/5 dei metalli sarebbero situati nel gas tiepido presente all’interno delle galassie e nello spazio intergalattico – è una novità assoluta», conclude Molendi. «È vero che diverse simulazioni cosmologiche prevedono risultati simili al nostro, ma questa è la prima volta in cui si misura, anche se indirettamente, la frazione di metalli in questo gas. Un altro risultato nuovo, strettamente collegato a quello appena descritto, è che la metallicità dell’universo attuale è un fattore 6-7 più grande di quanto precedentemente stimato».

Per una verifica diretta delle stime della metallicità del gas tiepido sarà però necessario attendere misure ad alta risoluzione spettrale nella banda degli X molli, come quelle che promette di fornire lo strumento X-Ifu a bordo del futuro telescopio spaziale per raggi X Athena dell’Esa, il cui lancio è previsto nella seconda metà degli anni Trenta.

Per saperne di più:

  • Leggi su Astronomy & Astrophysics l’articolo “Metal enrichment: the apex accretor perspective”, di S. Molendi, S. Ghizzardi, S. De Grandi, M. Balboni, I. Bartalucci, D. Eckert, F. Gastaldello, L. Lovisari, G. Riva e M. Rossetti

Integrazione del 20/06/2024: aggiunto il nome del secondo autore dello studio del 2014 sul Fe conundrum.