Diverse osservazioni astronomiche indicano che la materia ordinaria, che possiamo vedere o toccare, comprende solo il 5 per cento del bilancio totale di massa ed energia dell’universo. Ma nella Via Lattea, per ogni chilogrammo di materia ordinaria presente nelle stelle, ci sono ben 15 chilogrammi di materia oscura, che non emette luce e interagisce solo attraverso la sua attrazione gravitazionale.
«La natura della materia oscura rimane un mistero. La maggior parte degli scienziati pensa che sia composta da particelle elementari sconosciute», dice Przemek Mróz dell’Osservatorio astronomico dell’Università di Varsavia, primo autore di due articoli pubblicati su Nature e Astrophysical Journal Supplement Series che offrono una risposta alla domanda riportata nel titolo di questa news. «Purtroppo, nonostante decenni di sforzi, nessun esperimento – compresi quelli condotti con il Large Hadron Collider – ha trovato nuove particelle che potrebbero essere responsabili della materia oscura».
Dalla prima rilevazione di onde gravitazionali generate dalla fusione di una coppia di buchi neri, avvenuta nel 2015, gli esperimenti Ligo e Virgo hanno rilevato più di 90 eventi di questo tipo. Gli astronomi hanno notato che i buchi neri rilevati in questo modo sono tipicamente molto più massicci (20-100 masse solari) di quelli conosciuti in precedenza nella Via Lattea (5-20 masse solari). «Spiegare perché queste due popolazioni di buchi neri siano così diverse è uno dei più grandi misteri dell’astronomia moderna», afferma Mróz.
Una possibile spiegazione ipotizza che i rivelatori Ligo e Virgo abbiano scoperto una popolazione di buchi neri primordiali che potrebbero essersi formati nelle prime fasi di vita dell’universo. La loro esistenza è stata proposta per la prima volta oltre 50 anni fa dal famoso fisico teorico britannico Stephen Hawking e, in modo indipendente, dal fisico sovietico Yakov Zeldovich. «Sappiamo che l’universo primordiale non era idealmente omogeneo: piccole fluttuazioni di densità hanno dato origine alle galassie e agli ammassi di galassie attuali», spiega Mróz. «Fluttuazioni di densità simili, se superano un contrasto di densità critica, possono collassare e formare buchi neri».
Dalla prima rilevazione delle onde gravitazionali, un numero sempre maggiore di scienziati ha ipotizzato che questi buchi neri primordiali possano costituire una frazione significativa, se non la totalità, della materia oscura. Ipotesi, questa, che può essere verificata con osservazioni astronomiche. Nella Via Lattea esistono abbondanti quantità di materia oscura. Se fosse composta da buchi neri, dovremmo essere in grado di rilevarli nel nostro vicinato cosmico. È possibile farlo, visto che i buchi neri non emettono alcuna luce rilevabile? Assolutamente sì.
Secondo la teoria della relatività generale di Einstein, la luce può essere piegata e deviata dal campo gravitazionale di oggetti massicci, un fenomeno chiamato microlensing gravitazionale. «Il microlensing si verifica quando tre oggetti – un osservatore sulla Terra, una sorgente di luce e una “lente” – si allineano prospetticamente in modo ideale nello spazio», spiega Andrzej Udalski, pricipal investigator di Ogle (Optical Gravitational Lensing Experiment). «Durante un evento di microlensing, la luce della sorgente può essere deviata e amplificata e noi osserviamo un temporaneo aumento della luminosità della sorgente».
La durata di questo aumento nella luminosità dipende dalla massa dell’oggetto che fa da lente: maggiore è la massa, più lungo è l’evento. Gli eventi di microlensing da parte di oggetti di massa solare durano in genere alcune settimane, mentre quelli da parte di buchi neri cento volte più massicci del Sole durano alcuni anni.
L’idea di utilizzare il microlensing gravitazionale per studiare la materia oscura non è nuova. È stata proposta per la prima volta negli anni ’80 dall’astrofisico polacco Bohdan Paczyński. La sua idea ha ispirato l’avvio di tre importanti esperimenti: il polacco Ogle, l’americano Macho e il francese Eros. I primi risultati di questi esperimenti dimostrarono che i buchi neri meno massicci di una massa solare possono costituire meno del 10 per cento della materia oscura. Queste osservazioni, tuttavia, non erano sensibili agli eventi di microlensing su scala temporale estremamente lunga e, quindi, non erano sensibili ai buchi neri massicci, simili a quelli recentemente rilevati dai rivelatori di onde gravitazionali.
Nel nuovo articolo, pubblicato sulla rivista Astrophysical Journal Supplement Series, gli astronomi di Ogle presentano i risultati di un monitoraggio fotometrico durato quasi 20 anni di circa 80 milioni di stelle appartenenti a una galassia vicina, la Grande Nube di Magellano, e la ricerca di eventi di microlensing gravitazionale. I dati analizzati sono stati raccolti durante la terza e la quarta fase del progetto Ogle, dal 2001 al 2020. «Questo set di dati fornisce le osservazioni fotometriche più lunghe, più ampie e più accurate delle stelle della Grande Nube di Magellano nella storia dell’astronomia moderna», dice Udalski.
Il secondo articolo, pubblicato su Nature, illustra le conseguenze astrofisiche delle scoperte. «Se l’intera materia oscura della Via Lattea fosse composta da buchi neri di 10 masse solari, avremmo dovuto rilevare 258 eventi di microlensing», spiega Mróz. «Per i buchi neri di 100 masse solari, ci aspettavamo 99 eventi di microlensing. Per i buchi neri di 1000 masse solari, 27 eventi di microlensing».
Al contrario, gli astronomi di Ogle hanno trovato solo 13 eventi di microlensing. La loro analisi dettagliata dimostra che tutti questi eventi possono essere spiegati dalle popolazioni stellari conosciute nella Via Lattea o nella Grande Nube di Magellano, non dai buchi neri. «Questo indica che i buchi neri massicci possono costituire al massimo qualche percentuale della materia oscura», afferma Mróz.
Calcoli dettagliati dimostrano che i buchi neri di 10 masse solari possono comprendere al massimo l’1,2 per cento della materia oscura, i buchi neri di 100 masse solari il 3 per cento della materia oscura e i buchi neri di 1000 masse solari l’11 per cento della materia oscura.
«Le nostre osservazioni indicano che i buchi neri primordiali non possono costituire una frazione significativa della materia oscura e, allo stesso tempo, spiegare i tassi di fusione dei buchi neri misurati da Ligo e Virgo», conclude Udalski.
Pertanto, sono necessarie altre spiegazioni per i buchi neri massicci rilevati da Ligo e Virgo. Secondo un’ipotesi, si sono formati come prodotto dell’evoluzione di stelle massicce a bassa metallicità. Un’altra possibilità richiama la fusione di oggetti meno massicci in ambienti stellari densi, come gli ammassi globulari.
Per saperne di più:
- Leggi su Astrophysical Journal Supplement Series l’articolo “Microlensing optical depth and event rate toward the Large Magellanic Cloud based on 20 years of OGLE observations” di Przemek Mróz, Andrzej Udalski, Michał K. Szymański, Mateusz Kapusta, Igor Soszyński, Łukasz Wyrzykowski, Paweł Pietrukowicz, Szymon Kozłowski, Radosław Poleski, Jan Skowron, Dorota Skowron, Krzysztof Ulaczyk, Mariusz Gromadzki, Krzysztof Rybicki, Patryk Iwanek, Marcin Wrona, and Milena Ratajczak
- Leggi su Nature l’articolo “No massive black holes in the Milky Way halo” di Przemek Mróz, Andrzej Udalski, Michał K. Szymański, Igor Soszyński, Łukasz Wyrzykowski, Paweł Pietrukowicz, Szymon Kozłowski, Radosław Poleski, Jan Skowron, Dorota Skowron, Krzysztof Ulaczyk, Mariusz Gromadzki, Krzysztof Rybicki, Patryk Iwanek, Marcin Wrona, and Milena Ratajczak