NON LO SCOMPONE NULLA: NÉ FREDDO, NÉ ARIDITÀ, NÉ RADIAZIONI

Muschio con prestazioni da far invidia ai tardigradi

Pervicacemente attaccato alla vita, il muschio del deserto Syntrichia caninervis è un candidato promettente per la colonizzazione di Marte grazie alla sua estrema capacità di tollerare condizioni difficili e letali per la maggior parte delle forme di vita, da siccità e freddo estremi a dosi di radiazioni elevatissime. Su “The Innovation” i risultati di uno studio condotto all’Accademia cinese delle scienze

     03/07/2024

Esemplare di Syntrichia caninervis. Crediti: Sheri Hagwood/Usda-Nrcs Plants Database

Quando il cercare vita su Marte cederà il posto al portare vita su Marte, è molto probabile che una fra le prime creature che tenteremo d’esportare sul Pianeta rosso sarà un muschio. Non un muschio qualunque, ma la specie che vedete qui a fianco: si chiama Syntrichia caninervis e quanto a resistenza a condizioni avverse è “il tardigrado dei vegetali”.

Nemmeno il più nero dei pollici riuscirebbe a metterlo in crisi. Abituato qui sulla Terra – dove prolifera in ambienti non proprio ospitali quali il Tibet, l’Antartide e le regioni circumpolari – a tollerare lunghi periodi di siccità estrema, in laboratorio ha dato mostra di saper superare pressoché indenne i più spietati maltrattamenti, mettendo a dura prova il team multidisciplinare di ricercatori dell’Accademia cinese delle scienze che ha poi riportato questa settimana, su The Innovation (una rivista del gruppo Cell), i risultati delle “torture”.

Hanno provato ad abbatterlo tenendolo in freezer a -80 °C per cinque anni. Quando lo hanno scongelato era più sano di prima. Allora l’hanno calato in una tanica d’azoto liquido, a −196 °C, e l’hanno lasciato lì per un mese. Niente da fare. L’immortale muschio si è sempre ripreso, e con maggiore rapidità se prima d’affrontare il supplizio del freddo era stato disidratato.

A quel punto hanno provato con le radiazioni – in dose da cavallo, anzi da pianta: 500 Gray, quanto basta per uccidere praticamente qualunque vegetale (a mettere fuori gioco noi umani ne bastano 50). E qui l’esito ha avuto il sapore della beffa: Syntrichia caninervis non solo se l’è cavata senza accusare alcun colpo, ma addirittura sembra che ne abbia tratto beneficio, visto che, notano gli autori dello studio, l’esposizione ai raggi letali “ha promosso in modo deciso la rigenerazione di nuovi rami”. Per arrivare a quella che i tossicologi chiamano Ld 50, ovvero la dose necessaria a uccidere la metà della popolazione, di radiazioni ne hanno dovute erogare dieci volte di più: 5000 Gray. «I nostri risultati indicano che S. caninervis è tra gli organismi più tolleranti alle radiazioni che si conoscano», scrivono i ricercatori.

Infografica dei test condotti. Crediti: Xiaoshuang Li et al., The Innovation, 2024

È dunque venuto spontaneo chiedersi come una specie così cocciutamente attaccata alla vita possa cavarsela in un ambiente extraterrestre, in particolare sul Pianeta rosso. In attesa di poterlo imbarcare su qualche sonda spaziale, lo hanno traslocato all’interno della Planetary Atmospheres Simulation Facility dell’Accademia cinese delle scienze, un simulatore di atmosfere planetarie in grado di riprodurre condizioni simili a quelle che l’ostinato muschio incontrerebbe su Marte: aria ultrararefatta e composta al 95 per cento da CO2, temperature che oscillano da -60°C a 20°C e alti livelli di radiazioni ultraviolette. Alcuni campioni sono rimasti lì dentro per un giorno, altri per due, altri per tre e alcuni per un’intera settimana. Com’è andata a finire già l’avrete intuito: entro un mese dal termine del soggiorno simil-marziano il 100 per cento delle piante che avevano affrontato la prova da essiccate si erano già perfettamente riprese. E anche quelle che avevano trascorso un giorno nel simulatore da idratate, seppur con maggior lentezza, sono riuscite a rigenerarsi.

Tutto pronto per il primo presepe vivente su Marte, dunque? In realtà c’è ancora parecchia strada da fare. Anzitutto occorre vedere come S. caninervis se la cava a contatto con i temibili perclorati, che pare siano presenti in quantità nel suolo marziano. Poi non va dimenticato che, mentre qui sulla Terra l’ordalia affrontata dal muschio era comunque a termine, su Marte non ci sarebbe tregua, trattandosi di condizioni immutabili.

I ricercatori sono comunque cautamente ottimisti. «Sebbene ci sia ancora molta strada da fare per creare habitat autosufficienti su altri pianeti», scrivono, «abbiamo dimostrato il grande potenziale di S. caninervis come pianta pioniera per la crescita su Marte. Guardando al futuro, ci aspettiamo che questo promettente muschio possa essere portato su Marte o sulla Luna per testare ulteriormente la possibilità di colonizzazione e crescita delle piante nello spazio esterno».

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