Per un orologio, la regolarità del ticchettio è tutto. Ma a quanto può arrivare? Per scoprirlo occorre andare a Boulder, in Colorado, dove sorgono i laboratori del Jila, un istituto congiunto del National Institute of Standards and Technology (Nist) statunitense e dell’Università del Colorado. È lì che si trova quello che è attualmente l’orologio atomico più preciso al mondo. Descritto in dettaglio in un articolo in uscita la prossima settimana su Physical Review Letters, è realizzato con un reticolo ottico, una sorta di “rete di luce” intessuta con raggi laser in grado di mantenere intrappolati decine di migliaia di atomi di stronzio, misurandone al tempo stesso una particolare transizione – la transizione 1S0→3P0 – e ottenendo così un clock dalla stabilità senza rivali: in teoria non dovrebbe perdere più di un secondo ogni 30 miliardi di anni.
Rispetto agli orologi atomici di generazione precedente, che funzionavano eccitando gli atomi con microonde, questo utilizza luce visibile, dunque a frequenza molto più elevata. Non è però l’unica novità: per ottenere una precisione così spinta, è stato necessario un lavoro certosino sia sul fonte del controllo degli atomi che su quello della stabilità ambientale, così da ridurre il più possibile gli errori sistematici. Risultato: l’incertezza raggiunta è pari a 8×10-19, vale a dire otto parti su dieci miliardi di miliardi. Un risultato sbalorditivo, che migliora l’accuratezza di oltre un fattore 2 rispetto all’orologio a reticolo ottico con atomi di stronzio più preciso mai realizzato in precedenza.
Ma a cosa può mai servire un orologio così accurato? Il suo fine va ben oltre il semplice fornire l’ora esatta. La sua precisione è infatti tale da poter misurare le dilatazioni del tempo dovute a effetti di relatività generale anche a scale microscopiche. È dunque potenzialmente in grado di registrare le alterazioni nell’andamento del tempo prodotte da variazioni di potenziale gravitazionale dovute, a loro volta, a spostamenti submillimetrici. Detto altrimenti: se lo solleviamo o lo abbassiamo di una quantità pari allo spessore d’un capello, un orologio di questo tipo riuscirà a calcolare l’impercettibile spostamento misurando di quanto la differenza di potenziale gravitazionale ha fatto accelerare o rallentare lo scorrere del tempo.
Le applicazioni concrete sono innumerevoli. Un oggetto così sensibile al variare del potenziale gravitazionale può essere usato, per esempio, nella ricerca di giacimenti minerari nascosti nel sottosuolo. Quanto alla precisione nel calcolo del tempo, è un requisito essenziale per la navigazione interplanetaria, dove anche il più piccolo errore può portare a deviazioni rispetto alla rotta desiderata che aumentano esponenzialmente con la distanza. «Se vogliamo far atterrare una navicella spaziale su Marte con una precisione millimetrica», dice a questo proposito uno degli autori dello studio, Jun Ye del Jila, «avremo bisogno di orologi con una precisione di parecchi ordini grandezza superiore a quella di cui disponiamo oggi con il Gps. Il nostro nuovo orologio atomico è un passo importante in questa direzione». Non vanno poi dimenticate le importanti ricadute che le tecnologie messe a punto per raggiungere una precisione così spinta – in particolare, il reticolo ottico in grado di imbrigliare e controllare i singoli atomi – possono avere per il quantum computing.
Ma più che le applicazioni concrete, a essere affascinanti sono le implicazioni per la conoscenza. Poter osservare gli effetti della relatività generale su scale così microscopiche, sottolineano infatti i ricercatori, aiuta a colmare in modo significativo il divario tra il regno microscopico dei quanti e i fenomeni su larga scala descritti dalla relatività generale. «Stiamo esplorando le frontiere della scienza della misurazione. E quando si giunge a misurare la realtà con questo livello di precisione», conclude Ye, «si iniziano a vedere fenomeni che finora abbiamo potuto solo teorizzare».
Per saperne di più:
- Leggi il preprint dell’articolo in uscita su Physical Review Letters “A clock with 8×10−19 systematic uncertainty”, di Alexander Aeppli, Kyungtae Kim, William Warfield, Marianna S. Safronova e Jun Ye