LO STUDIO RIVEDE UNO DEI FATTORI DELL’EQUAZIONE DI DRAKE

Potremmo essere soli nella Via Lattea

Il motivo per cui non sono state trovate evidenze di civiltà extraterrestri avanzate – nonostante l'equazione di Drake preveda che nella nostra galassia dovrebbero essercene molte, in grado di comunicare con noi – potrebbe essere di natura geologica. Oceani, continenti e tettonica delle placche sembrano essere ingredienti indispensabili per l'evoluzione di civiltà attive e comunicative. Tutti i dettagli su Nature's Scientific Reports

     05/07/2024

Karl G. Jansky Very Large Array (Vla). Crediti: Nrao

Secondo una nuova ricerca condotta da Robert Stern dell’Università del Texas a Dallas e da Taras Gerya del Politecnico federale di Zurigo, il motivo per cui non sono state trovate evidenze di civiltà extraterrestri avanzate – nonostante l’equazione di Drake preveda che nella nostra galassia ce ne siano decine, in grado di comunicare con noi – è di natura geologica.

In uno studio pubblicato su Nature’s Scientific Reports, Stern e Gerya suggeriscono che la presenza di oceani e continenti, nonché di una tettonica delle placche a lungo termine, sui pianeti che ospitano la vita, sia fondamentale per l’evoluzione di civiltà attive e comunicative (in breve Acc, acronimo di active, communicative civilizations). I ricercatori concludono che la probabile scarsità di questi tre requisiti sugli esopianeti diminuirebbe significativamente il numero di tali civiltà extraterrestri nella galassia.

«Sulla Terra la vita esiste da circa 4 miliardi di anni, ma gli organismi complessi come gli animali non sono comparsi fino a circa 600 milioni di anni fa, cioè non molto tempo dopo l’inizio dell’episodio moderno della tettonica a placche», spiega Stern. «La tettonica a placche fa davvero ripartire la macchina dell’evoluzione e noi pensiamo di averne capito il motivo».

Nel 1961 l’astronomo Frank Drake ideò un’equazione in cui diversi fattori vengono moltiplicati per stimare il numero di civiltà intelligenti nella nostra galassia in grado di rendere nota la loro presenza agli esseri umani. In questa equazione, riportata nell’immagine sotto, N è il numero di civiltà nella Via Lattea le cui emissioni elettromagnetiche (onde radio, ad esempio) sono rilevabili, R* è il numero di stelle che si formano ogni anno, fp è la frazione di stelle con sistemi planetari, ne è il numero di pianeti per sistema solare con un ambiente idoneo alla vita, fl è la frazione di pianeti idonei alla vita che di fatto la ospitano, fi è la frazione di pianeti sui quali la vita è intelligente, fc è la frazione di civiltà che sviluppano una tecnologia in grado di produrre segni rilevabili della loro esistenza e infine L è la durata media (in anni) in cui tali civiltà producono tali segnali.

Il motivo per cui non sono state trovate prove conclusive di civiltà extraterrestri avanzate – anche se l’equazione di Drake, qui illustrata, prevede che nella nostra galassia ce ne dovrebbero essere molte, in grado di comunicare con noi – potrebbe avere radici geologiche. Crediti: University of Texas at Dallas

L’attribuzione di valori plausibili alle sette variabili è un esercizio basato su ipotesi, che ha portato a prevedere la diffusione di tali civiltà. E ciò che ne deriva non è una stima irrisoria. Ma se questo è vero, perché non sono mai state trovate evidenze conclusive della loro esistenza?

Questa contraddizione è nota come paradosso di Fermi, dal nome del fisico e premio Nobel Enrico Fermi che aveva informalmente posto la questione ai colleghi.

Nel loro studio, Stern e Gerya propongono di perfezionare uno dei fattori dell’equazione di Drake – fi, la frazione di pianeti su cui emerge vita intelligente – per tenere conto della necessità di grandi oceani e continenti e dell’esistenza della tettonica delle placche per più di 500 milioni di anni.

«Nella formulazione originale, si pensava che questo fattore fosse quasi pari a 1, o al 100%: in altre parole, l’evoluzione su tutti i pianeti in cui c’era vita sarebbe andata avanti e, con un tempo sufficiente, si sarebbe trasformata in una civiltà intelligente», riferisce Stern. «Noi crediamo che questo non sia vero».

La tettonica delle placche è una teoria formulata alla fine degli anni Sessanta che afferma che la crosta terrestre e il mantello superiore sono suddivisi in pezzi in movimento, o placche, che si muovono molto lentamente, più o meno alla velocità con cui crescono le unghie e i capelli. Nel nostro sistema solare, solo uno dei quattro corpi rocciosi con deformazione superficiale e attività vulcanica – la Terra – presenta la tettonica a placche. Altri tre corpi rocciosi – Venere, Marte e la luna di Giove, Io – si stanno deformando attivamente e hanno vulcani giovani, ma non hanno la tettonica a placche. Altri due corpi rocciosi – Mercurio e la Luna – non presentano attività e sono tettonicamente morti.

«È molto più comune che i pianeti abbiano un guscio solido esterno che non è frammentato, il che è noto come tettonica a singolo strato», afferma Stern. «Ma la tettonica a placche è molto più efficace della tettonica a singolo strato per guidare l’emergere di forme di vita avanzate».

Quando le placche tettoniche si muovono, si scontrano o si allontanano l’una dall’altra, formando strutture geologiche come montagne, vulcani e oceani, che permettono anche lo sviluppo di modelli climatici e meteorologici moderati. Attraverso gli agenti atmosferici, le sostanze nutritive vengono rilasciate negli oceani. Creando e distruggendo habitat, la tettonica a placche sottopone le specie a uno stress ambientale moderato ma incessante, affinché si evolvano e si adattino.

Robert Stern, primo autore dell’articolo pubblicato su Nature’s Scientific Reports. Crediti: Utd

Stern e Gerya hanno anche valutato l’importanza della presenza duratura di grandi masse terrestri e oceani per l’evoluzione che porta a una specie attiva e capace di comunicare. «Sia i continenti che gli oceani sono necessari per gli Acc, perché l’evoluzione della vita multicellulare da semplice a complessa deve avvenire nell’acqua, ma l’ulteriore evoluzione che porta a interrogarsi sul cielo notturno, a sfruttare il fuoco e a usare i metalli per creare nuove tecnologie, e infine alla nascita di Acc in grado di inviare onde radio e razzi nello spazio, deve avvenire sulla terraferma», afferma Stern.

Il team di ricerca ha quindi proposto una revisione dell’equazione di Drake che definisce fi come il prodotto di due termini: foc, la frazione di esopianeti abitabili con continenti e oceani significativi, e fpt, la frazione di pianeti che hanno avuto una tettonica a placche di lunga durata.

Sulla base della loro analisi, Stern ha affermato che la frazione di esopianeti con un volume d’acqua ottimale è probabilmente molto piccola. Stimano che il valore di foc sia compreso tra 0,0002 e 0,01. Allo stesso modo, i ricercatori hanno concluso che anche una tettonica a placche di durata superiore a 500 milioni di anni è altamente insolita, portando a una stima di fpt inferiore a 0,17.

«Quando moltiplichiamo questi fattori, otteniamo una stima raffinata di fi che è molto piccola, tra lo 0,003% e lo 0,2%, invece del 100%», afferma Stern. «Questo spiega l’estrema rarità di condizioni planetarie favorevoli allo sviluppo di vita intelligente nella nostra galassia e risolve il paradosso di Fermi».

Secondo la Nasa, nella Via Lattea sono stati confermati più di 5.500 esopianeti ma non è ancora possibile rilevare, su questi pianeti, la presenza della tettonica delle placche. «La biogeochimica presuppone che la Terra solida, in particolare la tettonica delle placche, acceleri l’evoluzione delle specie», conclude Stern. «Studi come il nostro sono utili perché stimolano una riflessione ampia su misteri più grandi e forniscono un esempio di come possiamo applicare la nostra conoscenza dei sistemi terrestri a domande interessanti sul nostro universo».

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