In questi giorni, una particolare roccia marziana – soprannominata Cheyava Falls, come una cascata del Grand Canyon – sta catturando tutta l’attenzione del team scientifico del rover della Nasa Perseverance. Le caratteristiche particolarmente interessanti di questa roccia a forma di punta di freccia – che misura un metro per sessanta centimetri – potrebbero essere indizio della presenza di vita microbica su Marte in un lontano passato. Le analisi effettuate dagli strumenti a bordo del rover indicano tracce chimiche e strutture che potrebbero essere il risultato di forme di vita primordiale, risalente al tempo in cui nell’area esplorata dal rover scorreva acqua corrente. Il team scientifico di Perseverance, va sottolineato, sta prendendo in considerazione anche altre possibili spiegazioni che possano fornire un’interpretazione plausibile delle osservazioni, e per eventuali conferme sono necessarie in ogni caso indagini più approfondite.
«Dieci giorni fa, ci trovavamo a Pasadena in California con il team di Mars 2020 per discutere i principali risultati raggiunti da Perseverance negli ultimi tre anni di esplorazione del cratere Jezero su Marte», racconta Teresa Fornaro dell’Inaf di Arcetri e participating scientist della missione Nasa Mars 2020. «Proprio mentre eravamo lì Perseverance ha inviato direttamente da Marte gli ultimi dati dello strumento Sherloc che rivelavano i segnali Raman probabilmente più convincenti osservati finora, indicativi di materia organica in una roccia depositatasi in un ambiente abitabile nel passato di Marte».
È stato infatti Sherloc (Scanning Habitable Environments with Raman & Luminescence for Organics & Chemicals), a bordo del rover, a effettuare scansioni multiple della roccia rilevando la presenza di composti organici. È proprio per questo che lo strumento è stato costruito: cercare la materia organica come componente essenziale della ricerca della vita passata. Comunque, sebbene sia noto che questo tipo di molecole a base di carbonio costituiscano gli elementi alla base della vita, queste possono anche derivare da processi non biologici.
La roccia Cheyava Falls è il ventiduesimo campione marziano prelevato dai carotaggi del rover ed è stato raccolto il 21 luglio scorso durante l’esplorazione della sponda settentrionale della Neretva Vallis, un’antica valle fluviale larga circa quattrocento metri, scavata dall’acqua che scorreva nel cratere Jezero molto tempo fa. Nella sua ricerca di segni di antica vita microbica, la missione Perseverance si è concentrata su rocce che potrebbero essere state create o modificate molto tempo fa dalla presenza di acqua. Ecco perché il team si è concentrato proprio su Cheyava Falls.
«Cheyava Falls è la roccia più enigmatica, complessa e potenzialmente importante mai studiata da Perseverance», dice Ken Farley del Caltech di Pasadena, project scientist di Perseverance. «Da un lato, abbiamo il primo rilevamento convincente di materiale organico: distinte macchie colorate indicative di reazioni chimiche che la vita microbica potrebbe utilizzare come fonte di energia, e prove evidenti che l’acqua – necessaria per la vita – un tempo abbia attraversato la roccia. D’altra parte, non siamo stati in grado di determinare esattamente come si sia formata la roccia e in che misura le rocce vicine possano aver contribuito a creare le caratteristiche osservate su Cheyava Falls».
Anche altri dettagli sulla roccia hanno attirato l’attenzione dei ricercatori. La roccia è infatti percorsa da grandi venature bianche di solfato di calcio tra cui sono presenti bande di materiale il cui colore rossastro suggerisce la presenza di ematite, uno dei minerali che conferiscono a Marte la sua caratteristica tonalità color ruggine. Quando Perseverance ha osservato più da vicino queste regioni rossastre, ha individuato decine di macchie bianche irregolari di dimensioni millimetriche, ciascuna circondata da materiale nero.
Lo strumento Pixl (Planetary Instrument for X-ray Lithochemistry) a bordo di Perseverance ha analizzato queste macchie e ha determinato che questi aloni neri contengono sia ferro che fosfato. Macchie di questo tipo sulle rocce sedimentarie terrestri possono verificarsi in presenza di reazioni chimiche che coinvolgono l’ematite, trasformando la roccia da rossa a bianca. Reazioni chimiche simili possono costituire una fonte di energia per i microbi, spiegando così l’associazione tra queste caratteristiche e i microbi (in ambiente terrestre).
«Anche i risultati dello strumento Pixl sulla stessa roccia sono estremamente interessanti, in quanto ha rinvenuto macchie – informalmente chiamate “macchie di leopardo” dal team – indicative di reazioni di ossido-riduzione che potrebbero aver fornito l’energia necessaria per attività microbica nel passato di Marte», spiega Fornaro. «Inoltre, sappiamo che i solfati aiutano a preservare il materiale organico dalle radiazioni ultraviolette e questo potrebbe essere la ragione per cui le osservazioni principali di possibili tracce organiche fatte da Sherloc sono state fatte in associazione con i solfati, come abbiamo dimostrato in uno studio pubblicato pochi giorni fa su Scientific Reports».
Nello scenario preso in considerazione dal team scientifico di Perseverance, la roccia Cheyava Falls si è inizialmente depositata come fango, con un miscuglio di composti organici che alla fine si sono cementati nella roccia. In una fase successiva, il fluido è penetrato nelle fessure della roccia consentendo il deposito di minerali che hanno creato le venature bianche di solfato di calcio che si vedono oggi e che danno origine alle macchie stesse.
«La co-presenza di evidenze di processi acquosi, in particolare un’argilla molto probabilmente depositata in un ambiente acquoso, contenente materia organica ampiamente diffusa a concentrazioni relativamente elevate, con evidenze di reazioni di ossido-riduzione su scala millimetrica, porta a pensare che potremo essere di fronte a potenziali biofirme, cioè sostanze che potrebbero avere un’origine biologica ma che richiedono ulteriori studi», sottolinea Fornaro,«prima di arrivare a conclusioni riguardo all’assenza o presenza di vita».
Sebbene la materia organica e le macchie siano di grande interesse, non sono gli unici aspetti della roccia Cheyava Falls a intrigare il team scientifico. Ha destato infatti non poca sorpresa scoprire che le venature sulle rocce sono piene di cristalli millimetrici di olivina, un minerale che si forma dal magma. La presenza di olivina potrebbe essere collegata alle rocce che si sono formate più a monte rispetto al fiume e che potrebbero essere state prodotte dalla cristallizzazione del magma.
«In quanto parte del team di Sherloc sono ovviamente molto felice che finalmente abbiamo trovato dei chiari segnali Raman di materia organica in una roccia con elevato potenziale di preservazione, ma allo stesso tempo voglio essere cauta nell’interpretazione, perché lo strumento è appena uscito da un periodo di anomalie e molti aspetti devono ancora essere approfonditi per essere certi che non ci siano falsi positivi. Purtroppo gli strumenti che possono essere messi a bordo dei rover hanno capacità limitate ed è estremamente difficile riuscire a capire se in questi campioni siano veramente presenti biofirme dalle analisi in situ. Riportare questo campione sulla Terra», conclude Fornaro, «sarà cruciale per effettuare analisi dettagliate nei laboratori terrestri più avanzati».
Guarda il video (in inglese) della Nasa: