Quella del mistero è la migliore esperienza che possiamo avere. È l’emozione fondamentale che veglia la culla della vera arte e della vera scienza, diceva Albert Einstein.
L’uomo, fin dall’inizio della sua storia, è sempre stato attratto dai fenomeni che non conosceva e ha cercato delle spiegazioni. Nel corso degli anni ha scoperto parecchie cose sul mondo in cui viviamo, ma ancora non ha una conoscenza completa di molti fenomeni, soprattutto quanto l’orizzonte viene esteso all’universo, in cui i misteri abbondano e che non smette mai di stupirci.
Ora, a porci davanti a una nuova grande incognita è una scoperta del James Webb Space Telescope (Jwst) della Nasa che ha confermato che tre oggetti luminosi e molto rossi, rilevati nell’universo primordiale, stravolgono il pensiero convenzionale sull’origine e l’evoluzione delle galassie e dei loro buchi neri supermassicci.
Un team internazionale di ricercatori guidato dalla Penn State University, utilizzando lo strumento NirSpec a bordo di Jwst nell’ambito della survey Rubies, ha identificato i tre oggetti misteriosi circa 600-800 milioni di anni dopo il Big Bang, quando l’universo era solo al 5 per cento della sua età attuale. La scoperta è stata pubblicata su The Astrophysical Journal Letters.
Il team ha studiato gli spettri di questi oggetti, scoprendo tracce di stelle “vecchie” di centinaia di milioni di anni, molto più vecchie di quanto previsto in un universo giovane. I ricercatori hanno raccontato di essere rimasti sorpresi nello scoprire negli stessi oggetti tracce di enormi buchi neri supermassicci, che hanno stimato essere da 100 a 1000 volte più massicci di quello al centro della Via Lattea. Nessuno dei due casi è previsto dagli attuali modelli di crescita delle galassie e di formazione dei buchi neri supermassicci, che prevedono che le galassie e i loro buchi neri crescano insieme nel corso di miliardi di anni di storia cosmica.
«Abbiamo confermato che sembrano essere pieni di stelle antiche – vecchie centinaia di milioni di anni – in un universo che ha solo 600-800 milioni di anni. Sorprendentemente, questi oggetti detengono il record di prime tracce di vecchia luce stellare», afferma Bingjie Wang, ricercatrice della Penn State e prima autrice dell’articolo «È stato del tutto inaspettato trovare vecchie stelle in un universo molto giovane. I modelli standard della cosmologia e della formazione delle galassie hanno avuto un incredibile successo. Tuttavia, questi oggetti luminosi non si adattano perfettamente a quelle teorie».
Gli oggetti massicci sono stati scoperti la prima volta due anni fa, nel luglio 2022, quanto il dataset iniziale è stato rilasciato da Jwst. Diversi mesi dopo il team pubblicò un articolo su Nature in cui annunciava la scoperta. All’epoca i ricercatori sospettavano già si trattasse di galassie, ma hanno proseguito la loro analisi acquisendo degli spettri per comprendere meglio le reali distanze degli oggetti e le sorgenti che ne alimentano l’immensa luce. I ricercatori hanno poi utilizzato nuovi dati per tracciare un quadro più chiaro di come apparivano le galassie e di cosa c’era al loro interno. Non solo il team ha confermato che gli oggetti erano effettivamente galassie vicine all’inizio dei tempi, ma ha anche trovato prove dell’esistenza di buchi neri supermassicci sorprendentemente grandi e di una popolazione di stelle incredibilmente antica.
«È molto disorientante», dice Joel Leja della Penn State e coautore di entrambi gli articoli. «È possibile far rientrare questo fenomeno nel nostro attuale modello di universo, ma solo se si evoca una formazione esotica e follemente rapida all’inizio del tempo. Questo è, senza dubbio, l’insieme di oggetti più particolare e interessante che abbia mai visto nella mia carriera».
Una sfida nell’analizzare la luce molto vecchia è che può essere difficile distinguere tra le varie sorgenti che avrebbero potuto emetterla. Nel caso di questi oggetti, le sorgenti hanno chiare caratteristiche sia dei buchi neri supermassicci sia di vecchie stelle. Tuttavia, non è ancora chiaro quanta della luce osservata provenga da ciascuna di esse – il che significa che potrebbero essere galassie primordiali che sono inaspettatamente vecchie e più massicce persino della Via Lattea, formatesi molto prima di quanto previsto dai modelli, oppure potrebbero essere più galassie di massa normale con buchi neri “sovramassicci”, approssimativamente da 100 a 1000 volte più massicci di quanto avrebbe una galassia del genere oggi.
A parte la loro massa ed età inspiegabili, se parte della luce effettivamente proviene da buchi neri supermassicci, non sono nemmeno normali oggetti di quel tipo. Infatti, producono molti più fotoni ultravioletti del previsto, e oggetti simili studiati con altri strumenti non hanno le firme caratteristiche dei buchi neri supermassicci, come la polvere calda e una brillante emissione di raggi X. «Normalmente i buchi neri supermassicci sono accoppiati con le galassie», ha spiegato Leja. «Crescono insieme e vivono insieme tutte le principali esperienze della vita. Ma qui abbiamo un buco nero adulto completamente formato che vive all’interno di quella che dovrebbe essere una baby galassia. Non ha proprio senso, perché dovrebbero crescere insieme, o almeno questo è quello che pensavamo».
I ricercatori si dicono anche perplessi dalle dimensioni incredibilmente piccole di questi sistemi, larghi solo poche centinaia di anni luce, circa mille volte più piccoli della Via Lattea. Le stelle sono numerose all’incirca quanto nella nostra galassia, ma contenute in un volume 1000 volte più piccolo della Via Lattea. Leja ha spiegato che se prendessimo la Via Lattea e la comprimessimo fino alle dimensioni delle galassie trovate, la stella più vicina si troverebbe quasi nel Sistema solare — mentre per confronto la stella più vicina al nostro pianeta, Proxima Centauri, si trova a poco più di 4 anni luce dal Sole. Il buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea, a circa 26mila anni luce di distanza, si troverebbe a soli 26 anni luce dalla Terra e sarebbe visibile nel cielo come un gigantesco pilastro di luce.
«Queste galassie primordiali sarebbero così dense di stelle – stelle che devono essersi formate in un modo che non abbiamo mai visto, in condizioni che non ci aspetteremmo mai e durante un periodo in cui non ci aspetteremmo mai di vederle», spiega Leja. «E per qualche motivo, l’universo ha smesso di produrre oggetti come questi dopo appena un paio di miliardi di anni. Sono unici per l’universo primordiale».
I ricercatori sperano di proseguire con ulteriori osservazioni che, secondo loro, potrebbero aiutare a spiegare alcuni dei misteri legati agli oggetti. Hanno in programma di acquisire spettri più profondi puntando il telescopio per periodi di tempo prolungati, il che aiuterà a distinguere l’emissione delle stelle da quella del potenziale buco nero supermassiccio, identificando le specifiche firme di assorbimento che dovrebbero essere presenti in ciascuno.
Per saperne di più:
- Leggi sul The Astrophysical Journal Letters l’articolo “RUBIES: Evolved Stellar Populations with Extended Formation Histories at z ∼ 7–8 in Candidate Massive Galaxies Identified with JWST/NIRSpec” di Bingjie Wang , Joel Leja, Anna de Graaff, Gabriel B. Brammer, Andrea Weibel, Pieter van Dokkum, Josephine F. W. Baggen, Katherine A. Suess, Jenny E. Greene, Rachel Bezanson, Nikko J. Cleri, Michaela Hirschmann, Ivo Labbé, Jorryt Matthee, Ian McConachie, Rohan P. Naidu, Erica Nelson, Pascal A. Oesch, David J. Setton e Christina C. Williams