DAI DATI SISMICI DELLO STRUMENTO SEIS A BORDO DEL LANDER INSIGHT DELLA NASA

Orologi cosmici su Marte

La frequenza degli impatti da meteoriti su Marte è molto superiore a quanto si pensava in precedenza. Poiché il numero di crateri presenti sulla superficie viene utilizzato per datare le superfici dei pianeti, le stime aggiornate degli impatti permetteranno di rendere molto più precisa la regolazione del cosiddetto “orologio cosmico”. I risultati sono stati confermati da due studi indipendenti pubblicati rispettivamente su Nature Astronomy e Science Advances

     02/08/2024

Crateri sulla superficie marziana formatisi in seguito al primo impatto di un meteorite rilevato dal lander Mars Insight della Nasa, nel 2021. L’immagine presenta colori modificati per rendere i dettagli più visibili all’occhio umano, ed è stata scattata dal Mars Reconnaissance Orbiter della Nasa. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/University of Arizona.

Nonostante sulla superficie di Marte l’esploratore robotico Insight della Nasa sia inattivo dalla fine del 2022, i suoi dati continuano a produrre nuove scoperte sulla Terra. Insight è infatti dotato di uno strumento chiamato Seis (Seismic Experiment for Interior Structure), un sismografo estremamente sensibile in grado di misurare i minimi movimenti del suolo, utilizzato per registrare eventi sismici probabilmente causati da impatti di meteoriti, i cosiddetti marsquakes (o martemoti). Il lander InSight ha raccolto dati sismici dal momento dell’atterraggio nel 2018 fino a quando i suoi pannelli solari, come previsto, si sono ricoperti di polvere al punto da non poter più generare energia.

Ora, grazie ai dati di Insight, risulta da due studi indipendenti, pubblicati su Nature Astronomy e Science Advances, che la frequenza degli impatti da meteoriti su Marte sia molto superiore a quanto si pensava in precedenza. Il tasso dei marsquakes rilevati da Seis supera infatti le stime precedenti basate sulle immagini satellitari della superficie di Marte.

Secondo i ricercatori, questi dati sismici sono particolarmente significativi perché rappresentano un modo molto più accurato e diretto per misurare i tassi di impatto dei meteoriti e potrebbero permettere una datazione di maggiore precisione delle superfici planetarie del Sistema Solare. In passato, infatti, è stato utilizzato il numero di crateri presenti sulla superficie come “orologio cosmico” basandosi su un semplice assunto: le superfici più vecchie presentano un numero maggiore di crateri rispetto a quelle più giovani. Sembrerebbe invece che i segnali sismici possano fornire una stima molto più accurata del numero degli impatti, rendendo quindi più precisa la regolazione dell’orologio.

Per calcolare l’età planetaria  con questo metodo, gli scienziati hanno tradizionalmente utilizzato modelli basati sui crateri della Luna, ma per Marte questi modelli devono essere adattati – oltre che alla dimensione e alla posizione del pianeta – alla presenza dell’atmosfera, che potrebbe impedire agli impattatori più piccoli di colpire la superficie.
Con questo nuovo studio, i ricercatori hanno identificato un nuovo modello di segnali sismici prodotto dall’impatto di meteoriti che si distinguono per una proporzione insolitamente maggiore di onde ad alta frequenza rispetto ai segnali sismici tipici, oltre che per altre caratteristiche, e sono noti come marsquakes ad altissima frequenza. Utilizzando questo nuovo metodo per rilevare gli impatti, i ricercatori hanno contato molti più eventi rispetto a quanto previsto dalle immagini satellitari, in particolare per impatti che producono crateri di soli pochi metri di diametro.

I segnali sismici ottenuti da Insight suggeriscono che Marte viene colpito ogni anno da circa trecento meteoriti delle dimensioni di un pallone da basket, i cui impatti producono crateri di oltre otto metri di diametro sulla superficie del Pianeta rosso. Per i crateri larghi meno di 60 metri, gli scienziati sono stati in grado di stimare la frequenza di formazione di nuovi crateri utilizzando le immagini satellitari, ma il numero di crateri osservati con questo metodo è molto inferiore a quello previsto dai dati sismici.

«Utilizzando i dati sismici per comprendere meglio la frequenza con cui i meteoriti colpiscono Marte e il modo in cui questi impatti modificano la sua superficie, possiamo iniziare a ricostruire una linea temporale della storia geologica e dell’evoluzione del Pianeta rosso», spiega Natalia Wojcicka dell’Imperial College di Londra, coautrice dello studio pubblicato su Nature Astronomy. «Si potrebbe pensare a una sorta di “orologio cosmico” che ci aiuti a datare le superfici marziane e forse, più avanti, altri pianeti del Sistema solare».

«Ascoltare gli impatti sembra essere più efficace che cercarli, se vogliamo capire quanto spesso si verificano» ha dichiarato Gareth Collins dell’Imperial College di Londra, tra gli autori dello stesso studio.

Il lander della Nasa Mars Insight. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech

A rafforzare questi risultati complessivi c’è anche un secondo studio in cui è coinvolto lo stesso gruppo di ricerca, pubblicato su Science Advances. In questo caso, per stimare la frequenza degli impatti su Marte sono state utilizzate le immagini e i segnali atmosferici registrati da InSight, e nonostante l’utilizzo di metodi diversi, entrambi gli studi sono giunti a conclusioni simili. Per la precisione, secondo lo studio pubblicato su Science Advances i tassi di impatto da meteoriti sulla superficie marziana potrebbero essere da due a dieci volte superiori a quelli stimati in precedenza, a seconda delle dimensioni dei meteoroidi. La frequenza di queste collisioni cosmiche mette in discussione le nozioni esistenti sulla frequenza con cui i meteoroidi colpiscono la superficie marziana e suggerisce la necessità di rivedere gli attuali modelli di craterizzazione marziana per incorporare tassi di impatto più elevati, soprattutto da meteoroidi più piccoli.

«I nostri risultati si basano su un piccolo numero di esempi a nostra disposizione, ma la stima dell’attuale tasso di impatto suggerisce che il pianeta viene colpito molto più frequentemente di quanto possiamo vedere usando solo le immagini», dice la prima autrice dello studio Ingrid Daubar, della Brown University (Usa). «Questo ci obbligherà a ripensare alcuni dei modelli che la comunità scientifica utilizza per stimare l’età delle superfici planetarie dell’intero Sistema solare».

Prima dei dati di Seis a bordo di Insight, i nuovi impatti su Marte erano stati individuati con immagini scattate in diversi periodi da telecamere in orbita intorno al pianeta. Senza Seis, molti impatti sarebbero potuti passare altrimenti inosservati, e per individuarli il team di ricerca ha confrontato i dati sismici con le immagini riprese dal Mars Reconnaissance Orbiter della Nasa. Questo duplice approccio, che prevede l’utilizzo di dati sismici e immagini orbitali, ha permesso di confermare che i segnali sismici sono stati causati da impatti e di effettuare un controllo incrociato delle loro scoperte per garantirne l’accuratezza.

Sei degli otto nuovi crateri individuati dai ricercatori in questo modo, si trovano vicini al luogo in cui staziona il lander InSight. I due impatti più distanti identificati dai dati sono ritenuti i due più grandi mai rilevati dagli scienziati, anche dopo decenni di osservazione dall’orbita. Questi ultimi due impatti hanno generato un cratere delle dimensioni di un campo da calcio e sono avvenuti a soli novantasette giorni di distanza l’uno dall’altro, sottolineando la maggiore frequenza di questo tipo di eventi geologici.

«Ci aspetteremmo un impatto di queste dimensioni forse una volta ogni due decenni, ma qui ne abbiamo due a distanza di poco più di novanta giorni l’uno dall’altro», osserva Daubar. «Potrebbe trattarsi di una coincidenza assurda, ma la probabilità che sia solo una coincidenza è davvero molto bassa. È più probabile che i due grandi impatti siano collegati, oppure che il tasso di impatto su Marte sia molto più alto di quanto pensassimo».

Tutte le nuove informazioni acquisite finora risulteranno importanti anche per valutare i potenziali pericoli a cui saranno esposte le future missioni di esplorazione planetaria, sia robotiche che umane.

Per saperne di più: