Pensando all’immensità dello spazio l’idea di trovare qualcosa potrebbe sembrare come dover cercare un ago in un pagliaio. L’esperienza comune suggerirebbe, come anche il modo di dire, che trovare un oggetto piccolo sia molto più difficile che trovarne uno enorme, eppure in astrofisica non è così per tutto, non almeno quando si parla di coppie di buchi neri: con gli interferometri per onde gravitazionali, per esempio, è più facile trovare una coppia di aghi che di mietitrebbie. Un team di ricercatori guidato dal Max-Planck-Institut für Astrophysik (Mpa, in Germania) ha dunque proposto una nuova idea per rilevare le coppie dei buchi neri più grandi – quelli supermassicci – analizzando le onde gravitazionali prodotte dalla fusione di buchi neri piccoli presenti nelle vicinanze: un approccio, illustrato lunedì scorso su Nature Astronomy, che richiederà rilevatori di onde gravitazionali sensibili a frequenze nell’ordine dei decimi di hertz (“deci-Hz”) per studiare coppie di buchi neri che altrimenti rimarrebbero inaccessibili.
Ci sono ancora dei grandi misteri nell’astronomia, e uno di questi è proprio l’origine dei buchi neri supermassicci che si trovano al centro delle galassie: potrebbero essere sempre stati massicci ed essersi formati quando l’universo era ancora molto giovane; oppure potrebbero essere cresciuti nel tempo accrescendo materia ed altri buchi neri. Quando un buco nero supermassiccio sta per divorarne un altro massiccio, la coppia emette onde gravitazionali, ovvero increspature nello spazio tempo che si propagano attraverso l’universo.
Negli ultimi anni sono state rilevate onde gravitazionali da queste fusioni, ma solo provenienti da piccoli buchi neri, che sono i resti delle stelle. Ad oggi, infatti, rilevare i segnali di singole coppie di buchi neri supermassicci è ancora impossibile, in quanto gli attuali interferometri non sono sensibili alle bassissime frequenze delle onde gravitazionali che emettono. I futuri rilevatori in corso di realizzazione – come la missione spaziale Lisa, guidata dall’Esa – dovrebbero risolvere questo problema, anche se rimarrà estremamente impegnativo rilevare le coppie di buchi neri più massicci.
«La nostra idea funziona fondamentalmente come l’ascolto di una stazione radio. Proponiamo di utilizzare il segnale proveniente da coppie di piccoli buchi neri in modo simile a come le onde radio trasportano il segnale. I buchi neri supermassicci sono la musica codificata nella modulazione di frequenza (Fm) del segnale rilevato», spiega Jakob Stegmann, autore principale dello studio e ricercatore post-dottorato al Mpa «L’aspetto innovativo di questa idea è quello di utilizzare le alte frequenze, che sono facili da rilevare, per sondare le frequenze più basse, alle quali non siamo ancora sensibili».
Risultati recenti ottenuti dai pulsar timing array supportano già l’esistenza della fusione di sistemi binari di buchi neri supermassicci. Questa prova è, tuttavia, indiretta e proviene dal segnale collettivo di molte binarie distanti che creano effettivamente rumore di fondo.
Il nuovo metodo proposto per rilevare le fusioni di singole coppie di buchi neri supermassicci sfrutta le piccole perturbazioni che le onde gravitazionali a bassa frequenza da esse emessi – la “musica” della stazione Fm, nell’analogia di Stegmann – imprimono sulle onde gravitazionali a frequenza molto più elevata – la “portante”, sempre nell’analogia – emesse dalla fusione di una coppia di piccoli buchi neri di massa stellare presente nelle vicinanze. Il sistema binario dei piccoli buchi neri funzionerebbe quindi come un “faro” in grado di rivelare l’esistenza della coppia di buchi neri massicci. Captando le minuscole modulazioni di frequenza nei segnali provenienti dai sistemi binari di piccoli buchi neri, gli scienziati potrebbero così identificare i sistemi binari di buchi neri supermassicci fino a oggi nascosti, quelli con masse che vanno da 10 milioni a 100 milioni di volte quella del Sole, anche a grandi distanze.
«Mentre il percorso per il Laser Interferometer Space Antenna (Lisa) è ora impostato, dopo l’adozione da parte dell’Esa lo scorso gennaio», dice Lucio Mayer, coautore dello studio e teorico dei buchi neri all’Università di Zurigo, «la comunità deve valutare la migliore strategia per la prossima generazione di rilevatori gravitazionali, soprattutto su quale gamma di frequenze focalizzarsi – studi come questo portano una forte motivazione a dare priorità alla progettazione di un rilevatore deci-Hz».
«L’articolo presenta un’idea molto bella e intelligente, che è ancora fantascienza finché non avremo un rilevatore di deci-Hz», commenta Selma E. de Mink, direttrice del Mpa, non coinvolta nello studio, «ma abbiamo davvero bisogno di creatività e idee fuori dagli schemi come questa se vogliamo avere la possibilità di risolvere i più grandi misteri dell’universo».
Per saperne di più:
- Leggi sul Nature Astronomy l’articolo “Imprints of massive black-hole binaries on neighbouring decihertz gravitational-wave sources”, di Jakob Stegmann, Lorenz Zwick, Sander M. Vermeulen, Fabio Antonini e Lucio Mayer
- Guarda su TikTok il video realizzato da Sofia Cussini per la serie “Forse vi starete chiedendo…”
Correzione del 28/08/2024: le didascalie delle due immagini erano invertite