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Marketing spaziale: il caso del programma Apollo

Inizialmente l’utilità dell’investimento nei programmi spaziali era molto discussa. Alla storica missione dell’Apollo 11 di 55 anni fa è servito un sapiente lavoro di promozione, come descritto in “Marketing the Moon” di David Meerman Scott e Richard Jurek, recensito domenica scorsa sul Sole24Ore da Patrizia Caraveo in questo articolo che vi riproponiamo con il consenso dell’autrice

     16/08/2024

David Meerman Scott e Richard Jurek, “Marketing the Moon. The selling of the Apollo lunar Program”, The Mit Press; Illustrated edition (28 febbraio 2014), 144 pagine, 33,82 €

Ci sono molti modi di festeggiare una ricorrenza importante. Il 20 luglio è caduto il 55esimo anniversario dell’allunaggio di Apollo 11 che ha portato i primi due esseri umani, astronauti del programma Apollo, a camminare sulla Luna. Dal momento che la Nasa ha in corso il programma Artemis per riportare sulla Luna astronauti americani, non solo di sesso maschile e non solo bianchi, sarebbe stato un’ottima occasione per parlare della sorella gemella di Apollo, dea della Luna. Invece la Nasa ha stupito tutti annunciando la cancellazione della sonda Viper, parte del programma di esplorazione e ricerca di ghiaccio lunare, che avrebbe dovuto partire a inizio 2025 a bordo di una missione commerciale di Astrobotic. È difficile capire come mai l’agenzia che ha già investito 450 milioni di dollari nel rover Viper, la cui costruzione è ultimata, e ha un contratto di 323 milioni con Astrobotic per il suo trasporto a destinazione abbia preso una decisione così drastica. In più, visto che il contratto con Astrobotic non può essere cancellato, si rischia di fare partire un modello con la stessa massa del rover, a meno che qualcuno non abbia uno strumento delle giuste dimensioni e del giusto peso, pronto da lanciare. Certo non sembra un bel modo di spegnere le 55 candeline del gigantesco passo per l’umanità, anche considerato che l’industria cinematografica ci ha messo del suo con Fly me to the Moon, una commedia romantica che ripropone, anche se in modo soft, la versione dell’allunaggio ricostruito in un set cinematografico, in caso qualcosa fosse andato male. Mentre questa parte del film, che ovviamente riceverà la maggior parte di attenzione, è pura fiction, molto più interessante è la figura dell’esperta di campagne pubblicitarie che, pur essendo un personaggio inventato, si ispira al sapiente lavoro di marketing che ha portato la Luna nella case degli americani, inizialmente scettici sull’utilità dell’investimento che il governo aveva deciso di fare nel programma spaziale.

Anche se, nel fatidico momento della discesa di Neil Armstrong, il 94 per cento degli apparecchi televisivi americani era sintonizzato sulla telecronaca, il progetto Apollo non aveva sempre goduto di grande popolarità presso il pubblico. Una percentuale tra il 45 ed il 60 per cento degli americani pensava che si stesse spendendo troppo. Dopo tutto la decisione di portare un americano sulla Luna era stata presa da Kennedy per motivi puramente politici volti a dimostrare la superiorità della tecnologia americana su quella sovietica.

Ma un ambizioso e costoso programma, che, nel momento di massimo splendore, ha assorbito oltre il 4 per cento del budget federale Usa, non poteva prescindere dal supporto popolare. Da qui la necessità di fare intervenire esperti di marketing e di pubbliche relazioni per interessare il pubblico.

Wernher von Braun in un fotogramma tratto da “Man in Space” della serie Disneyland (1955)

Le iniziative di marketing intraprese con successo da Scarlett Johansson corrispondono al vero, come descritto in Marketing the Moon. The selling of the Apollo Lunar Program. È un libro uscito nel 2014 a opera di David Meerman Scott e Richard Jurek, due esperti di marketing, oltre che entusiasti collezionisti di cimeli lunari. La prefazione di Eugene Cernan, l’ultimo uomo sulla Luna, certifica la serietà del libro, che ripercorre la storia degli sforzi per sensibilizzare il pubblico al programma spaziale che avevano avuto in Wernher von Braun un campione assoluto. Convinto che un grande programma spaziale dovesse, prima di tutto, rivolgersi al pubblico, von Braun si inventò divulgatore, arrivando a instaurare una straordinaria collaborazione con Walt Disney culminata nella serie televisiva Disneyland del 1955. I tre episodi – “Man in Space“, “Man and the Moon” e “Mars and Beyond” – della serie, che mescolano interviste a von Braun con degli irresistibili cartoni animati, sono disponibili su YouTube e meritano di essere visti.

Ma quella di von Braun (e Walt Disney) era un’iniziativa culturale. Per vendere la Luna occorreva avere qualcosa da vendere. La Nasa iniziò con l’immagine degli astronauti concessa in esclusiva a Life, rivista che all’epoca andava per la maggiore. Fu un’azione molto ficcante per familiarizzare il pubblico con i nuovi eroi spaziali e con le loro famiglie che divennero protagonisti di una lunga serie di copertine della rivista.

Ma Scott e Jurek raccontano anche storie di prodotti di straordinario successo che continuano a vivere di rendita grazie alla partecipazione al programma Apollo. Come l’orologio Moonwatch, che Omega continua a produrre e a vendere. Dovendo fornire i suoi astronauti di orologi capaci di funzionare nelle condizioni estreme dei voli spaziali, la Nasa fece un bando al quale risposero Rolex, Longines, Omega e Hamilton. Il modello Omega Speedmaster risultò il migliore e venne scelto dalla Nasa. Veniva fornito con due cinturini, uno normale di acciaio e uno a fettuccia con il velcro da indossare sopra la tuta per le passeggiate lunari. Omega commercializzò il primo orologio sulla Luna (Moonwatch) con entrambi i cinturini, permettendo a tutti di immaginarsi vestiti da astronauti come quelli immortalati mentre saltellavano sulla Luna. Le foto erano prodotte dalla Hasselblad 500 EL, la prima voluminosa macchina fotografica sviluppata per lavorare sulla Luna, fissata alla tuta per lasciare le mani libere. Così anche Hasselblad ottenne grande visibilità grazie alla sua partecipazione, tutt’altro che secondaria, al programma Apollo. La stessa cosa avvenne per la Westinghouse Electric’s Aerospace Division che, per poter trasmettere le dirette lunari, mise a punto una telecamera a scansione lenta per non intasare la limitata capacità di trasmissione del modulo lunare verso le antenne terrestri. I fotogrammi arrivarono, riga per riga, all’antenna australiana che li inviò, via satellite, a Houston da dove vennero trasmessi in mondovisione. Uno sforzo immane che la Nasa pianificò per venire incontro ai media che volevano vedere quello che facevano gli astronauti sulla Luna, con buona pace di chi pensa che l’allunaggio sia stato girato in uno studio cinematografico.

Guarda il trailer di Fly Me to the Moon: Le due facce della Luna: