A 350 MILIONI DI ANNI LUCE DA NOI

La chioma di Berenice legata dalla materia oscura

La Dark Energy Camera cattura l’ammasso della Chioma, un ammasso di galassie che prende il nome dai capelli di un’antica regina e che è stato fonte di ispirazione per la teoria della materia oscura: fu l’astronomo Fritz Zwicky a ipotizzarne per primo l’esistenza, nel 1937, notando che le galassie dell’ammasso sembrava risentissero di un’attrazione gravitazionale non giustificabile con la sola materia visibile

     19/08/2024

La Dark Energy Camera ha catturato questa immagine dell’ammasso della Chioma (o Coma cluster, in inglese, conosciuto anche come Abell 1656), un ammasso di galassie che si trova a circa 350 milioni di anni luce, in direzione della costellazione della Chioma di Berenice. L’ammasso prende il nome dai capelli della regina Berenice II d’Egitto, che nel III secolo a.C. sposò Tolomeo III. Pochi giorni dopo le nozze, lo sposo partì per la guerra e Berenice fece voto di tagliarsi i capelli in segno di gratitudine verso gli dèi se il marito fosse tornato vittorioso. Quando Tolomeo tornò sano e salvo, mantenne la promessa e depose i suoi capelli nel tempio. Ma il giorno dopo le sue trecce non c’erano più e la mitologia narra che la chioma di Berenice salì in cielo, vicino alla coda del Leone.

L’immagine mostra l’enorme ammasso di galassie della Chioma. I dati utilizzati per realizzarla sono stati raccolti dalla Dark Energy Camera (DeCam), montata sul telescopio di 4 metri della National Science Foundation (Nsf) statunitense Víctor M. Blanco presso l’Osservatorio Interamericano di Cerro Tololo, un programma del NoirLab della Nsf. La fotocamera da 570 megapixel è stata costruita per realizzare la Dark Energy Survey (Des), un’incredibile serie di osservazioni di 758 notti tra il 2013 e il 2019, il cui scopo è comprendere la natura dell’energia oscura. Crediti: Ctio/ Noirlab/ Doe/ Nsf/ Aura/ D. de Martin & M. Zamani (Nsf Noirlab)

La chioma di Berenice non è importante solo nella mitologia greca: questo insieme di galassie è stato fondamentale per la scoperta dell’esistenza della materia oscura. Quasi un secolo fa, nel 1937, l’astronomo svizzero Fritz Zwicky osservò diverse galassie all’interno dell’ammasso della Chioma e calcolò un’approssimazione della massa dell’ammasso in base alle strutture luminose osservate. Fu allora che si accorse di qualcosa di strano: le galassie all’interno dell’ammasso si comportavano come se l’ammasso contenesse una massa 400 volte superiore a quella suggerita dalle sue stime. In altre parole, sembrava esserci una massa “invisibile”. Questo lo portò a postulare che l’ammasso doveva essere tenuto insieme da grandi quantità di materia “oscura” non osservabile, ma la sua ipotesi sembrò inverosimile a gran parte della comunità astronomica.

Solo negli anni ’80 la maggioranza degli astronomi si convinse dell’esistenza della materia oscura, quando uscirono diversi studi che riportavano la stessa curiosa incongruenza di massa osservata da Zwicky, ma sulla scala di singole galassie piuttosto che di interi ammassi di galassie. Uno di questi studi è stato condotto nel 1970 dagli astronomi statunitensi Kent Ford e Vera C. Rubin, che hanno trovato prove di materia invisibile nella galassia di Andromeda. Nel 1979, gli astronomi Sandra Faber e John Gallagher hanno effettuato un’analisi approfondita del rapporto massa-luce di oltre cinquanta galassie a spirale ed ellittiche, che li ha portati a concludere che “la tesi della massa invisibile nell’universo è molto forte e si sta rafforzando”.

Oggi, l’esistenza della materia oscura e dell’energia oscura è ormai ampiamente accettata e la comprensione della loro natura è uno degli obiettivi principali dell’astrofisica moderna. Un aiuto in questo senso arriverà certamente dall’imminente Legacy Survey of Space and Time (Lsst), che sarà condotta dall’osservatorio Vera C. Rubin – dal nome dell’astronoma che ha contribuito a dimostrare che l’universo è molto più di quanto sembri. Proprio recentemente, nel maggio di quest’anno, dopo vent’anni di lavoro, la fotocamera di Lsst è stata consegnata in Cile: si tratta della più grande fotocamera per l’astrofisica mai costruita, e contribuirà a svelare i misteri dell’universo fotografando, ininterrottamente per dieci anni, l’intero cielo australe.