Le onde gravitazionali, finora, viaggiavano in coppia. Per rivelarle con gli interferometri attualmente costruiti sulla superficie terrestre, che misurano come il passaggio delle perturbazioni dello spaziotempo – le onde gravitazionali, appunto – modifica la lunghezza dei loro bracci, occorreva la forza di due oggetti massicci in fusione: due buchi neri, una stella di neutroni e un buco nero, o due stelle di neutroni. Secondo nuove simulazioni pubblicate su Apj Letters, però, anche le onde gravitazionali generate dal collasso di particolari stelle massicce chiamate collapsar potrebbero essere rivelate. Anche se farlo sarebbe molto più complesso.
Una collapsar è una stella molto massiccia il cui nucleo ha una massa superiore a 30 volte la massa del Sole, e che una volta esaurito il carburante per la fusione nucleare implode in un buco nero, lasciando il materiale residuo della stella spiraleggiare rapidamente verso l’oscurità. La spirale di materiale – che dura pochi minuti – è così densa da distorcere lo spazio-tempo circostante, creando onde gravitazionali che viaggiano attraverso l’universo. E che, secondo le simulazioni condotte al Center for Computational Astrophysics (Cca) del Flatiron Institute di New York, potrebbero essere già presenti nei dati d’archivio raccolti finora dagli interferometri Ligo e Virgo.
«Una delle domande più interessanti nel campo è: quali sono le potenziali sorgenti non fuse che potrebbero produrre onde gravitazionali e che possiamo rilevare con le strutture attuali?», dice Ore Gottlieb, ricercatore al Cca e primo autore dell’articolo. «Una risposta promettente, ora, è collapsar».
Un risultato sorprendente, dato che finora si pensava che le onde gravitazionali generate da oggetti singoli si perdessero nel rumore di fondo dell’universo, ma non esente da vincoli stringenti. Per una serie di ragioni, infatti, trovare le onde gravitazionali prodotte dalle collapsar sarebbe tutt’altro che semplice. Innanzitutto, le simulazioni hanno mostrato che il collasso di questi oggetti può produrre onde gravitazionali visibili dai nostri interferometri solo entro 50 milioni di anni luce di distanza. Distanza che sarebbe meno di un decimo rispetto al limite di rilevazione delle onde gravitazionali più potenti prodotte dalla fusione di buchi neri o stelle di neutroni, ma comunque più forte di qualsiasi altro evento non legato alla fusione finora simulato.
E se è vero che alcuni segnali potrebbero già essere presenti nei dati d’archivio degli interferometri, sapere come dovrebbero essere fatti, esattamente, non è affatto scontato. Nello studio infatti sono stati simulati solo pochi eventi di collasso, mentre le stelle che potrebbero generarli coprono un’ampia gamma di profili di massa e rotazione, cosa che comporta differenze nei segnali di onde gravitazionali in arrivo. Bisognerebbe – dicono gli autori – simulare almeno un milione di collassi per avere un numero sufficiente di casi con cui confrontare i segnali misurati, ma le simulazioni sono molto costose e a oggi questi numeri sono impensabili. Con quanto simulato finora sarebbe davvero improbabile trovare qualunque corrispondenza, poiché ogni stella produce un segnale potenzialmente unico data la propria massa e rotazione. Un’altra strategia potrebbe essere utilizzare altri segnali provenienti da eventi di collasso vicini rilevati con altri strumenti – come supernove o lampi di raggi gamma emessi durante il collasso di una stella – e poi cercare negli archivi di dati se sono state rilevate onde gravitazionali in quell’area del cielo nello stesso momento.
Insomma, c’è del potenziale ma manca una strategia e, forse, anche i mezzi. Trovare questi segnali, però, sarebbe importante non solo per dimostrare che anche eventi singoli generano onde gravitazionali misurabili, ma anche per comprendere meglio la struttura interna della stella al momento del collasso e, con essa, le proprietà dei buchi neri: due argomenti ancora poco conosciuti e, dicono gli autori, non indagabili altrimenti.
Per saperne di più:
- Leggi su Apj Letters l’articolo “In LIGO’s Sight? Vigorous Coherent Gravitational Waves from Cooled Collapsar Disks“, di Ore Gottlieb, Amir Levinson e Yuri Levin