GRAZIE ALL’INTERVENTO DELLA MATERIA OSCURA

Buchi neri supermassicci a collasso diretto

La materia oscura potrebbe aver contribuito alla formazione dei buchi neri supermassicci osservati dal telescopio spaziale James Webb nell'universo primordiale. In particolare, le radiazioni prodotte dal decadimento della materia oscura sarebbero in grado di mantenere l'idrogeno gassoso a una temperatura tale da condensare direttamente in buchi neri supermassicci. I dettagli su Physical Review Letters

     29/08/2024

Un’immagine del James Webb Telescope mostra il quasar J0148 cerchiato in rosso. Due inserti mostrano, in alto, il buco nero centrale e, in basso, l’emissione stellare della galassia ospite. Crediti: Mit/Nasa

La formazione dei buchi neri supermassicci, come quello al centro della Via Lattea, richiede molto tempo. In generale, la nascita di un buco nero necessita di una stella con una massa pari ad almeno 50 masse solari che, in un tempo che può arrivare al miliardo di anni, esaurisce il suo combustibile nucleare e collassa su sé stessa. Tuttavia, con solo poche decine di masse solari il buco nero risultante è ben lontano dal buco nero di 4 milioni di masse solari che si trova al centro della nostra galassia, Sagittarius A*, o dai buchi neri supermassicci di miliardi di masse solari che si trovano in altre galassie. Questi buchi neri giganti possono formarsi da buchi neri più piccoli per accrezione di gas e stelle e per fusione con altri buchi neri, che richiede miliardi di anni.

Allora come mai il telescopio spaziale James Webb sta scoprendo buchi neri supermassicci all’alba dell’universo, quando non dovrebbero aver avuto il tempo di formarsi? È un po’ come trovare un’auto tra i resti di un dinosauro: come fa a essere lì? chi l’ha costruita? Ora gli astrofisici della Ucla sembrano aver trovato una risposta plausibile a questo mistero: se riusciamo a vedere buchi neri supermassicci così “precoci” dobbiamo ringraziare la materia oscura. La scoperta è pubblicata sulla rivista Physical Review Letters.

Alcuni astrofisici ipotizzano che una grande nube di gas potrebbe collassare per creare direttamente un buco nero supermassiccio, aggirando la lunga trafila prevista dalla teoria dell’evoluzione stellare delle stelle di grande massa. Ma c’è una fregatura: la gravità, in effetti, può riunire una grande quantità di gas, ma non in un’unica grande nube. Al contrario, nella nube si verrebbero a formare piccoli addensamenti che fluttuano l’uno vicino all’altro, che non vanno a formare direttamente un buco nero. Questo perché la nube di gas si raffredda troppo rapidamente. Finché il gas è caldo, la sua pressione può contrastare la gravità. Tuttavia, se il gas si raffredda, la pressione diminuisce e la gravità può prevalere in molte piccole regioni, che collassano in oggetti densi prima che la gravità abbia la possibilità di trascinare l’intera nube in un unico buco nero.

«La velocità con cui il gas si raffredda ha molto a che fare con la quantità di idrogeno molecolare», spiega Yifan Lu, primo autore dello studio. «Gli atomi di idrogeno legati insieme in una molecola dissipano energia quando incontrano un atomo di idrogeno libero. Le molecole di idrogeno diventano agenti di raffreddamento in quanto assorbono energia termica e la irradiano. Le nubi di idrogeno nell’universo primordiale avevano una quantità eccessiva di idrogeno molecolare e il gas si è raffreddato rapidamente, formando piccoli aloni invece di grandi nubi».

Lu e Zachary Picker hanno scritto un codice per calcolare tutti i possibili processi coinvolti in questo scenario, scoprendo che radiazioni aggiuntive possono riscaldare il gas e dissociare le molecole di idrogeno, alterando il modo in cui il gas si raffredda. «Se si aggiungono radiazioni in un certo intervallo di energia, si distrugge l’idrogeno molecolare e si creano condizioni che impediscono la frammentazione di grandi nubi», spiega Lu. Ma da dove provengono queste radiazioni?

Vista in luce polarizzata del buco nero supermassiccio Sagittarius A* al centro della Via Lattea. Crediti: Eso

Solo una piccolissima parte della materia presente nell’universo è quella che costituisce il nostro corpo, il nostro pianeta, le stelle e tutto ciò che possiamo osservare. La stragrande maggioranza della materia, rilevata dagli effetti gravitazionali su oggetti stellari e dalla curvatura dei raggi luminosi provenienti da sorgenti lontane, è costituita da particelle che gli scienziati non hanno ancora identificato: la cosiddetta materia oscura.

Le forme e le proprietà della materia oscura sono quindi un mistero ancora da risolvere. Sebbene non si sappia cosa sia la materia oscura, i teorici delle particelle ipotizzano da tempo che possa essere costituita da particelle instabili in grado di decadere in fotoni. L’inserimento di tale materia oscura nelle simulazioni ha fornito la radiazione necessaria affinché il gas rimanga in una grande nube mentre sta collassando in un buco nero.

La materia oscura potrebbe essere costituita da particelle che decadono lentamente, oppure potrebbe essere composta da più specie di particelle: alcune stabili e altre che decadono velocemente. In entrambi i casi, il prodotto del decadimento potrebbe essere radiazione sotto forma di fotoni, che spezzano l’idrogeno molecolare e impediscono alle nubi di idrogeno di raffreddarsi troppo rapidamente. Anche un decadimento molto lieve della materia oscura produce radiazioni sufficienti a impedire il raffreddamento, formando grandi nubi e, alla fine, buchi neri supermassicci.

«Questo potrebbe essere il motivo per cui i buchi neri supermassicci vengono trovati molto presto», conclude Picker. «Volendo essere ottimisti, si potrebbe anche leggere questo dato come una prova positiva a favore di un tipo di materia oscura. Se questi buchi neri supermassicci si sono formati dal collasso di una nube di gas, forse la radiazione aggiuntiva necessaria proviene dalla fisica sconosciuta del settore oscuro».

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