PASSATE AL VAGLIO CIRCA 2800 GALASSIE IN UN’UNICA OSSERVAZIONE

Cercando civiltà extragalattiche sui 100 MHz

Condotta dal Seti Institute, dal Berkeley Seti Research Center e dall’Icrar avvalendosi delle antenne del Murchison Widefield Array, in Australia Occidentale, è stata la prima ricerca di segnali di tecnologie aliene a basse frequenze provenienti da galassie che non siano la nostra. Abbiamo intervistato uno dei due autori dello studio pubblicato su ApJ, il radioastronomo Steven Tingay, della Curtin University

     30/08/2024

Il radioastronomo Steven Tingay (Curtin Universityt), direttore del Murchison Widefield Array, il radiotelescopio australiano, formato da 4096 antenne (alcune si intravedono nella foto), impiegato per la ricerca di segnali da civiltà extragalattiche. Crediti: Curtin University

Sono andati in cerca di segnali radio emessi da civiltà extraterrestri – anzi, addirittura extragalattiche. Segnali a bassa frequenza: per la precisione, a 100 MHz. Come Ra‌diofreccia‌ a Trebisacce, Radio Gamma a Cesena o Ra‌dio Onda‌ d’Urto a Ponte di Legno, giusto per fare qualche esempio. Solo che questi arriverebbero da distanze che si misurano in milioni di anni luce. Parliamo di un progetto innovativo, illustrato questa settimana sulle pagine di The Astrophysical Journal, condotto dal Seti Institute, dal Berkeley Seti Research Center e dall’Icrar – l’International Centre for Radio Astronomy Research – avvalendosi del Murchison Widefield Array (Mwa), un’enorme distesa di 4096 antenne dalla forma che ricorda quella dei ragni installate nell’Australia Occidentale.

Si è trattato di un tentativo senza precedenti: mai prima d’ora era stata compiuta una ricerca sistematica di segnali di tecnologie aliene provenienti da galassie che non siano la nostra, concentrandosi sulle basse frequenze. A guidare il progetto – che ha passato al setaccio in un’unica osservazione circa 2800 galassie, 1300 delle quali a distanza nota – sono stati Chenoa Tremblay, del Seti Institute, e il direttore dell’Mwa, Steven Tingay, radioastronomo della Curtin University, che Media Inaf ha intervistato.

Professor Tingay, com’è possibile che un segnale artificiale arrivi a coprire distanze addirittura intergalattiche?

«Alle lunghezze d’onda radio, i segnali possono viaggiare nello spazio per distanze molto lunghe senza essere assorbiti da alcun materiale. Tuttavia, man mano che si allontana dalla sorgente, il segnale diventa più debole, perché si diffonde, come le increspature che si ottengono lasciando cadere un sasso in uno stagno. Anche se le onde radio possono viaggiare su tragitti lunghissimi abbiamo dunque bisogno di radiotelescopi molto sensibili per rilevarle, perché quando ci raggiungono i segnali sono estremamente deboli».

Radiotelescopi come il Murchison Widefield Array?

«Esatto. Il Murchison Widefield Array (Mwa) ha inoltre un campo visivo estremamente ampio, e questo ci consente, con una singola osservazione, di acquisire segnali da milioni di stelle e migliaia di galassie, il che lo rende molto efficiente per il Seti: possiamo cercare molti più oggetti e molto più rapidamente».

Perché ascoltare a 100 MHz? È proprio nel mezzo della banda 88-108 delle stazioni radio FM… non è una fonte significativa di rumore?

«Siamo in grado di osservare a 100 MHz – che in effetti è nel mezzo della banda radio FM – perché l’Mwa si trova molto lontano da città, esseri umani e trasmettitori. Pertanto le trasmissioni FM non raggiungono facilmente il telescopio e, quindi, non interferiscono con le nostre misurazioni».

Quanto è durata la vostra survey con l’Mwa? E com’è finita? Avete rilevato qualche segnale promettente, intendo?

«Negli ultimi dieci anni abbiamo trascorso centinaia di ore a fare osservazioni per il Seti. Non abbiamo trovato alcun segnale promettente, ma non stiamo nemmeno scalfendo la superficie del problema, quindi non ci aspettiamo necessariamente di trovare qualcosa a breve. Basti pensare che negli ultimi 50 anni di Seti, utilizzando tutti i telescopi e il tempo di osservazione, l’umanità ha ispezionato una minuscola frazione della nostra galassia. Se rapportassimo la Via Lattea agli oceani terrestri, tutte le osservazioni Seti dell’ultimo mezzo secolo equivarrebbero alla quantità d’acqua di una piscina. Trovare un segnale Seti sarebbe un po’ come estrarre a caso dall’oceano l’acqua di una piscina e trovarci uno squalo».

Ma allora che senso ha cercare segnali di civiltà aliene provenienti altre galassie quando non si è mai riusciti a captarne nemmeno uno dalla nostra?

«Be’, non abbiamo idea di che cosa potrebbe essere capace una civiltà aliena, ammesso che ne esistano. Il punto è che le civiltà aliene potrebbero essere estremamente rare, quindi anche tra i miliardi di stelle della nostra galassia potrebbe essercene un numero molto ridotto – magari una soltanto, la nostra. Osservando altre galassie, abbiamo accesso a molti miliardi di possibili civiltà per ciascuna di esse. Se osserviamo migliaia di galassie, ciò significa migliaia di miliardi di possibilità. Insomma, diventa una questione statistica. Inoltre, se non iniziamo a osservare mettendo un po’ da parte i nostri pregiudizi umani, potremmo perdere proprio il segnale importante».


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