LA NUOVA RICERCA INSERITA SU NATURE PORTFOLIO

Nello spazio, i batteri intestinali vanno in tilt

Un nuovo studio internazionale, guidato dall’University College Dublin e dalla McGill University, in collaborazione con la Nasa, ha messo in luce le profonde alterazioni del microbioma intestinale durante il volo spaziale, rivelando possibili conseguenze significative sulla salute degli astronauti e sul futuro delle missioni spaziali di lunga durata

     05/09/2024

Edward H. White II, è stato il primo americano a uscire dalla sua navicella spaziale e a lasciarsi andare, andando di fatto alla deriva nello spazio a gravità zero. Era il 3 giugno 1965. Crediti: Nasa, James McDivitt

D’ora in poi, nella valigia degli astronauti saranno inserite scorte di Bifidus Actiregularis. No, scherziamo, questa è una provocazione. Tuttavia c’è un fondo di verità. Un team internazionale di ricercatori, guidato dall’University College di Dublino (Ucd) e dalla McGill University di Montreal, Canada, in collaborazione con la Nasa, ha infatti rivelato come il volo spaziale possa alterare pesantemente la flora batterica intestinale, compromettendo significativamente la salute degli astronauti. Lo studio, pubblicato sulla rivista npj Biofilms and Microbiomes del gruppo Nature, è il più dettagliato finora realizzato sulla relazione tra permanenza nello spazio e batteri intestinali che gli astronauti portano con sé, dalla Terra allo spazio.

Il gruppo di ricerca ha utilizzato tecnologie genetiche avanzate per esaminare i cambiamenti nel microbioma intestinale, nel colon e nel fegato, di alcuni topi a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (Iss) dopo 29 e 56 giorni di volo spaziale.
L’analisi metagenomica dei batteri, cioè il sequenziamento del genoma di determinati microrganismi effettuato direttamente nell’intestino dei ratti, ha rivelato cambiamenti significativi in 44 specie del microbioma, tra cui riduzioni relative nel numero di batteri che metabolizzano gli acidi biliari. 

«Il volo spaziale altera ampiamente la fisiologia degli astronauti, ma molti dei fattori che contribuiscono rimangono un mistero», ha affermato Emmanuel Gonzalez della McGill University, primo autore dello studio. «Grazie all’integrazione di nuovi metodi genomici, siamo in grado di esplorare simultaneamente i batteri intestinali e la genetica dell’ospite in modo straordinariamente dettagliato e stiamo iniziando a vedere modelli che potrebbero spiegare le patologie causate dal volo spaziale»

L’habitat intestinale dei roditori inviati sulla Iss dalla missione SpaceX ha fornito informazioni cruciali sull’impatto del volo spaziale sui mammiferi, rendendo possibile l’analisi di sintomi caratteristici di alcune malattie riscontrate negli astronauti. Sebbene le interazioni ospite-microbiota durante il volo spaziale siano ancora in via di definizione, i risultati hanno comunque rivelato modifiche significative in specifici batteri intestinali e nell’espressione genica dell’ospite. Tali cambiamenti sono associati a disfunzioni immunitarie e metaboliche frequentemente osservate nello spazio, fra le quali in particolare l’alterazione del metabolismo del glucosio caratterizzata da insulino-resistenza e l’irregolarità del metabolismo dei grassi, due processi che possono costituire un rischio significativo per la salute degli astronauti.

Per la ricerca sono stati analizzati topi femmina di 32 settimane trasportati sulla ISS con SpaceX-13 e divisi in due gruppi: FLT_LAR, tornato a Terra dopo 29 giorni di volo spaziale nell’ambito della missione Live Animal Return, e FLT_ISS, campionato sulla ISS dall’equipaggio dopo 56 giorni di volo spaziale. Crediti: npj biofilms and microbiomes

«Queste scoperte evidenziano l’intricato dialogo tra specifici batteri intestinali e i loro ospiti murini, coinvolti in modo critico nel metabolismo degli acidi biliari, del colesterolo e dell’energia. Esse gettano nuova luce sull’importanza della simbiosi del microbioma per la salute e su come queste relazioni evolute sulla Terra possano essere vulnerabili alle sollecitazioni dello spazio», ha spiegato Nicholas Brereton, ricercatore della Ucd School of Biology and Environmental Science e coautore dello studio.

Gli studi sulle scienze della vita nello spazio, dimostrano come la comprensione degli adattamenti biologici al volo spaziale possa non solo far progredire la medicina aerospaziale, ma anche avere implicazioni significative per la salute sulla Terra e per la progettazione delle prossime missioni umane su Marte.
«È chiaro che non stiamo mandando nello spazio solo uomini e animali, ma interi ecosistemi, la cui comprensione è fondamentale per aiutarci a sviluppare misure di salvaguardia per le future esplorazioni spaziali», ha aggiunto Gonzalez.  

La collaborazione internazionale, guidata dall’Ucd e condotta assieme ai gruppi di analisi del GeneLab della Nasa, fa parte del recente pacchetto The Second Space Age: Omics, Platforms and Medicine across Space Orbits l’insieme di pubblicazioni su Nature Portfolio riguardanti le scoperte di biologia spaziale. 

«Queste scoperte sono un tassello importante per la comprensione dell’impatto del volo spaziale sugli astronauti e contribuiranno alla progettazione di missioni sicure ed efficaci verso l’orbita terrestre, la Luna e Marte», ha commentato Jonathan Galazka, scienziato dell’Ames Research Center della Nasa e coautore dell’articolo. «Inoltre, la natura collaborativa di questo progetto è un esempio di come la scienza aperta possa accelerare il ritmo delle scoperte».  

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