PUBBLICATI I RISULTATI DELLE PRIME MISURE DELLE RADIAZIONE DI ARTEMIS I

Verso la Luna e oltre con uno scudo di nome Orion

Un articolo apparso ieri sulle pagine della rivista Nature descrive i primi risultati degli esperimenti di valutazione del rischio di esposizione alle radiazioni all'interno della capsula Orion, condotti nel corso della missione Artemis I. Il team congiunto di scienziati Esa, Nasa e Dlr conferma l'idoneità della capsula Orion per le future missioni con equipaggio

     19/09/2024

Man mano che ci spingiamo oltre nello spazio, gli astronauti saranno coinvolti in missioni spaziali di durata sempre maggiore. Missioni che presentano numerose sfide, una delle quali è l’esposizione prolungata alle radiazioni presenti nello spazio. A differenza della Terra, che è protetta dal suo campo magnetico e dall’atmosfera, lo spazio interplanetario è infatti un ambiente altamente radioattivo. L’esposizione a tali radiazioni rappresenta un rischio considerevole per la salute dei futuri equipaggi impegnati in missioni a lungo termine, ad esempio sulla Luna e su Marte. Al fine di mitigare questi rischi e garantire la sicurezza degli astronauti, è fondamentale conoscere quali tipi di garanzia offrano tanto i futuri veicoli spaziali che li condurranno verso mete nuove, o già esplorate, quanto i dispositivi di protezione individuale che indosseranno. Per fare ciò, occorre quantificare il livello di radiazioni durante l’intero volo.

Foto scattata il sesto giorno della missione Artemis I che mostra la capsula Orion che incombe sul lato nascosto del nostro satellite. Crediti: Nasa

Tra gli obiettivi di Artemis I, la prima missione senza equipaggio del programma Artemis della Nasa che riporterà l’essere umano sulla Luna, c’era anche questo: misurare l’esposizione alle radiazioni all’interno della capsula Orion per testarne le prestazioni, rendendo possibile per la prima volta la raccolta di dati continui in un viaggio durante un viaggio Terra-Luna. Dlr, Esa, e Nasa di questi esperimenti hanno ora pubblicato i primi risultati su Nature.

Partita dal Kennedy Space Center a bordo del razzo Sls il 16 novembre 2022 e rientrata sulla Terra 25 giorni dopo, l’11 dicembre 2022, dopo aver percorso più di 2.25 milioni di chilometri e fatto due sorvoli della Luna, la missione Artemis I è stata il primo test di volo integrato della capsula Orion, il veicolo spaziale scelto dalla Nasa per trasportare gli astronauti nell’orbita lunare.

Al fine di raccogliere dati sulle radiazioni durante il suo viaggio, la navicella trasportava a bordo una serie di strumenti ed esperimenti utili allo scopo. L’Hybrid Electronic Radiation Assessor (Hera) della Nasa, un rilevatore di particelle cariche, e gli active dosimeters, sensori in grado di registrare un’ampia gamma di energie della radiazione ionizzante, sono tra questi strumenti. Ma non è finita. In apertura abbiamo detto che Artemis I non aveva equipaggio a bordo. In realtà questa affermazione non è del tutto corretta. La capsula Orion non aveva equipaggio umano, ma portava con se tre ospiti inanimati: il manichino Moonikin Campos, che all’interno di Orion occupava il posto del comandante, e due mezzi busti, chiamati Helga e Zohar, realizzati con materiali che imitano ossa, tessuti molli e organi di una donna adulta. Zohar indossava un giubbotto di protezione dalle radiazioni chiamato AstroRad, Helga no. Come parte dell’esperimento Mare, Matroshka AstroRad Radiation Experiment, entrambe avevano rilevatori di radiazioni sulla loro superficie esterna e all’interno degli organi “finti”: i Crew Active Dosimeters (Cad), prodotti dalla Nasa; e i rilevatori M-42, prodotti dal Dlr.

Illustrazione che mostra l’interno della capsula Orion. Crediti: Nasa

Tutti questi strumenti hanno raccolto grandi quantità di dati sui livelli di radiazioni a cui saranno sottoposti in futuro gli astronauti all’interno della capsula Orion. Di questi dati abbiamo ora i risultati delle analisi. Come riportato su Nature, le misurazioni mostrano che l’esposizione alle radiazioni all’interno della capsula Orion variavano in modo significativo a seconda della posizione del rilevatore, con le aree più schermate della navicella capaci di fornire una protezione dalle particelle energetiche delle fasce di Van Allen quattro volte maggiore rispetto a quelle meno schermate, convalidando il progetto di shielding, termine inglese che significa appunto schermatura, della navicella. Anche per quanto riguarda l’esposizione alle particelle energetiche prodotte durante eventi estremi come i brillamenti solari e le espulsioni coronali di massa ci sono buone notizie: nell’area più schermata della capsula le radiazioni sono rimaste sotto i 150 millisievert – l’unità di misura dell’equivalente di dose di radiazione assorbita da tessuti biologici –, un livello di sicurezza tale da prevenire malattie acute da radiazioni. Un altro dato riguarda l’esposizione rispetto all’orientamento della capsula: una virata di 90 gradi durante il flyby di Orion della fascia di Van Allen interna ha ridotto l’esposizione alle radiazioni del 50 per cento, fornendo informazioni preziose per la progettazione di missioni future.

Alla luce di questi risultati, la conclusione degli scienziati è che è improbabile che l’esposizione alle radiazioni nelle future missioni Artemis superi i limiti Nasa per gli astronauti, confermando l’idoneità della navicella Orion per missioni con equipaggio.

Immagine che mostra la posizione dei rilevatori di radiazioni all’interno della capsula Orion e sui due mezzi busti Helga e Zohar. Crediti: Stuart P. George et al., Nature, 2024

Il team congiunto di scienziati Esa, Nasa e Dlr continuerà ad analizzare la mole di dati prodotti dalle misurazioni delle radiazioni acquisite durante i 25 giorni di volo di Artemis I. Il prossimo passo sarà paragonare l’esposizione alle radiazioni tra i manichini Helga, che ha volato senza protezione, e Zohar, che ha indossato il giubbotto AstroRad. Confrontando i due set di dati sarà possibile determinare in che misura il giubbotto proteggerà un’astronauta dall’esposizione a radiazioni nocive.

«La missione Artemis I segna una tappa fondamentale per la comprensione dell’impatto delle radiazioni spaziali sulla sicurezza delle future missioni con equipaggio sulla Luna», sottolinea Sergi Vaquer Araujo, responsabile del team di medicina spaziale presso l’Agenzia spaziale europea. «Grazie ai rilevatori per le radiazioni posizionati in tutta la capsula Orion, stiamo acquisendo preziose conoscenze su come le radiazioni spaziali interagiscono con la schermatura della navicella, sui tipi di radiazioni che penetrano il corpo umano e su quali aree all’interno della navicella offrono la maggiore protezione. Queste conoscenze sono preziose, perché ci permetteranno di stimare con precisione l’esposizione alle radiazioni degli astronauti dell’Esa prima del loro viaggio nello spazio profondo, garantendo la loro sicurezza nelle missioni verso la Luna e oltre».

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature l’articolo “Space radiation measurements during the Artemis I lunar mission” di Stuart P. George, Ramona Gaza, Daniel Matthiä, Diego Laramore, Jussi Lehti, Thomas Campbell-Ricketts, Martin Kroupa, Nicholas Stoffle, Karel Marsalek, Bartos Przybyla, Mena Abdelmelek, Joachim Aeckerlein, Amir A. Bahadori, Janet Barzilla, Matthias Dieckmann, Michael Ecord, Ricky Egeland, Timo Eronen, Dan Fry, Bailey H. Jones, Christine E. Hellweg, Jordan Houri, Robert Hirsh, Mika Hirvonen, Scott Hovland, Hesham Hussein, A. Steve Johnson, Moritz Kasemann, Kerry Lee, Martin Leitgab, Catherine McLeod, Oren Milstein, Lawrence Pinsky,Phillip Quinn, Esa Riihonen, Markus Rohde, Sergiy Rozhdestvenskyy, Jouni Saari, Aaron Schram, Ulrich Straube, Daniel Turecek, Pasi Virtanen, Gideon Waterman, Scott Wheeler, Kathryn Whitman, Michael Wirtz, Madelyn Vandewalle, Cary Zeitlin, Edward Semones e Thomas Berger