COME PROTEGGERSI DAI NEA DI GRANDI DIMENSIONI

Ordigni nucleari per difenderci dagli asteroidi

Recenti esperimenti condotti presso i Sandia National Laboratories di Albuquerque hanno dimostrato che è possibile modificare l'orbita di eventuali asteroidi di grandi dimensioni che fossero in rotta di collisione con la Terra ricorrendo a esplosioni nucleari. Non si tratta di uno scenario da fantascienza in stile "Armageddon", ma di una tecnica in grado di deflettere l'orbita di un asteroide quel tanto che basta per evitare l'impatto

     23/09/2024

Come scriveva l’astronomo statunitense Fred Whipple nel suo libro The mystery of comets (1985), «la protezione della Terra dall’impatto di corpi cosmici non è un progetto fantascientifico di un improbabile futuro. Il costo di una simile impresa sarebbe comparabile, se non più basso, delle spese militari sostenute a livello mondiale. Potremmo scegliere di difenderci da comete e asteroidi piuttosto che difenderci da noi stessi». Sagge parole.

Rappresentazione artistica dell’emissione di materia a seguito dell’impatto della sonda Dart con l’asteroide Dimorphos. Crediti: Esa

Per la mitigazione del rischio di collisione degli asteroidi con la Terra ci sono diverse tecniche che sono state ideate, ma l’unica provata “sul campo” è stata quella dell’impattore cinetico della missione Dart della Nasa. L’impatto con un Nea (near-Earth asteroid) è l’unico evento naturale catastrofico su cui si può intervenire: altrettanto non può essere detto per eruzioni vulcaniche, terremoti o uragani, su cui non possiamo esercitare nessun controllo. Quindi, nel caso venisse scoperto un Nea con un diametro importante in rotta di collisione con il nostro pianeta, per cercare di limitare i danni si dovrà passare dalla teoria alla pratica. La Terra si muove con una velocità orbitale di circa 30 km/s e per percorrere una distanza pari al proprio diametro di 12.756 km impiega circa 12.756/30 ≈ 425 s ≈ 7 minuti: per evitare una collisione dobbiamo almeno modificare il tempo di arrivo dell’asteroide di sette minuti. Se si considera per il Nea un periodo orbitale dell’ordine dell’anno, questo equivale a una variazione dello 0,0013 per cento del suo periodo eliocentrico: un niente su scala planetaria, ma il tutto per continuare l’esistenza come specie.

Non è detto che la mitigazione del rischio comporti sempre una missione spaziale per intervenire direttamente sull’asteroide. Nel caso di un piccolo asteroide di 50-100 metri di diametro, con impatto previsto in una regione desertica o quasi disabitata, la mitigazione può semplicemente comportare l’evacuazione della popolazione residente. Le cose cambiano radicalmente se si considera l’impatto di un piccolo asteroide di 50 m di diametro su una zona densamente popolata o di importanza strategica, l’impatto di un oggetto di circa 140 m su una nazione ad alta densità di popolazione o la collisione di un asteroide di 300 m di diametro ovunque sulla Terra. In questi casi, in termini puramente economici, risulta più conveniente la mitigazione del rischio sia per mezzo della deflessione orbitale, sia – come ultima ratio – distruggendo il Nea (se sufficientemente piccolo).

L’orbita di un Nea può essere cambiata rapidamente applicando una forza in senso ortogonale al vettore velocità dell’asteroide, in moda da dargli una specie di “spallata” che gli faccia cambiare rapidamente direzione evitando di collidere con la Terra. Se il tempo di preavviso non è sufficiente o il Nea è di grosse dimensioni un impattore cinetico può non bastare, dati i limiti sulla massa che può essere inviata nello spazio. Per questo motivo i ricercatori continuano a studiare, come valida alternativa, anche la deflessione orbitale tramite esplosione nucleare, perché è il solo modo per condurre un’interazione ad alta energia, infatti questa tecnica offre la maggiore quantità di energia per unità di massa (circa 4·106 MJ/kg). In questo caso l’impulso che verrebbe trasferito al Nea sarebbe principalmente dovuto all’emissione di neutroni e raggi X, oltre che dai detriti superficiali dell’asteroide vaporizzati ed espulsi nello spazio. Infatti, non dobbiamo immaginare che la distruzione dell’asteroide sia la prima scelta: questa sarebbe solo l’ultimo, estremo e disperato tentativo per scongiurare la collisione. La tecnica da preferire è una deflessione orbitale controllata dell’asteroide, senza nessuna frammentazione.

Rappresentazione artistica dell’esplosione di un ordigno nucleare in prossimità della superficie di un asteroide di grandi dimensioni per attuarne la deflessione orbitale. Crediti: Nasa

I raggi X emessi in un’esplosione nucleare riscalderebbero molto rapidamente la superficie del Nea, vaporizzandola nello spazio e, per “effetto razzo“, questo cambierebbe la direzione di movimento dell’asteroide. Quanto è realistico questo scenario? Si potrebbe davvero deflettere un asteroide dalla sua rotta di collisione con un’esplosione nucleare controllata? Per rispondere a questa domanda, Nathan Moore e colleghi dei Sandia National Laboratories di Albuquerque (Usa), per mezzo di esperimenti di laboratorio, hanno recentemente riprodotto l’effetto di un ordigno nucleare che esploda in prossimità della superficie di un asteroide.

Non è la prima volta che vengono condotti esperimenti di questo tipo, ma è la prima volta che si è misurato l’impulso dovuto anche ai getti di materiale vaporizzato dalla superficie, dopo l’esposizione ai raggi X. Per la generazione del fascio di raggi X è stata usata la Z machine che si trova presso gli stessi Sandia National Laboratories, un’apparecchiatura progettata per testare i materiali in condizioni di temperatura e pressione estreme. Per generare i raggi X usati nell’esperimento è stato portato allo stato di plasma un gas di argon, ottenendo così raggi X da 3-4 keV emessi nella ricombinazione fra ioni ed elettroni. L’impulso di raggi X dopo pochi nanosecondi ha colpito due modelli di asteroidi costituiti da sottili dischi del diametro di 12 mm sospesi nel vuoto tramite un sottilissimo foglio metallico: un campione era costituito da quarzo, mentre l’altro era fatto di silice fusa. All’arrivo dei raggi X il primo a essere vaporizzato è il foglio metallico che sostiene il campione, che si trova improvvisamente sospeso nel vuoto e di cui si può misurare il rinculo per effetto della pressione di radiazione dei raggi X e della vaporizzazione del materiale superficiale. Anche se il target, dopo la rottura del foglio metallico che lo sostiene, inizia a cadere la durata dell’esperimento è di soli 20 μs e in questo brevissimo lasso di tempo si sposta di soli 2 nm, una quantità del tutto trascurabile.

In entrambi gli esperimenti, Moore e colleghi hanno osservato gli impulsi di raggi X riscaldare la superficie dei target, con conseguente emissione di getti di materiale vaporizzato che hanno generato una velocità di rinculo di circa 69,5 m/s e 70,3 m/s, rispettivamente. Questo esperimento rappresenta una versione in scala ridotta di uno scenario di deflessione orbitale di un asteroide utilizzando raggi X generati da un’esplosione nucleare a distanza ravvicinata, ma per vedere se è realmente utile bisogna riscalarlo alle dimensioni di un vero asteroide. Supponendo di voler cambiare la velocità di un asteroide di circa 0,04 km/h (che è il valore tipico richiesto per la difesa planetaria), facendo detonare un ordigno nucleare con un’energia di 1 Mt a una distanza dalla superficie dell’asteroide pari al raggio e applicando i valori della velocità di rinculo misurati in laboratorio, si trova che si riescono a deflettere asteroidi fino a circa 3-4 km di diametro, praticamente tutti quelli pericolosi se si considera che i Nea con più di un km di diametro sono solo mille e il loro numero è completo al 95 per cento. Con futuri esperimenti verranno studiati altri materiali, diverse strutture del bersaglio e impulsi di raggi X, poiché il getto di materiale vaporizzato dipende dalla composizione chimica dell’asteroide, ma il risultato è abbastanza chiaro: con un opportuno preavviso è possibile deflettere anche asteroidi di grandi dimensioni usando ordigni nucleari da far esplodere in prossimità dell’asteroide senza mandarlo in frantumi. Una speranza in più, non per il pianeta Terra, ma per la nostra specie.

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