CREATI IN LABORATORIO ALCUNI COMPOSTI DELLO ZOLFO RITENUTI BIOFIRME FORTI

Non è tutta vita quella che puzza

Ricreare in laboratorio ambienti analoghi alle atmosfere esoplanetarie, favorire al loro interno reazioni chimiche attivate dalla luce e ottenere molecole ritenute tra i più forti indicatori della presenza di vita extraterrestre. È quanto ha fatto un team di ricercatori dell’Università del Colorado a Boulder. Lo studio, pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, limita il ruolo di tali sostanze come biofirme

     25/09/2024

Una delle sfide più grandi nella ricerca di vita oltre la Terra è l’identificazione di caratteristiche note per essere associate in modo univoco al mondo biologico. Gli addetti ai lavori chiamano queste caratteristiche, biofirme. Siano esse firme chimiche, isotopiche, mineralogiche, strutturali o tecnologiche, sono tutte impronte osservabili che la vita produce.

Poiché la Terra è l’unico pianeta noto per ospitare la vita, la nostra conoscenza delle biofirme rilevabili deriva da questo singolo, limitato esempio. Inoltre, l’onere della prova necessario per verificare che una data caratteristica sia una biofirma è determinato non solo dalla probabilità che sia stata prodotta da un processo biologico, ma anche dall’improbabilità che sia stata prodotta da processi non biologici.

Illustrazione artistica realizzata con Adobe AI che mostra un classico strumento in uso nei laboratori di chimica, in primo piano, e un esopianeta, sullo sfondo. Crediti: Media Inaf

Una delle principali biofirme utilizzate nella ricerca esoplanetaria è rappresentata dai gas atmosferici, specie chimiche volatili prodotte dai sistemi biologici e immesse nell’atmosfera di un pianeta come prodotto di scarto. Tra queste molecole, i gas a base di zolfo sono attualmente considerati tra i più robusti indicatori della presenza di vita su un pianeta. Ne sono alcuni esempi il dimetil solfuro, il solfuro di carbonile e il disolfuro di carbonio, tutte molecole che sulla Terra sono prodotti secondari del metabolismo degli organismi viventi. Un nuovo studio condotto da un team di ricercatori guidati dall’Università del Colorado a Boulder mette ora in discussione questa idea. Nella ricerca, i cui risultati sono pubblicati su Astrophysical Journal Letters, gli scienziati sono infatti riusciti a produrre in laboratorio, senza il coinvolgimento di alcun sistema biologico, diversi gas organo-solforati, mettendo in dubbio il ruolo di tali sostanze come biomarcatori forti.

Per ottenere le sostanze in fase gassosa, i ricercatori hanno condotto esperimenti di fotochimica. L’obiettivo? Valutare cosa accade su un pianeta quando i gas reagiscono con la luce per formare la cosiddetta “foschia organica e gas associati”, una sorta di caligine composta da particelle di aerosol prodotte dalle reazioni chimiche che si verificano in atmosfera. Il protocollo sperimentale seguito è stato questo. In breve, all’interno di una camera di miscelazione, utilizzando metano, idrogeno solforato e azoto molecolare come precursori, i ricercatori hanno prodotto miscele di gas che simulavano diverse atmosfere planetarie. Successivamente, attraverso un regolatore di flusso, hanno fatto passare queste miscele in una camera di reazione dotata di una lampada al deuterio in grado di emettere luce nel lontano ultravioletto. Il picco di emissione della lampada era compreso tra 115 e 165 nm, una finestra di lunghezze d’onda della radiazione la cui energia imita la fotolisi del metano nelle atmosfere riducenti del nostro Sistema solare. Hanno quindi acceso la lampada, promuovendo l’irradiazione dei gas e l’avvio di reazioni chimiche simili a quelle che nell’atmosfera di un pianeta sono indotte dalla luce. La raccolta e l’analisi tramite gascromatografia con rivelazione di zolfo a chemiluminescenza – una metodica che permette di identificare e quantificare i composti solforati – è stata l’ultima fase dell’esperimento.

Tra i prodotti di reazione individuati dai ricercatori c’erano il metantiolo (CH3SH), l’etantiolo (C2H5SH), il solfuro di carbonio (CS2), il solfuro di carbonile (COS) e l’etil-metilsolfuro (CH3CH2SCH3). Ma soprattutto, c’era il dimetil solfuro (CH3SCH3 ), la più forte tra le più forti biofirme di vita. Prodotto dal metabolismo batterico e di alcune alghe marine, nonché responsabile dell’odore prodotto dalla cottura di alcune verdure, è il composto di origine biologica a base di zolfo più abbondante emesso nell’atmosfera terrestre. Qui su Media Inaf ne abbiamo parlato di recente, perché è anche la molecola che il telescopio spaziale James Webb ha rilevato nell’atmosfera dell’esopianeta K2-18b. Secondo i ricercatori, aver ottenuto queste molecole come prodotti di reazioni non biologiche limita il ruolo di questa molecola e di tutti i gas organosolforati come biofirme

Illustrazione che mostra il procedimento sperimentale seguito nello studio. Crediti: Nathan W. Reed et al., Apj Letters, 2024

«Le molecole solforate sono utilizzate come biofirme perché sono prodotte dalla vita sulla Terra», dice Ellie Browne, scienziata dell’Università del Colorado a Boulder e co-autrice dello studio. «Ma in questo caso le abbiamo ottenute in laboratorio in condizioni abiotiche, quindi potrebbero non essere un segno di vita, ma un segno di qualcosa di ospitale per la vita».

«Uno dei risultati dell’articolo è stato l’aver trovato il dimetil solfuro», aggiunge l’astrobiologo dell’Università del Colorado a Boulder e primo autore della pubblicazione, Nathan Reed. «Si tratta di una molecola che è stata rilevata nelle atmosfere esoplanetarie e che si pensava fosse un segno di vita sui pianeti».

I ricercatori sperano che il loro studio dia il la ad altre ricerche che esaminino le reazioni chimiche che coinvolgono lo zolfo. L’obiettivo è studiare tutte le reazioni in cui sono coinvolte per comprendere meglio il loro ruolo come biofirme.

I risultati ottenuti potrebbero avere implicazioni per la valutazione dei gas organosolforati come potenziali biofirme nelle atmosfere esoplanetarie, sottolineano a questo proposito i ricercatori. Ciò che è stato dimostrato è che diversi composti solforati e semplici tioli, specie precedentemente considerate biofirme robuste nelle atmosfere esoplanetarie, hanno possibili percorsi di produzione non biologica che coinvolgono la fotochimica planetaria. Pertanto, ogni gas organosolforato citato nell’articolo rischia di essere una biofirma falsa positiva se i percorsi abiotici proposti vengono trascurati.

Per saperne di più: