REPORTAGE DALL’OSSERVATORIO STORICO DOVE “SONO MORTI I MARZIANI”

Pic du Midi: un’oasi sospesa tra i Pirenei e il cielo

A 2.877 metri sul livello del mare, sul versante francese dei Pirenei, l'Osservatorio del Pic du Midi gode di uno dei cieli più stabili e scuri d'Europa. Luogo iconico nella storia dell'astronomia, dalle osservazioni di Marte che smentirono la celebre teoria dei “canali” all'inizio del secolo scorso fino all'invenzione della coronografia, oggi propone un interessante mix tra ricerca scientifica e astroturismo

     27/09/2024

La cupola Baillaud in costruzione all’Osservatorio del Pic du Midi, in una foto storica (colorizzata) del 1907 (cliccare per ingrandire). Crediti: C. Mignone

Inizi di settembre, centoquindici anni fa. Nella Parigi della Belle Époque, Picasso sta gettando le basi del cubismo, in Italia tuona il futurismo e oltreoceano, dove imperversa il ragtime, due esploratori si contendono il primato per il raggiungimento del polo nord. La temperatura media globale, circa un terzo di grado sotto la media del ventesimo secolo, farà del settembre 1909 uno dei più freddi dall’inizio delle misurazioni (al contrario dello scorso settembre, il più caldo mai registrato). Ma nel sud della Francia, in cima ai Pirenei, non è certo il freddo a bloccare il lavoro degli astronomi.

Benjamin Baillaud, che di lì a dieci anni diventerà il primo presidente dell’Unione astronomica internazionale (Iau), ha da poco lasciato Tolosa per assumere la direzione dell’Osservatorio di Parigi, dove tra le altre cose fonderà il Bureau International de l’Heure, organismo internazionale che si è a lungo occupato di coordinare il tempo misurato in giro per il mondo. Ma è presso la sua sede precedente che ha messo in moto la trasformazione forse più memorabile della sua illustre carriera. Convinto che la succursale dell’Osservatorio di Tolosa, un piccolo avamposto scientifico a 2.877 metri sul livello del mare, sia destinata a scrivere la storia dell’astrofisica, vi ha fatto costruire una cupola dal diametro di otto metri per ospitare un telescopio rifrattore da mezzo metro – una dimensione di tutto rispetto per l’epoca.

Oggi, all’Osservatorio del Pic du Midi si arriva comodamente in teleferica tutti i giorni dell’anno (salvo meteo avverso) dalla stazione sciistica di La Mongie, a 1.785 metri di altitudine. Dopo due segmenti – un solo cavo non bastava a coprire il dislivello di oltre mille metri – e quindici minuti mozzafiato tra nuvole e precipizi, si approda in uno scenario da film di Wes Anderson: un gigantesco edificio arroccato sul massiccio con cui in parte si mimetizza, pullulante di cupole immacolate e sormontato da un’antenna radiotelevisiva alta 102 metri. Con i picchi circostanti che a mala pena sfiorano i 2.500 metri, il panorama è da capogiro.

Panorama all’Osservatorio del Pic du Midi (cliccare per ingrandire). Crediti: C. Mignone

Una cupola visionaria

Oltre al massiccio, quasi nulla di tutto ciò esisteva ai primordi del Novecento, quando la vetta si poteva raggiungere solo a piedi. Il piccolo osservatorio, inaugurato nell’agosto del 1882 e privo di strumentazione permanente, aveva già conosciuto una tragedia – l’unica nella storia astronomica del Pic du Midi – nel novembre dello stesso anno quando, in occasione del transito di Venere davanti al Sole, tre dei facchini incaricati di trasportare telescopi e strumenti persero la vita in una valanga. È anche per questo che Baillaud, conoscendo bene il sito, la trasparenza del cielo brulicante di stelle e il suo potenziale scientifico a causa delle regolari ispezioni che effettuava ogni estate, vi inizia a costruire nel 1904 un osservatorio stabile per ospitare un telescopio all’avanguardia e una residenza per dare alloggio agli astronomi di turno.

Facchini montano i pezzi della cupola Baillaud all’Osservatorio del Pic du Midi, in una foto storica (colorizzata) del 1906 (cliccare per ingrandire). Crediti: C. Mignone

La cupola, che oggi porta il nome del suo ideatore, prende forma a Tolosa, nei giardini dell’Osservatorio di Jolimont, tra il 1904 e il 1905. Smontata e imballata, nel 1906 è pronta per il trasporto in quota, approfittando dell’estate. Si viaggia prima in treno, centocinquanta chilometri fino a Bagnères-de-Bigorre, poi a bordo di vettura fino alla località montana di Gripp, e poi ancora a dorso di mulo. Anche il telescopio, realizzato a Parigi e imballato in ventidue casse da centinaia di chili ciascuna, è arrivato ai piedi della montagna: fino al passo di Tourmalet, 2.115 metri di altitudine, ci pensano i buoi, poi tocca a una dozzina di soldati del reggimento locale. Questi riescono a spingersi fino al passo di Sencours, 2.378 metri sul livello del mare, dove incontrano le prime nevicate. Per l’ultimo tratto, se ne parla l’anno successivo.

L’estate del 1907 è sorprendentemente breve e tardiva: a fine agosto la neve al Pic du Midi è ancora copiosa, e così la costruzione della cupola si protrae fino a settembre. Ci vorrà un’altra estate – la sommità del monte è raggiungibile solo tra luglio e ottobre – per assemblare il telescopio, completare l’osservatorio e dare finalmente inizio alle operazioni, nel 1909.

Là dove “sono morti i marziani”

Il planetario nella storica cupola Baillaud. Crediti: Pic du Midi

Dopo una lunga e gloriosa carriera, che vanta scoperte importanti nello studio del Sole e del Sistema solare, le attività osservative nella cupola Baillaud terminano alla fine degli anni Novanta, lasciando spazio a un nuovo e più potente telescopio costruito al Pic du Midi negli anni Settanta. Oggi, nell’assetto attuale dell’osservatorio, dedicato sia alla ricerca scientifica che all’astroturismo, la storica cupola ospita un planetario, il più alto d’Europa. Ma non è il solo primato. Il planetario del Pic du Midi è l’unico in cui il planetarista può accogliere il pubblico dicendo che «sotto questa cupola, sono morti i marziani». E non sta mentendo.

Se “i marziani sono morti” sotto la cupola Baillaud, il motivo è da ricercarsi in quel freddo settembre del 1909. Dopo le osservazioni iniziali di Jules e René Baillaud, figli di Benjamin e anch’essi astronomi, che avevano completato la costruzione iniziata dal padre, i primi a condurre una vera e propria campagna osservativa nella nuova cupola sono Aymar de la Baume Pluvinel e il suo assistente, Fernand Baldet. Raggiungono la vetta a piedi, aggregandosi alla carovana che trasporta i rifornimenti all’osservatorio. Il loro obiettivo: sfruttare la posizione strategica del Pic du Midi per fotografare Marte.

L’osservatorio deve la sua fortuna alla geologia del monte su cui si erge: il materiale che lo compone, formato da un misto di rocce calcaree, silicati e scisto (una roccia metamorfica che tende a sfaldarsi in lastre sottili), ha attraversato una serie di trasformazioni che ne hanno rafforzato la struttura, rendendolo più resistente all’erosione rispetto a quello delle vette circostanti. Oltre a incorniciare il Pic du Midi in un panorama incantevole, queste caratteristiche geologiche ne fanno un luogo ideale per la ricerca astronomica, grazie alla stabilità e alla qualità eccezionale dell’atmosfera. L’osservatorio sovrasta le nuvole, ed è la prima montagna che il vento incontra quando soffia da nord o nord-est: certo, non manca il maltempo, ma quando il cielo ritorna sereno, resta sereno a lungo.

La cupola Baillaud all’Osservatorio del Pic du Midi, in una foto d’epoca. Crediti: Bibliothèque de l’Observatoire de Paris

In questo confidano de la Baume Pluvinel e Baldet mentre avanzano verso l’osservatorio, e questo il Pic du Midi concederà loro. Nel suo moto di rivoluzione, Marte impiega circa due anni terrestri a completare un giro intorno al Sole. Se impiegasse esattamente due dei nostri anni, il Pianeta rosso e la Terra si troverebbero allineati dallo stesso lato del Sole – una configurazione chiamata “opposizione” – a intervalli regolari. Ma un’orbita di Marte dura 687 giorni terrestri, circa 23 mesi, quindi l’opposizione, che poi è il momento migliore per osservarlo perché siamo massimamente a favore della luce che riflette, ricorre circa ogni due anni. Mese più, mese meno. E, per giunta, quando i due pianeti si trovano in punti diversi delle loro orbite.

Questo sfasamento dà origine a un ciclo di circa quindici anni, dopo il quale l’opposizione di Marte si verifica quando il pianeta è anche alla distanza minima dalla Terra. Si chiama grande opposizione ed è il non plus ultra per ammirare – e studiare – il pianeta. L’ultima grande opposizione di Marte risale al 2018, la prossima sarà nel 2033, e lo era pure quella del settembre 1909. Un’occasione quasi unica per verificare la natura dei famosi canali scoperti nel 1877 dall’astronomo italiano Giovanni Virginio Schiaparelli, che li aveva chiamati con nomi di fiumi terrestri, resi celebri dalla sua controparte statunitense, Percival Lowell, in una traduzione fallace – canals, di origine artificiale, anziché channels, naturali – che aveva suscitato, a fine Ottocento, il mito dei marziani.

Durante l’opposizione precedente, nel 1907, Lowell aveva osservato Marte da una stazione astronomica dell’Osservatorio di Harvard in Perù, ottenendo quattordicimila “scatti” del Pianeta rosso, in alcuni dei quali sosteneva di riconoscere strutture lineari simili a canali artificiali. Così convinto doveva essere che questi “canali” li aveva ricalcati sulle fotografie, compromettendo però l’integrità dei dati.

Tre immagini di Marte realizzate dall’Osservatorio del Pic du Midi il 27 settembre 1909. Fonte: A. Dollfus, “The first Pic du Midi photographs of Mars”, Journal of the British Astronomical Association (2010)

Dalla loro postazione in cima ai Pirenei, nella cupola voluta da Baillaud a un passo dal cielo, de la Baume Pluvinel e Baldet osservano il Pianeta rosso per diverse settimane, fino al 20 ottobre 1909, sfruttando al massimo le condizioni eccezionali del Pic du Midi. Il risultato sono 80 lastre fotografiche, per un totale di 1.350 immagini di Marte. Le foto, ottenute esponendo la lastra per un quarto d’ora a intervalli di circa un’ora l’una dall’altra, catturano tutte le fasi della rotazione del pianeta, immortalandone così l’intera superficie.

«I canali principali sono visibili nelle nostre fotografie; citiamo ad esempio l’Indo, il Gange, l’Arax, il Ciclope, l’Eufrate, ecc.» scrivono i due astronomi francesi nei resoconti settimanali dell’Académie des sciences, in un volume pubblicato a novembre dello stesso anno. «Per quanto riguarda la rete di sottili canali, dalle forme geometriche che alcuni osservatori hanno visto nell’emisfero settentrionale e la cui esistenza è ancora dibattuta, non riusciamo a trovarne traccia sulle nostre foto». Una frase laconica, rigorosa, ineccepibile. Una manciata di parole che seppelliscono per sempre l’utopia di un’avveniristica civiltà marziana all’avanguardia dell’ingegneria idraulica interplanetaria.

Eclissi a volontà

Decretata – insieme ad analoghe osservazioni provenienti dai grandi osservatori degli Stati Uniti – la fine dei marziani, il nuovo telescopio rimane praticamente inutilizzato per circa vent’anni. Malgrado la qualità eccellente dei dati, l’isolamento del Pic du Midi e le dure condizioni che il sito impone dissuadono gli astronomi fino agli anni Trenta. Sarà Bernard Lyot, astronomo parigino dall’indole sportiva, alpinista e sciatore provetto, a riportare in auge la ricerca sotto la cupola Baillaud.

Bernard Lyot sotto la cupola Baillaud, in una foto del 1937. Crediti: C. Mignone

Laurea in ingegneria all’École Superieure d’Électricité e dottorato alla Sorbona sulla luce polarizzata dei pianeti, che misura con un polarimetro di sua invenzione per stimarne la composizione chimica, Lyot lavora all’Osservatorio di Meudon, vicino Parigi. Qui, si occupa di un problema che affligge l’astronomia da mezzo secolo: studiare la corona solare, la parte più esterna dell’atmosfera del Sole, osservabile solo durante un’eclissi totale. Dopo una visita al Pic du Midi nell’estate del 1929, su consiglio del collega Baldet, resta sbalordito dal cielo incontaminato che si gode dall’osservatorio e vi fa ritorno, un anno dopo, carico di strumenti.

Tra il 1930 e il 1934, in quell’angolo remoto dei Pirenei, Lyot getta le basi della coronografia. Quello che ha costruito è un telescopio in cui la luce incidente viene parzialmente ostruita da un ostacolo, un piccolo cono: osservando il Sole, il cono blocca la luce proveniente dal disco, generando un’eclissi artificiale. Con il coronografo, Lyot riesce a osservare le protuberanze, la corona e altri fenomeni solari altrimenti invisibili senza dover aspettare che la meccanica celeste regali un’eclissi totale a una piccola striscia di terra, magari pure lontana e difficile da raggiungere.

Anche questa volta, la stabilità atmosferica del Pic du Midi contribuisce al successo dell’esperimento, insieme alla maestria dell’astronomo francese, che minimizza la diffusione dello strumento. Il suo coronografo resterà in funzione presso l’osservatorio per quarant’anni. Con il supporto del cineasta Joseph Leclerc, Lyot realizza un film che riprende per la prima volta la natura dinamica della nostra stella, lasciando a bocca aperta l’assemblea generale della Iau, riunita a Stoccolma nel 1938. E così l’osservatorio, la cui storia era iniziata proprio con un’eclissi di Sole, quella del 18 luglio 1860, catturata dal pioniere della fotografia inglese Farnham Maxwell-Lyte in una serie di istantanee storiche sul passo di Sencours, si lega ancora una volta alle eclissi. Creandone un’infinità.

Il coronografo di Bernard Lyot, esposto oggi nello spazio museale del Pic du Midi. Sullo sfondo, a sinistra, una foto dell’astronomo mentre trasporta lo strumento sulle spalle, sci ai piedi, salendo verso l’osservatorio. Crediti: C. Mignone

Premiato con la medaglia d’oro della Royal Astronomical Society, nel 1939 Lyot diventa il più giovane membro dell’Académie des Sciences, a soli quarantadue anni. Nello stesso anno, l’Europa cade nel baratro della seconda guerra mondiale. Con l’armistizio del 1940, la Francia è divisa in due: Parigi e il nord sotto l’occupazione della Germania nazista, il sud sotto il Governo di Vichy. La meccanica celeste, però, continua imperturbata il suo corso. È l’estate del 1941, a ottobre Marte sarà nuovamente in opposizione, così Lyot si procura un lasciapassare per recarsi al Pic du Midi, nella Zone libre, e osservare insieme a Marcel Gentili, amico di vecchia data, con cui si diletta a osservare il cielo sin dai tempi dell’École Superieure, e Henri Camichel.

Immagine di Marte realizzata dall’Osservatorio del Pic du Midi nel 1941. Crediti: Bibliothèque de l’Observatoire de Paris

In quei mesi, ai margini di un’Europa dilaniata dal conflitto, i tre astronomi danno inizio a quello che diventerà un trentennale programma di osservazione planetaria, superato solo con l’avvento dell’era spaziale. Jules Baillaud, che intanto era diventato direttore dell’osservatorio, sta cercando di potenziare il vecchio telescopio da mezzo metro voluto dal padre a inizio secolo. In mancanza di uno strumento migliore e con l’imminente opposizione di Marte, prende in prestito l’obiettivo da 38 centimetri dell’Osservatorio di Tolosa, con cui Camichel, Gentili e Lyot realizzano immagini del Pianeta rosso tra le migliori prodotte fino ad allora.

Lyot capisce che le condizioni meteorologiche del Pic du Midi permettono di sperimentare con le osservazioni, spingendo al massimo il livello di ingrandimento del telescopio, per fotografare i corpi del Sistema solare ad alta risoluzione, e decide di costruire un nuovo strumento. Per sistemare nella cupola un obiettivo da 60 centimetri dell’Osservatorio di Parigi, si trova a dover piegare il fascio di luce con due specchi, utilizzando il sistema del “rifrattore piegato”, o rifratto-riflettore, ideato anni prima dall’astronomo svizzero Emil Schaer ma mai applicato su grande scala. Alcuni pezzi vengono ordinati da Vichy, e la consegna avviene tra enormi difficoltà – è l’autunno del 1942 e anche la zona meridionale della Francia è ormai occupata dai Nazisti. Gentili, che è di origine ebraica, rischia la deportazione e resterà nascosto in osservatorio fino al termine del conflitto.

Inaugurato nel 1943 nella cupola Baillaud, il nuovo telescopio resta in funzione fino alla fine degli anni Sessanta, sfornando immagini dettagliatissime di Mercurio, Venere e Marte, di Giove e le sue lune, di Saturno e i suoi anelli. Neanche la superficie della Luna gli sfugge, attirando negli anni Sessanta addirittura l’attenzione della neonata Nasa, che qui finanzierà un programma di mappatura del nostro satellite naturale in vista delle missioni Apollo.

Lo storico telescopio da 60 cm, in mostra all’Osservatorio del Pic du Midi. Crediti: C. Mignone

Finita la guerra, il Pic du Midi cresce e si adegua ai tempi. In segno di gratitudine, nel 1946 Gentili dona all’osservatorio una cupola e il suo telescopio personale da 60 centimetri, che continuerà a essere usato professionalmente fino agli anni Ottanta (passato alla gestione dell’Association Télescope T60, che riserva il tempo alle osservazioni degli astrofili, a fine 2021 lo storico telescopio di Gentili è andato in pensione, sostituito da un modello più moderno; oggi fa bella mostra di sé nel percorso museale, sulla terrazza dell’osservatorio). Finalmente nel 1947 arriva in vetta una funivia dedicata esclusivamente al trasporto delle attrezzature e, nel 1952, l’attesissima teleferica, fortemente voluta da Jules Baillaud già prima del secondo conflitto mondiale. L’isolamento è terminato.

Con il telescopio da un metro cofinanziato dalla Nasa nel 1964, ospitato nella cupola Gentili, il Manchester Lunar Programme ottiene oltre sessantamila immagini ad altissima risoluzione. Insieme a quelle raccolte al di là dell’Atlantico dagli osservatori di Mount Wilson, Lick, McDonald e Yerkes, vanno a formare un atlante cartografico lunare a cura dell’astrofisico olandese Gerard Kuiper, propedeutico al primo allunaggio. Pochi mesi dopo lo storico “piccolo grande passo” di Neil Armstrong, dal Pic du Midi, un gruppo di astronomi e astronome francesi ricevono un segnale laser partito dal nostro pianeta e riflesso da uno degli specchi lasciati dagli astronauti sulla superficie lunare, partecipando al primo esperimento di misura della distanza Terra-Luna.

Panorama di questo e di altri mondi

Il Bernard Lyot Telescope. Crediti: C. Mignone

L’ultima aggiunta, inaugurata nel 1980, è un telescopio da due metri, il più grande sul territorio francese. Si erge all’estremità nord-ovest dell’osservatorio, all’interno di una torre alta ventotto metri. Più in alto, c’è solo l’antenna. Con la sua forma a calotta che ricorda vagamente quella di Stuart, il minion da un occhio solo della celebre serie animata, se ne sta lì, altero, a scrutare il cielo. Non me ne voglia il buon Bernard Lyot, a cui il telescopio è dedicato – del resto, si occupa di polarimetria stellare, il nome gli calza a pennello. Però è una forma insolita, questa con l’apertura circolare all’interno della cupola. Ce l’hanno pochi altri telescopi (uno, per esempio, è l’Hobby–Eberly in Texas) ma è stata proposta per il controverso Thirty Meter Telescope sulla cima di Mauna Kea, alle Hawai‘i. Qui, al Pic du Midi, l’hanno scelta per evitare scambi termici tra l’aria esterna e l’aria interna alla cupola.

A partire dagli anni Ottanta, però, l’astronomia francese inizia a rivolgere le sue politiche verso le grandi collaborazioni internazionali. Gestire lo storico osservatorio sulla terrazza dei Pirenei, il primo osservatorio astronomico d’alta quota, è diventato troppo costoso, e a fine millennio incombe lo spettro della chiusura. Così, nel 2000, si cambia strategia, aprendo le porte all’astroturismo e sfruttando la risorsa più grande di questo straordinario sito: il cielo.

Grazie a un massiccio investimento di trentanove milioni di euro, la nuova gestione del sito ha preservato il Pic du Midi, il più antico osservatorio di montagna ancora in funzione, e la sua storia, fatta di scienziati, ingegneri, operai, facchini e visionari. Oggi, il Bernard Lyot Telescope è l’unico telescopio usato da astronomi professionisti: tutti gli altri – compreso il nuovo coronografo del 2009 – sono gestiti da volontari. La residenza è stata adattata per accogliere, oltre ad astronomi e astrofili, anche studenti universitari, scuole e turisti.

L’autrice, abbagliata da un raggio di sole davanti alla cupola che oggi ospita il coronografo, a una piacevolissima temperatura di 2,6°C a fine giugno. Crediti: C. Mignone

L’impegno a conservare l’altissima qualità del cielo si consolida nel 2013, con il bollino di Dark Sky Reserve rilasciato dalla International Dark Sky Association. È il primo sito in Francia e il secondo più grande al mondo a ottenere l’ambito riconoscimento, che comporta un impegno costante contro l’inquinamento luminoso nella regione. Dicono che la fonte di luce che più disturba sia Barcellona, circa trecento chilometri più giù, sul versante sud-est. Per chi volesse controllare di persona, è possibile prenotare una notte al cospetto del cosmo, sotto il leggendario manto di stelle. A partire dal 2026. Perché fino a fine 2025 è tutto esaurito.

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