Il 6 dicembre del 2020 la sonda spaziale Hayabusa 2 della Jaxa ha riportato sulla Terra circa 5 grammi dell’asteroide Ryugu. Da allora i preziosi frammenti dell’oggetto celeste – considerato dagli addetti ai lavori una capsula del tempo contenente informazioni sui primi istanti di vita del Sistema solare – sono stati sottoposti a numerose indagini. Dopo il recupero del materiale dal sample catcher (compartimento porta campioni) presso l’Extraterrestrial Sample Curation Center della Jaxa, minuscoli granelli neri sono stati consegnati in diversi laboratori di ricerca sparsi in tutto il mondo, compreso un laboratorio Inaf a Roma, dove sono stati analizzati per determinarne la struttura, la composizione chimica, isotopica e mineralogica e rispondere così a una delle domande che da tempo gli scienziati si pongono: dov’è nato Ryugu?
I primi studi condotti sull’asteroide, i cui risultati sono stati pubblicati su prestigiose rivista scientifiche come Nature e Science, hanno svelato molti dettagli. Alcuni studi hanno rilevato al suo interno la presenza di acqua liquida intrappolata in cristalli esagonali di solfuro di ferro. Non acqua “liscia”, però, ma acqua “addizionata” di molecole di anidride carbonica (CO2). Altri studi hanno scoperto la presenza di abbondante materia organica sia sottoforma di grani di dimensioni sub-micrometriche che come materia dispersa nella matrice rocciosa, così come la presenza di gas nobili (presenti in quantità mai osservate in nessun altro asteroide finora studiato), di idrocarburi, di amminoacidi, di uracile e di niacina (un vitamero della vitamina B3), queste ultime molecole fondamentali per la vita come la conosciamo. Altri ancora hanno scoperto che Ryugu è fatto di una pasta simile a quella di cui sono fatte le condriti carbonacee di tipo Ivuna – meteroriti che si ritiene abbiano la composizione chimica più vicina alla nebulosa da cui si è formato il Sistema solare.
Buona parte di questi risultati sembrano suggerire una cosa sola, circa l’origine di Ryugu: che i 450 milioni di tonnellate di roccia di cui è fatto si siano assemblati nel Sistema solare esterno. Il motivo per cui si ritiene ciò e dovuto alla differente composizione isotopica rispetto a un altro gruppo di condriti, le condriti carbonacee (Cc). Poiché queste condriti si ipotizza si siano formate in un serbatoio situato tra le orbite di Marte e Giove, per spiegare le differenti firme isotopiche delle condriti Ryugu e di tipo Ivuna è stata suggerita una loro origine a una distanza dal Sole maggiore rispetto alle prime, molto probabilmente all’interno di una regione compresa tra Urano e Nettuno.
Un nuovo studio condotto da un team di scienziati del Max Planck Institute (Germania) dipinge ora un quadro diverso. I risultati della ricerca, pubblicati la settimana scorsa su Science Advances, suggeriscono infatti che, come le condriti Cc, Ryugu possa essere nato tra le orbite di Marte e Giove.
Per giungere a questa conclusione, i ricercatori hanno prima analizzato la composizione isotopica (un isotopo è una variante dello stesso elemento che differisce solo per il numero di neutroni nel nucleo) del nichel in quattro campioni di Ryugu (A0106 e A0107, provenienti dal primo sito di touchdown, e C0107 e C0108, provenienti dal secondo sito). Successivamente, hanno confrontato i rapporti di abbondanza di questi isotopi con quelli di sei condriti carbonacee note (le condriti di tipo Ivuna Orgueil e Alais, la condrite di di tipo Mighei Murchison , la condrite di tipo Vigarano Allende e le condriti Tarda e Tagish Lake), ottenendo risultati diversi a seconda del gruppo in esame. Più in dettaglio, le due condriti Tagish Lake e Tarda presentavano firme isotopiche del nichel simili a quelle della maggior parte delle altre condriti Cc. Al contrario, tutte le condriti ‘CI’ e tutti e quattro i campioni Ryugu avevano firme isotopiche diverse, mostrando, similmente a quanto precedentemente riportato per le firme isotopiche del ferro, quantità maggiori di varianti di nichel. Ma qual è il significato di questi risultati? Per capirlo dobbiamo aggiungere ancora un tassello.
Secondo gli scienziati le differenze tra le condriti di tipo Ivuna e altri gruppi di condriti carbonacee sono dovute a diversi rapporti di miscelazione di tre strutture rocciose con composizioni isotopiche distinte: le inclusioni refrattarie e gli aggregati di olivina ameboide, i condruli e la matrice.
Per valutare se questo modello può spiegare anche le variazioni osservate per il nichel, i ricercatori hanno calcolato le variazioni isotopiche dell’elemento prodotte dalla miscelazione di inclusioni refrattarie, condruli e matrice. La miscelazione di condruli e matrice ha riprodotto le variazioni isotopiche di cromo e titanio. Tuttavia, nessuna miscela delle tre strutture ha riprodotto le variazioni isotopiche del nichel osservate tra le condriti Cc. Le cose sono cambiate quando i ricercatori hanno incluso nel modello un quarto componente: minuscoli granuli di ferro-nichel. In questo caso, variazioni del 5 per cento in massa di grani di FeNi tra condriti carbonacee sono state sufficienti a produrre le variazioni osservate degli isotopi di nichel.
La domanda a questo punto è: quale processo può aver causato l’arricchimento dei grani di ferro e nichel e le peculiari composizioni isotopiche delle condriti di tipo Ivuna/Ryugu durante la formazione del Sistema solare? Secondo i ricercatori, il processo in questione potrebbe essere la foto-evaporazione del gas nel disco protoplanetario del Sole, uno scenario, e qui arriviamo al dunque, che implica che questi corpi non abbiano avuto origine nel Sistema solare esterno, ma tra le orbite di Marte e Giove.
Alla luce di queste ipotesi, il modello proposto dagli scienziati è il seguente. Le prime condriti carboniose iniziarono a formarsi circa due milioni di anni dopo la formazione del Sistema solare nel disco proto-planetario del Sole, spiegano i ricercatori. Da lì, la polvere e i primi grumi si fecero strada verso il Sistema solare interno. A un certo punto, lungo il loro cammino questi semi hanno incontrato Giove. Lì, fuori dalla sua orbita, i grumi più pesanti e grandi si accumularono, trasformandosi in condriti carbonacee con le loro numerose inclusioni. L’accrescimento continuò per circa due milioni di anni, fino a quando un altro processo prese il sopravvento: sotto l’influenza del Sole, il gas di cui le condriti carbonacee erano costituite evaporò gradualmente fuori dall’orbita di Giove, ciò causò l’accumulo di polveri e granuli di ferro e nichel, portando alla nascita delle condriti di tipo Ivuna e Ryugu.
Se questa ipotesi è corretta, le condriti di tipo Ivuna non appaiono più come parenti lontani e in qualche modo esotici delle altre condriti carbonacee formatesi nel Sistema solare, concludono i ricercatori. Piuttosto appaiono fratelli che potrebbero essersi formati nella stessa regione, ma in fasi successive e attraverso un processo diverso.
«I risultati di questo studio ci hanno sorpreso molto», dice Christoph Burkhard, scienziato del Max Planck Institute e co-autore dello studio. «Abbiamo dovuto ripensare completamente non solo all’origine di Ryugu, ma anche a quella dell’intero gruppo di condriti di tipo Ivuna».
Per saperne di più:
- Leggi su Science Advances l’articolo “The Ni isotopic composition of Ryugu reveals a common accretion region for carbonaceous chondrites” di Fridolin Spitzer, Thorsten Kleine, Christoph Burkhardt et al.