Come ogni anno all’inizio di ottobre la comunità scientifica ha assistito trepidante all’annuncio dei vincitori dei premi Nobel, il riconoscimento più prestigioso per ricercatori e ricercatrici di tutto il mondo. Nelle settimane precedenti si erano susseguite le ipotesi non solo su chi potessero essere i vincitori, ma quali scoperte e quali area della fisica, della chimica e della ricerca medica venissero premiate dall’Accademia delle scienze di Svezia. Come ogni anno le previsioni sono state smentite e, un po’ a sorpresa, i premi per la fisica e la chimica che normalmente seguono percorsi indipendenti hanno avuto un unico protagonista comune: l’intelligenza artificiale.
Il Nobel per la fisica 2024 è stato consegnato a John J. Hopfield e Geoffrey E. Hinton, che negli anni ‘80 hanno sviluppato alcuni strumenti matematici che sono alla base dei moderni algoritmi di intelligenza artificiale. Il Nobel per la chimica è stato invece assegnato a tre scienziati – David Baker, Demis Hassabis e John Jumper – per i loro contributi agli studi della struttura delle proteine. In particolare, Hassabis e Jumper hanno sviluppato un algoritmo basato sull’intelligenza artificiale che consente di ricostruire la struttura di una proteina a partire dagli amminoacidi che la compongono.
La ricerca sui fondamenti dell’intelligenza artificiale è per sua natura interdisciplinare, con rimandi sia alla matematica a all’informatica, che alla biologia e alla fisica. Nell’insignire John J. Hopfield e Geoffrey E. Hinton del premio Nobel per la fisica il comitato ha voluto sottolineare la somiglianza tra il loro lavoro teorico nel simulare l’apprendimento automatico e alcuni sistemi fisici complessi, come per esempio i materiali magnetici. Anche se alcuni di questi algoritmi sono stati ormai sorpassati, il campo dell’intelligenza artificiale continua a ispirarsi a quello della fisica teorica. Per esempio, il recente algoritmo Stable Diffusion, utilizzato per generare immagini realistiche, si basa sulla stessa matematica che descrive il processo di diffusione in termodinamica. Queste somiglianze si estendono oltre il piano matematico: sia in fisica che nello studio dell’intelligenza artificiale i ricercatori descrivono fenomeni complessi a partire da modelli semplificati sfruttando eleganti basi matematiche.
Gli algoritmi sviluppati da pionieri come Geoffrey E. Hinton hanno dato lo slancio al moderno boom dell’apprendimento automatico. L’intelligenza artificiale, infatti, oramai ci circonda e contribuisce non solo a migliorare le raccomandazioni sul prossimo film da guardare, ma anche a predire eventi climatici estremi o migliorare la diagnostica medica. Non è dunque un’esagerazione sostenere che il Nobel per la fisica di quest’anno onora chi ha posto le basi teoriche di una delle scoperte che più hanno rivoluzionato la nostra vita quotidiana.
In ambito scientifico, l’applicazione finora più spettacolare dell’intelligenza artificiale è la predizione della struttura tridimensionale delle proteine, che quest’anno è stata consacrata con il Nobel per la chimica a Hassabis e Jumper. Le proteine sono le molecole alla base della vita e sono formate da unità semplici: gli amminoacidi. Esistono solo venti amminoacidi in natura, ma questi mattoncini della vita possono essere combinati in un numero pressoché infinito di proteine con forme diverse. La forme delle proteine ne determina la funzione, e quindi l’importanza biologica. Per più di cinquant’anni è stato però molto difficile predire su basi teoriche la struttura tridimensionale delle proteine a partire dalla loro sequenza di amminoacidi. La soluzione a questo problema ha richiesto uno sforzo da parte di tutta la comunità scientifica. Ogni due anni, a partire dal 1994, i chimici hanno pubblicato una lista di proteine la cui struttura, determinata tramite esperimenti di laboratorio, viene mantenuta segreta a tutti, inclusi gli organizzatori della sfida. Più di cento gruppi si sfidano cercando di predire su base teorica nella maniera più precisa possibile la struttura corretta. I ricercatori del Google Lab Deep Mind, combinando conoscenze di biologia, neuroscienze e informatica, vinsero la sfida nel 2018 e nel 2020 con il programma AlphaFold, raggiungendo una precisione molto più alta che in precedenza e paragonabile a quella ottenuta in laboratorio.
Da questo risultato possiamo fare alcune riflessioni. La soluzione al problema scientifico è stata raggiunta fornendo a una vasta comunità gli strumenti per contribuire a risolverlo. Per far questo è stato definito un unico campione di dati pubblico su cui lavorare e un metodo unico per verificare i risultati. Questo approccio ha consentito anche a gruppi esterni al mondo della chimica e della biologia, come i ricercatori di Google, di contribuire trovando soluzioni innovative.
Anche nell’ambito dell’astrofisica, l’intelligenza artificiale sta cambiando il modo di fare ricerca. La marea di dati prodotti dai grandi telescopi, che aumenterà esponenzialmente nel vicino futuro, richiede l’utilizzo di algoritmi di intelligenza artificiale per essere analizzata in maniera rapida ed efficace. L’intelligenza artificiale ci aiuterà a stimare più accuratamente i parametri cosmologici, a trovare oggetti rarissimi in cielo, o a caratterizzare l’atmosfera dei pianeti extrasolari. La complessità dei dati rende inoltre difficile per i ricercatori trovare le relazioni fondamentali, aprendo quindi la possibilità che l’intelligenza artificiale trovi nuova fisica, che vada oltre le ipotesi attualmente formulate dai ricercatori. Dobbiamo ammettere, però, che l’astrofisica è ancora agli albori di questa rivoluzione. L’astrofisica non ha ancora avuto il suo “momento AlphaFold” ed è difficile speculare in che modo esso potrebbe avvenire in futuro.
Sia il premio Nobel per la fisica che quello per la chimica premiano, oltre che l’intelligenza artificiale, anche la capacità – molto umana – di collegare discipline sostanzialmente diverse. Nel primo caso si usa la fisica per capire il funzionamento del cervello e per sviluppare nuovi algoritmi, nel secondo si usa l’informatica e le conoscenze di chimica per risolvere problemi di base della biologia. Forse la lezione più importante per la comunità astronomica è che, per sfruttare appieno le potenzialità di queste nuove tecnologie, sarà necessario rendere i dati raccolti da grandi telescopi a terra e nello spazio ancora più facilmente accessibili e lavorare in sinergia con esperti di altre discipline per risolvere insieme i grandi misteri dell’universo.