CON UN COMMENTO DI CRISTIANA SPINGOLA DI “INAF GREEN”

Osservatori astronomici per una transizione verde

In che modo i sistemi energetici per gli osservatori astronomici possono diventare rinnovabili e inclusivi? Risponde a questa domanda uno studio, pubblicato su Nature Sustainability e guidato dall'Università di Oslo, che suggerisce un modello virtuoso di comunità energetica e contribuisce ad aprire la strada a uno sviluppo win-win dei nuovi progetti di infrastrutture astronomiche 

     28/10/2024

Le infrastrutture astronomiche di nuova generazione spingono il loro sguardo al cielo con sempre maggiore dettaglio, alla ricerca di risposte ai misteri ancora irrisolti del cosmo. Affinché le osservazioni del cielo possano essere disturbate il meno possibile dalle luci e dalla turbolenza atmosferica, è necessario costruire i telescopi nelle zone più remote e buie del pianeta. È possibile farlo con un occhio di riguardo verso l’ambiente, e ancora meglio, contribuendo al fabbisogno energetico del territorio e delle comunità locali? In che modo i sistemi energetici per gli osservatori astronomici possono diventare rinnovabili e inclusivi? A rispondere a queste domande è uno studio pubblicato l’11 ottobre su Nature Sustainability, che suggerisce un modello virtuoso di comunità energetica e contribuisce ad aprire la strada a uno sviluppo win-win dei nuovi progetti di infrastrutture astronomiche.

L’impianto solare di Chañares nel deserto cileno di Atacama, in Cile. Crediti: Enel Green Power

Guidato dall’università di Oslo, lo studio dimostra che l’integrazione di fonti di energia rinnovabile nella realizzazione del telescopio AtLast (Atacama Large Aperture Submillimeter Telescope) – nel deserto di Atacama, in Cile – permetterebbe non solo alla comunità astronomica dell’altopiano di Chajnantor di usufruire di sistemi energetici più sostenibili, ma coprirebbe il 66 per cento del fabbisogno energetico della comunità vicina di San Pedro de Atacama. Questo tipo di soluzione energetica ridurrebbe la dipendenza locale dai combustibili fossili e fornirebbe energia rinnovabile, favorendo quindi il processo di transizione energetica verso fonti sostenibili.

L’altopiano di Chajnantor nel deserto di Atacama – con altitudini comprese tra i 3500 e i 5200 metri – è un punto di riferimento astronomico a livello mondiale, sede di osservatori come l’Atacama Pathfinder Experiment (Apex) e l’Atacama Large Millimeter/Submillimeter Array (Alma). A causa dell’isolamento di questa zona, le strutture astronomiche sono spesso scollegate dalla rete elettrica nazionale e si affidano a generatori diesel e a gas per alimentare le proprie attività. Queste includono il raffreddamento criogenico degli strumenti, i movimenti della struttura del telescopio durante il puntamento e l’inseguimento dei target astronomici. Per garantire che gli strumenti siano costantemente raffreddati, è necessario inoltre evitare le interruzioni di corrente. Analogamente agli osservatori, anche la città e le aree circostanti hanno dovuto soddisfare il proprio fabbisogno energetico esclusivamente con tipo di generatori a combustibili fossili, risentendo anche di frequenti interruzioni di corrente e un costo dell’energia molto più alto rispetto a zone meno remote del Cile.

Il deserto di Atacama risulta un luogo ideale per lo sfruttamento dell’energia solare, per via degli alti livelli di irraggiamento solare (tra i maggiori a livello globale, secondo un report  dell’American Meteorological Society del 2023). Qui, la comunità astronomica ha individuato la possibilità di utilizzare l’energia in eccesso prodotta per il telescopio AtLast con i pannelli solari per alimentare San Pedro de Atacama, una delle destinazioni turistiche più importanti del Cile dopo la Patagonia, lontana circa cento chilometri dalla rete elettrica nazionale. Il nuovo telescopio AtLast è il primo osservatorio che include sorgenti di energia rinnovabile già in fase di progettazione.

Questo modello virtuoso si basa sull’idea di  “comunità energetiche”: una sorta di consorzio tra enti locali pubblici, privati e commerciali che investono o condividono infrastrutture energetiche o forniscono a loro volta servizi energetici, basato su un processo decisionale comunitario ed equo per tutte le parti coinvolte. Per favorire la collaborazione nella comunità energetica, i ricercatori hanno promosso veri e proprio workshop in cui i residenti locali e le altre parti coinvolte potessero condividere il loro punto di vista sulle sfide e le opportunità di un sistema energetico più sostenibile nell’area di San Pedro.

«Consentire a coloro che sono interessati a partecipare alla discussione di influenzare concretamente il processo decisionale è essenziale per arrivare a soluzioni eque e applicabili a livello locale, facendo in modo che la transizione energetica possa essere più giusta e socialmente accettata, perché vengono ridistribuiti anche i benefici», spiega Guillermo Valenzuela Venegas dell’università di Oslo, primo autore dello studio. «La nostra ricerca dimostra che l’astronomia può dare l’esempio nell’urgente transizione verso un mondo equo a zero emissioni, mantenendo il nostro pianeta abitabile e garantendo che nessuno venga lasciato indietro».

Più nel dettaglio, lo studio ha combinato un modello di sistema energetico con un’analisi partecipata di diversi soggetti in base a criteri multipli di valutazione. I dati raccolti hanno messo in evidenza che i soggetti coinvolti – tra cui i residenti locali, il comune, l’azienda elettrica locale esistente e gli osservatori astronomici – danno priorità alla riduzione delle emissioni, alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico e alla riduzione dei costi dell’elettricità. Questo tipo di approccio mira a promuovere l’integrazione dei sistemi di energia rinnovabile con tutte le parti locali interessate, che vengono coinvolte nel processo decisionale, condividendo sia i benefici che gli sforzi di riduzione delle emissioni.

Lo studio sottolinea che replicare sistemi energetici simili nei telescopi vicini potrebbe ridurre la produzione di energia da combustibili fossili di 30 GWh all’anno, riducendo le emissioni di 18-24 migliaia di tonnellate di anidride carbonica equivalente (CO2e è l’unità di misura della carbon footprint) e contribuendo all’accesso a fonti di energia rinnovabile a prezzi convenienti anche per le comunità locali.

Le 66 antenne di Alma, l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, nel paesaggio desolato del deserto Atacama in Cile. Crediti: A. Caproni/Eso

In generale, la comunità astronomica è attiva nel proporre soluzioni per ridurre la propria carbon footprint. Alcuni telescopi si sono recentemente attivati per integrare fonti energetiche rinnovabili nelle loro strutture. Per esempio, il sito osservativo di La Silla (sempre in Cile) è alimentato per oltre il 50 per cento da energia solare dal 2016, mentre nel 2022 il Very Large Telescope (Vlt) e l’Extremely Large Telescope (Elt) in Cile hanno commissionato un parco fotovoltaico da 9 MW per evitare 1700 tonnellate di CO2 equivalente emesse all’anno.

La necessità di ridurre le emissioni di carbonio in astronomia è diventata un punto cardine, con progressivi investimenti in tecnologie energetiche rinnovabili e una parziale riduzione ai viaggi aerei per le riunioni internazionali (Nature, 2020).  Le emissioni di CO2 equivalente del settore astronomico sono infatti sempre più studiate e discusse anche includendo considerazioni sulla giustizia energetica, compreso l’impatto sociale delle infrastrutture astronomiche sulle comunità locali.

E l’Inaf?

«L’auspicio è che il modello di Valenzuela-Venegas et al. sia solo l’inizio di una strada che tutti gli osservatori seguano il prima possibile, sia per i telescopi che per le strutture di ricerca», dice l’astronoma Cristiana Spingola a nome del gruppo Inaf Green, che nasce proprio con lo scopo di sostenere attivamente il percorso di miglioramento delle performance dell’Inaf nell’eco-sostenibilità. Il gruppo di lavoro è chiamato infatti a promuovere azioni in materia di tutela ambientale ed efficientamento energetico. «Stiamo lavorando a una programmazione sistematica di attività che portino il più possibile verso una carbon neutrality dell’Ente, riducendo l’inquinamento generato anche dall’attività lavorativa quotidiana. Questo percorso è molto complesso, per l’Inaf, a causa della significativa diversità del patrimonio immobiliare esteso su tutto il territorio nazionale, ma la risposta degli istituti sembra essere molto promettente. In alcuni casi, infatti, la transizione green è già iniziata da tempo, come per i radiotelescopi di Medicina e Noto (rispettivamente a Bologna e Siracusa)».

Grazie alla loro influenza a livello internazionale, le osservazioni astronomiche possono quindi fungere da leva non solo per il progresso scientifico e tecnologico, ma anche per lo sviluppo delle comunità locali, fornendo un ottimo esempio nella transizione ormai urgente verso un mondo a zero emissioni, con l’obiettivo di mantenere il nostro pianeta abitabile.

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