Strewn field, in italiano area di dispersione: così gli astronomi chiamano la porzione di terreno nella quale si suppone siano cadute le meteoriti – dunque i frammenti giunti a terra – provenienti da un singolo asteroide. Qualora l’ingresso in atmosfera del meteoroide sia stato intercettato da una rete di telecamere all-sky, come l’italiana Prisma per esempio, triangolando le tracce del bolide (fireball) durante la caduta si può arrivare a stimare lo strewn field con una precisione notevole, tale da consentire il successivo recupero di meteoriti, come è avvenuto più volte negli ultimi anni, anche in Italia: nel 2020 a Cavezzo, con la “meteorite di Capodanno”, e nel 2023 a Matera, con la “meteorite di San Valentino”.
Ma le reti di camere all-sky non sono disponibili ovunque, dunque non sempre è possibile disporre dei dati necessari per una triangolazione. Si può comunque tentare di circoscrivere lo strewn field anche in questi casi? La risposta arriva ora da uno studio, in uscita su Icarus, guidato da Albino Carbognani dell’Istituto nazionale di astrofisica. Ed è una risposta positiva: adottando un semplice modello di frammentazione accoppiato a un profilo atmosferico reale, si legge nell’abstract, è possibile stimare lo strewn field partendo direttamente dai dati orbitali dell’asteroide. La precisione è ovviamente minore – anche se non di molto, come vedremo – rispetto a quella ottenibile con la triangolazione delle tracce del fireball, però offre un vantaggio non trascurabile: il tempo. Essendo l’orbita dell’asteroide nota – grazie a osservazioni telescopiche dal suolo – ben prima dell’impatto in atmosfera (ab initio, come dice il titolo dell’articolo), si aprono scenari in cui diventa possibile sapere in anticipo dove cadranno gli eventuali frammenti.
Con quanta precisione, Carbognani?
«Nel nostro articolo mostriamo che, ipotizzando un range per la coesione del meteoroide da 0,5 a 5 MPa, per gli asteroidi 2024 BX1, 2023 CX1 e 2008 TC3, che sono i casi con lo strewn field meglio noto e studiato, lo strewn field osservato e quello nostro teorico coincidono entro un’incertezza dell’ordine di 1 km o anche meno: una distanza perfettamente percorribile a piedi dalle squadre di ricerca. Incertezza che diminuisce all’aumentare dell’inclinazione della traiettoria del fireball rispetto alla superficie terrestre. Quindi con la prossima caduta asteroidale, se andrà a finire sulla terraferma, si potrà conoscere in anticipo e con buona approssimazione dove sarà lo strewn field e organizzarsi per il recupero delle meteoriti prima della caduta dell’asteroide – da qui il titolo del paper».
Con range di coesione intendete la “compattezza” del meteoroide?
«Sì, il range per la coesione del meteoroide indica proprio quanto sia compatto o fragile il corpo alle pressioni dovute alla caduta in atmosfera. Se il meteoroide è fragile perché la roccia è ricca di crepe si frammenterà a una quota più elevata, mentre se è più compatto si frammenterà più in basso, vicino al suolo. La quota della frammentazione principale determina il rimanente cammino in atmosfera dei frammenti – più lungo per i meteoroidi fragili, più breve per quelli compatti – e di conseguenza la posizione dello strewn field teorico. È un po’ come avere due autobus per arrivare in stazione a prendere il treno: il primo fa scendere i passeggeri (che fanno le veci dei frammenti) più lontano, mentre il secondo li fa scendere vicino alla stazione. Nel primo caso le persone devono fare a piedi un tratto maggiore con il rischio di perdere il treno, nel secondo caso si arriva subito camminando per un pezzo molto più breve rispetto al primo».
Torniamo all’incertezza nella delimitazione dello strewn field: con il vostro metodo, diceva, è dell’ordine di un chilometro. Quant’è, invece, nei casi in cui è possibile seguire il fireball con una rete di camere all-sky?
«Con una rete tipo Prisma e supponendo di triangolare il fireball durante la caduta del meteoroide, si può arrivare a un’incertezza sulla posizione dello strewn field di alcune centinaia di metri. Tuttavia anche con Prisma bisogna ipotizzare le masse delle meteoriti per campionare la zona di caduta. Il vantaggio di Prisma è che permette di misurare con maggiore precisione il punto di inizio del volo buio da cui dipende la posizione dello strewn field».
Ma solo “a fatto compiuto”, dicevamo, mentre invece con il metodo da voi proposto lo si può scoprire prima dell’impatto. Quanto tempo prima?
«Dipende da quanto tempo passa fra la scoperta dell’asteroide e la collisione. Considerato che si tratta di oggetti metrici – vale a dire, con un diametro nell’ordine del metro – siamo nell’ordine di circa 24 ore prima della caduta. Ma ci sono stati casi in cui le ore erano molte di meno».
Ventiquattro ore non sono poche, e un chilometro mi pare un margine d’incertezza relativamente contenuto: arriverà dunque il giorno in cui sarà possibile recarsi sul posto e attendere l’arrivo d’una meteorite?
«Sì, l’idea è proprio questa: con il calcolo preventivo dei possibili strewn field si potrà attendere l’arrivo al suolo dei frammenti. Usando telescopi di grande diametro come quello in dotazione al Vera C. Rubin Observatory, un piccolo asteroide potrebbe essere scoperto alcuni giorni prima della caduta e ci si potrebbe recare sul posto con tutta calma, diminuendo il tempo che passa dalla caduta alla raccolta, minimizzando così la contaminazione terrestre».
O magari, se si è proprio fortunati, trovandosi nel punto giusto intendo, chissà: si potrebbe addirittura acchiappare una meteorite “al volo”… Nel caso potrebbe bastare un buon guantone da baseball – come quello d’un catcher, il ricevitore – per prenderla senza farsi male, o sarebbe troppo rischioso?
«L’acchiappo dei frammenti del meteoroide al volo sarebbe rischioso, non tanto per la temperatura – perché di norma arrivano a terra già raffreddati, a una temperatura di poco superiore a quella ambientale – ma per la velocità tipica di impatto al suolo, che è dell’ordine di 200-300 km/h. Si rischia di farsi davvero male».
Per saperne di più:
- Leggi su Icarus l’articolo “Ab initio strewn field for small asteroids impacts”, di Albino Carbognani, Marco Fenucci, Raffaele Salerno e Marco Micheli