Canalicoli curvilinei, depositi dalla forma lobata. E ancora: scarpate e terreni butterati. Sono solo alcune delle caratteristiche geomorfologiche osservate sulle superfici di mondi senza atmosfera come l’asteroide 4 Vesta e il pianeta nano Cerere. Uno dei misteri che gli astronomi vogliono chiarire è cosa possa aver plasmato questa morfologia di superficie. Un team di ricercatori guidati dal Southwest Research Institute, negli Usa, pare ora aver trovato la risposta. Secondo quanto riportato nell’articolo che descrive la ricerca, pubblicato il mese scorso sulla rivista The Planetary Science Journal, a scolpire queste enigmatiche caratteristiche di superficie potrebbero essere state delle salamoie transitorie, ovvero flussi d’acqua salmastra prodotta per liquefazione di ghiaccio d’acqua sotto-superficiale in seguito all’impatto di un corpo celeste.
L’idea alla base di questo lavoro di ricerca, già proposta dai ricercatori in un lavoro precedente, è che le caratteristiche superficiali dei corpi senza atmosfera siano la diretta conseguenza di impatti meteorici in grado di portare in superficie e sciogliere depositi contenenti ghiaccio d’acqua eventualmente presenti nel sottosuolo. Il flusso temporaneo del liquido così prodotto creerebbe i canali e i depositi multiformi osservati all’interno dei crateri di nuova formazione.
«Volevamo indagare l’ipotesi, precedentemente proposta, secondo cui il ghiaccio sotto la superficie di un mondo senza atmosfera potrebbe essere portato in superficie e sciolto da un impatto, e il liquido risultante scorrere lungo le pareti del cratere per formare caratteristiche superficiali distinte», spiega Jennifer EC Scully, ricercatrice al Jet Propulsion Laboratory (Jpl) e co-autrice della pubblicazione.
I ricercatori hanno tentato di spiegare la presenza delle misteriose caratteristiche di flusso presenti sulle superfici di corpi celesti simulando degli impatti, indagando poi per quanto tempo il liquido prodotto dallo scioglimento del ghiaccio avrebbe potuto potenzialmente scorrere in superficie, prima di ricongelarsi sotto le pressioni dell’atmosfera transitoria creata dalla collisione. Per fare ciò, gli scienziati hanno condotto esperimenti di laboratorio nei quali hanno simulato le pressioni a cui è sottoposto un ipotetico strato di ghiaccio su 4 Vesta, uno degli asteroidi più grandi del Sistema solare, dopo l’impatto di un meteoroide.
L’apparecchiatura sperimentale utilizzata per la ricerca si chiama Dustie (Dirty Under-vacuum Simulation Testbed for Icy Environments), si trova presso il Jpl della Nasa ed è un camera per il vuoto grande quanto una botte di vino, costruita proprio per simulare specifiche condizioni di pressione atmosferica.
I parametri sperimentali impostati dai ricercatori, che dovevano simulare il flusso di un liquido prodotto da un impatto su un corpo senza aria, includevano pressione atmosferica e temperatura attorno al cratere d’impatto. I campioni di liquido testati erano acqua pura e una salamoia di cloruro di sodio (NaCl), ciascuno miscelato con perle di vetro o con un simulante della regolite di varie dimensioni, pompati nell’apparecchiatura da una anticamera collegata alla camera principale del simulatore.
I campioni sono stati caricati nell’anticamera più piccola con la valvola della camera principale chiusa, isolando così la pressione interna dell’anticamera da quella della camera principale. Successivamente, dall’anticamera è stata pompata fuori l’aria così da provocarne il degassamento, per simulare le condizioni del liquido appena fuso dall’impatto del meteoroide. Infine, l’apertura della valvola della camera a vuoto principale ha simulato la rapida diminuzione di pressione sul liquido che si è formato dai depositi ghiacciati del sottosuolo.
«Attraverso i nostri impatti simulati», spiega Michael J. Poston, ricercatore al Southwest Research Institute e primo autore dello studio, «abbiamo scoperto che l’acqua pura si è congelata nel vuoto troppo rapidamente per apportare cambiamenti significativi, ma le miscele di acqua e sale, le cosiddette salamoie, sono rimaste liquide e hanno continuato a scorrere per almeno un’ora».
Alla luce di questi risultati, i ricercatori ritengono che una salamoia di cloruro di sodio sia fondamentale per la longevità del flusso di liquidi che creano le caratteristiche superficiali di corpi come Vesta e Cerere. Nel nostro esperimento, spiegano i ricercatori, nelle condizioni atmosferiche transitorie indotte dall’impatto, le salamoie di pochi centimetri di spessore sono rimaste liquide per un tempo sufficiente a produrre diverse caratteristiche morfologiche, mentre l’aggiunta di particolato ai campioni ha accelerato i tempi di solidificazione.
I risultati di questo studio potrebbero aiutare a spiegare le origini di alcune caratteristiche osservate su corpi distanti, come le pianure lisce di Europa e la caratteristica struttura a forma di ragno al centro del suo cratere Manannán. La ricerca, inoltre, potrebbe far luce sui vari canali e depositi di detriti a forma di ventaglio su Marte. Pur circoscritti alle condizioni post-impatto su Vesta e Cerere, i risultati contribuiscono alla crescente mole di lavori scientifici che sfruttano esperimenti di laboratorio per comprendere il tempo di vita dei liquidi su una varietà di mondi senza aria. In linea con gli studi su altri mondi senza atmosfera, emerge che le salamoie prodotte dallo scioglimento di ghiacci a seguito di impatti sembrano rimanere liquide per la durata necessaria a scolpire le superfici dei corpi senza aria, formando caratteristiche geomorfiche distintive, come appunto quelle viste su Vesta e Cerere.
«Se questi risultati si rivelassero coerenti in tutti i corpi aridi e privi di aria o con atmosfera rarefatta», conclude Poston, «ciò vorrebbe dire che su questi mondi in un recente passato c’era acqua. E forse c’è ancora, il che significa che potrebbe essere espulsa dagli impatti».
Per saperne di più:
- Leggi su The Planetary Science Journal l’articolo “Experimental Examination of Brine and Water Lifetimes after Impact on Airless Worlds” di Michael J. Poston, Samantha R. Baker, Jennifer E. C. Scully, Elizabeth M. Carey, Lauren E. Mc Keown, Julie C. Castillo-Rogez e Carol A. Raymond