La composizione chimica della nostra stella, in particolare per quel che riguarda le abbondanze di elementi pesanti, svolge un ruolo cruciale in numerose aree dell’astronomia. Nelle campo delle scienze planetarie ed esoplanetarie, ad esempio, è utilizzata come tester per comprendere le composizioni di altre stelle e per sondare le condizioni di formazione planetaria.
Sebbene le abbondanze solari di elementi pesanti (così gli astronomi chiamano tutti gli elementi della tavola periodica diversi da idrogeno ed elio) siano note con una precisione molto maggiore rispetto ad altre stelle, sul loro conto permangono notevoli incertezze. I dubbi sono legati soprattutto al disaccordo dei valori di abbondanza di carbonio, ossigeno e azoto tra i dati ottenuti con l’eliosismologia – una tecnica che permette di esplorare l’interno del Sole analizzando le onde di pressione che lo attraversano – rispetto a quelli ottenuti con la spettroscopia – un metodo che rivela la composizione superficiale in base alla firma spettrale prodotta da ciascun elemento chimico – e con le simulazioni.
In questo senso, la sfida degli astronomi è dunque trovare una quadra tra i valori di abbondanza di questi elementi determinati con le varie tecniche. Una sfida che ora un team di ricercatori guidati dal Southwest Research Institute pare aver vinto, combinando i dati di composizione di vari corpi primitivi della fascia di Kuiper con nuovi set di dati solari. Le nuove indagini, i cui risultati sono stati pubblicati questa settimana su The Astrophysical Journal, hanno permesso di ottenere una ricetta con i dosaggi rivisti, relativamente alla composizione degli elementi pesanti della nostra stella, che potenzialmente concilia per la prima volta le misurazioni spettroscopiche ed eliosismiche.
«Questo tipo di analisi interdisciplinare non era mai stato eseguito prima», sottolinea Ngoc Truong, ricercatore al Southwest Research Institute e primo autore dello studio. «Il nostro ampio set di dati suggerisce livelli di carbonio, azoto e ossigeno solari più abbondanti di quanto si pensasse in precedenza».
Per ottenere i nuovi dati composizionali del Sole, il team di ricerca ha combinato nuove misurazioni di neutrini solari – come quelle ottenute con lo strumento Borexino, un rivelatore situato presso i Laboratori nazionali del Gran Sasso (Infn), il cui scopo primario è lo studio delle proprietà di neutrini solari a bassa energia – con i dati di composizione del vento solare ottenuti dalla missione Genesis della Nasa, insieme ai dati di abbondanza di acqua trovata nelle meteoriti primitive che hanno avuto origine nel Sistema solare esterno e di densità di grandi oggetti della fascia di Kuiper, come Plutone e la sua luna Caronte, determinate dalla missione Nasa New Horizons.
«Con questa ricerca, pensiamo di aver finalmente ricostruito il mix di elementi chimici che ha prodotto il Sistema solare», dice Christopher Glein, esperto di geochimica planetaria, anche lui in servizio al Southwest Research Institute e co-autore dello studio. «Questa nuova conoscenza ci fornisce una base più solida per comprendere quali abbondanze di elementi nelle atmosfere dei pianeti giganti possono dirci qualcosa circa la loro formazione».
La ricerca non si è limitata allo studio della composizione degli elementi pesanti della nostra stella. Utilizzando le nuove abbondanze come input per un modello di formazioni planetaria, i ricercatori hanno infatti stimato le abbondanze di elementi pesanti nella nebulosa protosolare, valutando poi gli effetti di tale abbondanza sulle composizioni degli oggetti della fascia di Kuiper e delle condriti carbonacee, resti dell’epoca alla quale è avvenuta la formazione dei pianeti. I risultati della simulazione, sottolineano gli scienziati, hanno riprodotto con successo le composizioni sia dei grandi oggetti della fascia di Kuiper che delle condriti carbonacee.
Il team ha inoltre esaminato il ruolo dei composti organici come principale vettore di carbonio nella nebulosa protosolare, concludendo che la loro funzione è fondamentale per spiegare la chimica del Sistema solare.
I rapporti di abbondanza carbonio/ossigeno della nebulosa solare ottenuti, osservano gli autori dello studio, sono sufficienti a produrre una quantità tale di roccia da spiegare la densità del sistema Plutone-Caronte, che è stato utilizzato come valore rappresentativo della composizione in massa dei grandi corpi della fascia di Kuiper. Per contro, l’utilizzo delle abbondanze solari precedentemente note ha reso il sistema Plutone-Caronte “sottodenso”. Quanto alla materia organica, incorporarla nei modelli non è solo un mero dettaglio compositivo: la sua presenza influisce in modo significativo sulla composizione chimica della nebulosa e sui “mattoni” che hanno formato i corpi planetari.
Il futuro promette grandi risultati per nuovi modelli e dati in grado di fornire una comprensione più coerente della composizione interna del Sole, concludono i ricercatori. Poiché le abbondanze solari di elementi pesanti servono come parametri di riferimento per conoscere le composizioni elementari di altre stelle, ciò avrà implicazioni significative per comprendere la formazione e l’evoluzione di altri sistemi planetari e, ancora di più, per ottenere una prospettiva più ampia dell’evoluzione della chimica galattica.
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “A broad set of solar and cosmochemical data indicates high C-N-O abundances for the solar system” di Ngoc Truong, Christopher R. Glein e Jonathan I. Lunine