Le possibilità di vita intelligente nell’universo – e in altri ipotetici universi, al di fuori del nostro – ora possono essere stimate grazie a un modello teorico elaborato da tre astrofisici, tra cui l’italiano Daniele Sorini, ricercatore all’Istituto di cosmologia computazionale dell’Università di Durham. A distanza di oltre 60 anni dalla definizione della famosa equazione di Drake, il nuovo modello si concentra sulle condizioni create dall’accelerazione dell’espansione dell’universo, presumibilmente guidata dall’energia oscura, e sulla quantità di stelle formate. Poiché le stelle sono un prerequisito per l’emergere della vita come la conosciamo, il modello può quindi essere usato per stimare la probabilità di esistenza di vita intelligente nell’universo. Per addentrarsi nel modello e cercare di capire ciò che i ricercatori hanno concluso, Media Inaf ha intervistato Sorini, primo autore dello studio pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.
Sorini, i nostri lettori sono molto affezionati all’equazione di Drake e ora sembra che voi abbiate trovato qualcosa di meglio. Qual è la differenza tra la famosa equazione e il vostro approccio?
«L’equazione di Drake cerca di stimare il numero di civiltà intelligenti all’interno della nostra galassia, la Via Lattea. Il nostro lavoro, invece, non ha a che vedere con la ricerca di civiltà extraterrestri. Ma in un certo senso, si possono trovare dei punti di contatto con la logica sottostante l’equazione di Drake. L’equazione, infatti, parte dal numero di stelle formate annualmente nella Via Lattea, chiedendosi poi quante di esse possano ospitare pianeti abitabili, e su quanti di questi pianeti possano svilupparsi forme di vita in grado di inviare segnali rilevabili della propria presenza. Perciò, l’equazione di Drake mette in relazione l’efficienza della nostra galassia nel formare stelle con la comparsa di vita intelligente. Tuttavia, la Via Lattea non è l’unica galassia: nell’universo visibile ce ne sono centinaia di miliardi. Nel nostro articolo, dunque, ci chiediamo quanto sia facile formare vita intelligente, a qualunque punto nell’evoluzione dell’universo e in qualunque galassia. In effetti, facciamo un ulteriore balzo concettuale, chiedendoci: quante stelle si formerebbero nell’universo, se i suoi ingredienti fondamentali fossero differenti? Precisamente, se ci fosse più o meno energia oscura di quella che effettivamente osserviamo, avremmo più o meno stelle? E ciò come influenzerebbe la formazione di vita intelligente nell’universo? In un certo senso, dunque, la nostra ricerca si potrebbe in parte considerare come un’estensione della logica dell’equazione di Drake su scala cosmica: ben oltre la nostra galassia, appunto».
Che tipo di calcolo avete fatto?
«Innanzi tutto, abbiamo calcolato la quantità di galassie, in funzione della loro massa, che si formano nel nostro universo e in ipotetici universi alternativi contenenti diverse quantità di energia oscura (nello specifico, tra 0 e 100mila volte l’ammontare osservato nel nostro universo). Ciò è determinato essenzialmente dall’azione della forza di gravità, che tende a compattare la materia presente nell’universo e formare strutture – le galassie, appunto. L’energia oscura, invece, accelera l’espansione dell’universo, rendendo così più difficile la formazione di strutture. Dopodiché, abbiamo calcolato la quantità di stelle formate nelle varie galassie nel corso del tempo, basandoci su un modello di formazione stellare che avevo sviluppato nel 2021. Infine, abbiamo calcolato la frazione della materia ordinaria (cioè quella a cui siamo abituati, che costituisce noi stessi e gli oggetti con cui abbiamo a che fare ogni giorno) che viene convertita in stelle, nell’intera vita degli universi considerati (passata e futura). Assumendo che tale frazione sia proporzionale alla generazione di vita intelligente, abbiamo potuto determinare quali abbondanze di energia oscura siano più favorevoli alla formazione della vita».
E qual è il risultato? Il nostro universo è quello ottimale per la formazione di vita intelligente?
«Non proprio. La nostra conclusione è che l’universo ottimale conterrebbe circa un decimo della quantità di energia oscura presente nel nostro universo. La frazione di stelle rispetto alla quantità di materia ordinaria, e quindi la probabilità di generare vita intelligente, diminuisce all’aumentare dell’abbondanza di energia oscura. Ciò avviene perché l’universo si espande più velocemente, formando dunque meno galassie. Ma osserviamo una diminuzione di tale probabilità anche al diminuire dell’energia oscura al di sotto del valore ottimale. In questo caso, benché ci siano più galassie, esse contengono generalmente una densità di gas più bassa, che le rende meno efficienti nel formare stelle».
Beh, ma allora il nostro universo si discosta solo di un fattore 10 da quello ottimale. Questo spiegherebbe quindi la quantità di energia oscura che osserviamo?
«No, ed è qui che viene il bello. Consideriamo infatti un “multiverso” di possibili universi. Non si tratta per forza di universi “reali”, potrebbe anche essere un esperimento concettuale, ma non cambia la sostanza delle conclusioni. Supponiamo ora di prendere un osservatore (cioè, una forma di vita intelligente) a caso nel multiverso e di chiedergli quale sia la densità di energia oscura che egli osserva nel proprio universo di appartenenza. Il nostro risultato è nel che 99.5 per cento dei casi, ci risponderebbe con un numero più alto rispetto a quello che osserviamo noi. Ciò significa che, almeno secondo il nostro modello, noi ci ritroveremmo ad abitare un universo molto inusuale. In altre parole, il nostro universo non sarebbe “fatto su misura” per lo sviluppo della vita intelligente».
Questo non contraddice il fatto che se abbiamo più energia oscura allora sopprimiamo la formazione di galassie, e quindi la possibilità che ci sia vita?
«Questo è un punto sottile, ma non c’è contraddizione. Per analogia, supponiamo di voler disporre 300 biglie all’interno di 100 scatolette, che etichettiamo progressivamente da 1 a 100. Diciamo che ne inseriamo 100 nella scatola numero 1, quattro nella scatola numero 2, e due in ciascuna delle successive scatole, dalla 3 alla 100. Senza dubbio, la scatola numero 1 è quella che contiene più biglie – potremmo dire la scatola “favorita dalle biglie”. Ma se prendiamo una biglia a caso tra tutte le scatole, sarà molto più probabile che questa venga estratta da una scatola diversa dalla numero 1. Allo stesso modo, presi individualmente, universi con poca energia oscura sono più ospitali per la vita. Ma, visto che la vita può formarsi lo stesso anche sui tanti possibili universi contenenti molta energia oscura, in fin dei conti l’osservatore medio dovrebbe aspettarsi di misurare una quantità di energia oscura più alta».
Quali sono le implicazioni di queste conclusioni?
«Le nostre conclusioni sollevano dubbi sulla validità del principio antropico, cioè l’idea che il nostro universo possa essere particolarmente “su misura” per la formazione di vita intelligente. La rilevanza cosmologica del principio antropico nasce a fronte della difficoltà nello spiegare la densità di energia oscura misurata nel nostro universo a partire da principi primi. Le osservazioni, infatti, rilevano una densità molto più bassa di quella che ci aspetteremmo. Nel 1989, il premio Nobel per la fisica Steven Weinberg suggeriva una possibile soluzione invocando il principio antropico. Una sovrabbondanza di energia oscura sopprimerebbe la formazione di strutture, dunque delle stelle, dunque della vita. La nostra esistenza, ragionava Weinberg, spiegherebbe la bassa densità di energia oscura che noi osserviamo. Le nostre conclusioni, però, ci dicono che potrebbe non essere così».
Per saperne di più:
- Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society l’articolo “The impact of the cosmological constant on past and future star formation” di Daniele Sorini, John A Peacock, Lucas Lombriser
- Guarda su YouTube il Cosmology Talk di Daniele Sorini “How Dark Energy Affects Past and Future Star Formation“