IL FILM SI È AGGIUDICATO ANCHE IL PREMIO DEL PUBBLICO E IL PREMIO ASTEROIDE

Come se l’universo suggerisse di fermarci

Tra sfide tecniche, complessità scientifiche e la guerra in Ucraina, il regista Pavlo Ostrikov racconta a Media Inaf le difficoltà affrontate nella realizzazione del lungometraggio "U Are The Universe", vincitore del premio Inaf-Event Horizon allo scorso Trieste Science+Fiction Festival. Un’opera che, nonostante tutto, è riuscita a emergere, mescolando scienza, emozioni, intimità e un tributo ai grandi classici del cinema sci-fi

     19/11/2024

Nell’ambito della 24ª edizione del lTrieste Science+Fiction Festival, l’Istituto nazionale di astrofisica ha premiato il film U Are The Universe del regista e sceneggiatore ucraino Pavlo Ostrikov con il riconoscimento Inaf-Event Horizon. Il premio celebra opere cinematografiche che esplorano in modo innovativo tematiche scientifiche e umane, unendo sensibilità narrativa e riflessioni sul progresso scientifico, come evidenziato dalla giuria nella sua motivazione. Abbiamo parlato con il regista dell’ispirazione dietro il suo film, che mescola omaggi al cinema sci-fi classico e temi scientifici moderni, dalla solitudine nello spazio alla relazione tra umani e intelligenza artificiale, riflettendo anche sulle difficoltà della realizzazione del film in tempi di guerra, sulle sfide tecniche e la ricerca dell’autenticità.

Il regista e sceneggiatore ucraino Pavlo Ostrikov. Crediti: Trieste Science+Fiction Festival

Nel tuo film, sono evidenti riferimenti a classici della fantascienza come 2001: Odissea nello spazio, Gravity, Moon. Cosa ti ha ispirato nella realizzazione?

«Sì, è come dici tu. 2001: Odissea nello spazio è stato il mio riferimento principale ed è difficile fare un nuovo film di fantascienza senza citarlo.  Quindi abbiamo incluso un omaggio esplicito a Stanley Kubrick. Tra l’altro, proprio la figlia di Stanley Kubrick era nella giuria del Festival del cinema di Strasburgo e ha visto il nostro film. Le è piaciuto e mi ha mandato una foto di quella serata con parole molto gentili, cosa che mi ha reso davvero felice. L’inclusione di questo omaggio nel film è stata importante perché, per me, Kubrick è uno dei più grandi registi di tutti i tempi. Nella realizzazione sono stato anche ispirato da film più recenti, come The Martian di Ridley Scott e Interstellar di Christopher Nolan, che amo per il loro tentativo di rendere la fantascienza più scientifica. Ho cercato di replicare questo approccio nel mio film, ma ovviamente non è un esempio perfetto, perché una tale precisione richiede un budget molto più grande. È stato un compromesso tra la mia visione di fantascienza realistica e il budget a nostra disposizione».

In interviste precedenti hai detto che l’idea originale per questo film ti è venuta mentre studiavi all’università. Quante volte hai riscritto la sceneggiatura e come si è evoluta nel tempo?

«La bozza finale è stata la numero 11, anche se ho fatto alcune correzioni significative anche nelle versioni 11.2 e 11.3. Ci sono state molte bozze, ma i cambiamenti principali sono arrivati con la terza, quando mi sono reso conto che non volevo fare un film sullo spazio senza scienza o astrofisica. È stato allora che ho ristrutturato tutto, cercando di andare oltre la semplice storia emotiva. Per esempio, ho introdotto il ritardo di comunicazione tra i due personaggi che parlano a lunghe distanze. Questo cambiamento ha complicato la sceneggiatura, ma per me era importante perché rappresentava un vero problema scientifico nello spazio. Ho rivisitato la sceneggiatura dal punto di vista dell’accuratezza scientifica, e ciò ha cambiato anche la mia visione del film. Quello che inizialmente era una commedia nella prima bozza, alla fine si è trasformato in un film drammatico.

Perché hai deciso di rappresentare l’isolamento di Andriy nello spazio in modo così personale e profondo? Cosa ti ha spinto a raccontare il suo viaggio da ultimo sopravvissuto umano?

«Volevo raccontare una storia di solitudine, e lo spazio mi sembrava l’ambiente perfetto per farlo. Per qualche motivo, penso che l’amore potrebbe essere la risposta alla solitudine, ed è per questo che la storia è come una montagna russa. L’amore non è facile, ti porta attraverso diverse emozioni: tristezza, felicità e tutto ciò che c’è in mezzo».

Il regista Pavlo Ostrikov e l’attore Volodymyr Kravchuk, che nel film che interpreta Andriy, sul set di “U are the Universe”. Crediti: immagini fornite dal regista

Tu hai studiato giurisprudenza e aviazione prima di entrare nel mondo del cinema. In che modo i tuoi studi e le tue esperienze precedenti hanno influenzato il tuo approccio alla regia, soprattutto in U Are the Universe?

«Ho studiato giurisprudenza all’Università nazionale di aviazione, e naturalmente questo mi ha ispirato e spinto a pensare allo spazio. L’università ha un grande aereo nel cortile principale, mostre e docenti fantastici, quindi questi argomenti sono sempre stati nell’aria. Al contrario, studiare giurisprudenza probabilmente è stato un errore, forse mi ha solo aiutato a gestire meglio i contratti».

Il rapporto di Andriy con Maksym, il robot AI, solleva domande interessanti sull’interazione umano-computer e sull’intelligenza artificiale. Quale messaggio volevi trasmettere attraverso questo legame, e come riflette la nostra dipendenza dalla tecnologia nel mondo reale?

«Penso che l’intelligenza artificiale potrebbe essere utile all’umanità in futuro. Spesso temiamo i robot perché abbiamo visto tanti film in cui diventano malvagi. Mentre creavamo il personaggio Maksym, abbiamo avuto molte discussioni sul tema. Personalmente, credo che l’intelligenza artificiale sarà sicura e utile, finché saremo cauti. Stiamo entrando in una nuova era tecnologica e forse avremo bisogno dell’intelligenza artificiale per fare il prossimo grande passo. Ma le emozioni sono importanti per noi, e penso che l’amore sia l’emozione più potente dell’universo. Se potessimo creare robot che sperimentano emozioni, credo  saremmo più sicuri. Quindi il mio messaggio è semplice: dobbiamo trovare un modo per coesistere con l’intelligenza artificiale, ma dovremmo cercare di renderla meno razionale e più umana».

Lo scenario di una Terra distrutta e deserta aggiunge un tono pesante, quasi apocalittico alla storia. In che modo la situazione in Ucraina ha influenzato l’ambientazione e l’atmosfera del film?

«In realtà, abbiamo girato la maggior parte di questo film prima dell’invasione e della guerra in Ucraina. Nel film non specifichiamo perché la Terra è distrutta. La guerra potrebbe essere la causa, non necessariamente questa guerra, ma potrebbe simboleggiare una scintilla che porta a qualcosa di peggio. Siamo consapevoli di un cambiamento in atto, ma non in senso positivo, e amo il cinema perché può riflettere la realtà».

Hai affrontato particolari difficoltà nella creazione del film a causa della situazione in Ucraina? Come le circostanze hanno condizionato la produzione o i temi di U Are the Universe?

«Prima dell’invasione, abbiamo affrontato le difficoltà tipiche per i registi di film di fantascienza. Dopo l’invasione, tutto è cambiato. Abbiamo girato la maggior parte delle scene in anticipo, ma avevamo ancora bisogno di completare alcune scene finali nello spazio con fili e coinvolgendo un’attrice francese. Il giorno dell’invasione dovevo incontrarmi con la costumista per finalizzare il design della tuta spaziale per Katherine, ma quell’incontro è stato annullato. Abbiamo messo il progetto in pausa, poiché fare un film non era una priorità in quel momento. Dopo un anno, abbiamo pensato che dovevamo finire la storia in qualche modo e condividerla con il pubblico. Così abbiamo riunito la nostra squadra, ma naturalmente era più piccola di prima: il produttore precedente e l’attore che ha doppiato il robot Maksym hanno prestato servizio nell’esercito, il protagonista Andriy si è arruolato come volontario nell’esercito, il supervisore degli effetti speciali è stato chiamato nell’esercito e purtroppo è morto in prima linea. È stato un grosso problema riunire queste persone e per girare alcune scene è stato necessario ottenere un permesso.

Il set del film “U are the Universe” in Ucraina. Crediti: immagini fornite dal regista

Inoltre, abbiamo cercato di invitare un’attrice francese per le scene finali. Il personaggio principale francese ha accettato inizialmente, ma quando la Russia ha lanciato il primo grande attacco alle strutture energetiche, non è potuta venire all’estero per il film. Abbiamo dovuto cercare una nuova attrice e alla fine abbiamo trovato un’attrice ucraina per l’apparizione e una francese per il doppiaggio. Ulteriori difficoltà le abbiamo avuto per le scene con fili perché c’erano allarmi aerei e non sapevamo cosa fare: dobbiamo fermare gli attori? O è solo un allarme aereo? È stato surreale, non avevamo pianificato di fare il film in questo modo e nessuno di noi era preparato. Abbiamo cercato di improvvisare, ed è stato anche un incubo per il rendering delle scene Cgi (computer generated imagery), poiché convivevamo con i blackout energetici: non è una cosa buona in queste condizioni, dato che un rendering di una scena può durare uno o due giorni. Quindi tutto sembrava andare contro la realizzazione di questo film, era come se tutto l’universo ci stesse dicendo di fermarci. Ma siamo andati avanti e l’abbiamo finito. Non è un film perfetto. Vedo esattamente cosa voglio migliorare, e so che posso farlo. Ma purtroppo, è stato davvero un problema anche solo finire il film. Magari tra dieci anni potrò fare un remake con la mia visione perfetta, con il budget giusto e il tempo giusto».

I dettagli visivi e tecnici, come il design della nave spaziale e la fisica del viaggio nello spazio, sono davvero molto realistici e accurati. Che tipo di ricerca o consulenza tecnica avete fatto per ottenere tale autenticità?

«Intorno alla metà dello sviluppo della sceneggiatura, nel 2019, ho capito che volevo rendere il film più scientifico e ho invitato a collaborare due importanti astrofisici ucraini, Dmytro Yakubovskiy e Oleksii Parnovskiyi. Parlare con menti così brillanti è stato fonte d’ispirazione. Ho anche iniziato a leggere libri di astrofisica e a interessarmi profondamente alla materia. Abbiamo fatto molte ricerche. Per esempio, dovevamo trovare un modo per simulare la gravità senza un grande budget e senza poterla girare nel vuoto, quindi abbiamo pensato all’idea di utilizzare la forza centrifuga. Non potevamo permetterci un set più grande, quindi abbiamo raggiunto un compromesso cercando di mantenere il tutto il più realistico possibile».

Il set del film “U are the Universe” in Ucraina. Crediti: immagini fornite dal regista

La nave spaziale nel film appare incredibilmente autentica e dettagliata. Puoi raccontarci di più sul processo di design e costruzione?

«La creazione di un set per una nave spaziale reale ha richiesto molta attenzione. Inizialmente, avevamo considerato un setup simile a una scatola, come in Star Trek o Star Wars, ma col tempo abbiamo raffinato il concetto. Abbiamo finito per progettare una nave più simile a quella di The Martian. Poi dovevamo comprendere il sistema di propulsione, e abbiamo scelto i motori a ioni poiché sono più moderni. Abbiamo anche incluso alcuni razzi per una spinta aggiuntiva. Si è cercato di rendere tutto il più realistico possibile, dai motori agli alloggi dell’equipaggio fino ai contenitori per le scorie nucleari. Sono soddisfatto del risultato finale».

In un’era di effetti avanzati, U Are the Universe utilizza uno stile minimalista per esplorare grandi domande. Questa scelta ha inciso sull’impatto emotivo del film?

«Ottimo punto. Questa scelta di stile è stata intenzionale. Il nostro film parla degli ultimi due esseri umani superstiti, quindi non volevo che fosse epico, non è il mio approccio. Volevo raccontare una piccola storia in un universo vasto. È per questo che ci siamo concentrati su un solo personaggio, una sola nave spaziale, evitando riprese spettacolari e dinamiche come quelle nei blockbuster. Abbiamo puntato su un approccio semplice e intimo, privilegiando la profondità emotiva rispetto allo spettacolo».

La mia formazione è in scienze ambientali, quindi ho trovato intrigante il tema delle scorie nucleari nel film. Come ti è venuta quest’idea? È stato un elemento casuale o è derivato da una fonte specifica?

«Sono davvero felice che tu me lo abbia chiesto, nessuno lo aveva fatto prima. L’ispirazione iniziale è arrivata da un articolo sui depositi di scorie nucleari in Ucraina, sepolti in profondità. Mi è sembrata un’idea critica: è pericoloso semplicemente nasconderle. Con il ricordo di Chernobyl in mente, mi sono chiesto cos’altro si potesse fare, così ho immaginato una soluzione estrema: mandare i rifiuti nello spazio. Di recente, ho letto anche qualcosa sull’idea di spedire le scorie nucleari nel Sole per bruciarle; secondo me interessante ma poco praticabile. Nel mio Paese esiste una consapevolezza culturale e sociale dei rischi nucleari, quindi probabilmente ne sono stato influenzato. Non è un tema centrale nel film, ma è qualcosa che volevo includere».

Il premio Asteroide viene assegnato al miglior film di fantascienza, horror o fantasy realizzato da un regista emergente,  per la sua prima, seconda o terza opera. Come ti sei sentito nel vincere l’Asteroide 2024 e altri premi al Trieste Science+Fiction Festival? Quanto vale questo riconoscimento per la tua carriera?

«Aver vinto il premio Asteroide 2024 significa molto per me. È il risultato di tutto il duro lavoro che il nostro team ha dedicato al film. Non è un risultato solo mio, ma di tutti coloro che hanno lavorato a questo progetto. La troupe sapeva del premio ed era entusiasta perché ci siamo impegnati così tanto per realizzare e condividere questa storia. La reazione positiva delle persone è stata così commovente e il premio del pubblico The Begin Hotels è come l’apice di un riconoscimento: è come se dicessero “L’abbiamo visto e ci è piaciuto”. In questo momento, provo un senso di sollievo per il fatto che il lavoro è stato portato avanti e che, alla fine, è anche piaciuto».

Il regista riceve il premio Inaf-Event Horizon da Stefano Cristiani, presidente della giuria Inaf composta da Chiara Badia, Vincenzo Cardone, Fabrizio Fiore, Paolo Soletta, Paolo Tozzi. Crediti: Trieste Science+Fiction Festival

Il film ha anche ricevuto l’Inaf-Event Horizon Award per la sua esplorazione innovativa di temi scientifici e umani. Cosa significa per te questo riconoscimento da parte della comunità scientifica, soprattutto considerando l’attenzione che il film riserva ai temi dello spazio e dell’umanità?

«Sono molto felice di questo particolare premio che ha una valenza particolare per me. Non so se tutti coloro che guarderanno il film capiranno quanto impegno abbiamo profuso per realizzare una vera fantascienza, piuttosto che una semplice storia ambientata nello spazio. Abbiamo fatto ricerche scientifiche approfondite per rendere il film il più realistico possibile. Ricevere non uno ma ben tre premi al Trieste Science+Fiction Festival è stato incredibile. Ricordo ancora quel momento: è stato davvero l’attimo più felice in questa fase della mia vita. E, per noi, attimi così sono rari in questo preciso momento storico».

 


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